Il cibo nell’arte XXXVI e ultima parte

Dalla Pop Art, dal cibo seriale, inscatolato e commerciale della zuppa Campbell’s di Andy Warhol, più o meno negli stessi anni, arriva l’Arte Concettuale, che ritiene l’idea e il concetto primari sul risultato visivo ed estetico di cui Piero Manzoni è l’artista più noto, anche per aver inscatolato la sua Merda d’artista, intendendo che con la pubblicità si possa vendere di tutto sia nel mondo dell’arte che in quello alimentare. Nel 1960 organizzò un evento ‘Achrome marketing delle galline’ dove gli spettatori erano invitati a mangiare delle uova sode timbrate con le impronte digitali di Manzoni, l’artista crea e questa creazione viene mangiata… non solo la visione ma addirittura l’opera viene mangiata… quasi fosse un’ostia sacralizzata dall’imbonitore- pubblicitario-artista.

 

Piero Manzoni-Panini e caolino-Achrome-1962

‘Achrome’, che significa senza colore, sono una serie di opere di Manzoni in cui  la superficie della tela bianca è impregnata soltanto di caolino, un’argilla bianca che solitamente si usa per preparare la tela, quindi un azzeramento della pittura e ricerca di altro, del concetto di assoluto, di qualcosa che non dipendente da nient’altro; inizialmente le opere hanno increspature più o meno in rilievo, successivamente Manzoni realizza una serie di ‘Achrome’ dove sulla tela incolla rosette di pane coprendole completamente col caolino… cosa voleva dire?

Sacralizzare il pane che a noi pare un’ovvietà?

Magari pensando alla rivolta del pane di cui il suo avo più famoso parla nei Promessi sposi?

Forse pensando a quanto è stato importante il pane prima del consumismo, alla sua sacralità di un tempo?

Non si sa, con l’arte concettuale tutto è possibile perché assimila e ingloba più significati.

  

 Mele cadute-1968- Piero Gilardi

Sempre attorno agli Anni Sessanta nasce in Italia il movimento artistico dell’Arte Povera, così chiamata per i materiali umili che gli artisti usavano, come cartapesta, stracci, o materiali riciclati; si opponevano all’arte tradizionale, ricercando l’essenzialità e relazionandola con la società contemporanea.

Dell’Arte Povera fa parte anche quella chiamata Ecologica o Sostenibile, questi artisti realizzano opere d’arte che affrontano il problema climatico e ambientale o creano opere tramite riciclo di materiali inquinanti. Piero Gilardi è un pioniere di questa arte, realizza alla fine degli Anni Sessanta i famosi ‘Tappeti Natura’ in poliuretano espanso riproducendo erba, piante e frutti che oltre che ad essere visivamente realistici lo sono anche al tatto ciononostante non sono naturali ma artificiali.

Il binomio natura-cultura di cui si occupa Gilardi, non solo influisce sull’ambiente ma anche individualmente su ogni individuo. Il cibo che mangiamo oggi è diverso da quello dei nostri nonni, certo abbiamo più varietà, più facilità nella conservazione, ma… patatine fritte, ogni sorta di snack, merendine, bibite gasate, il cosiddetto cibo spazzatura oltre a fare male crea dipendenza, ne mangiamo troppo, senza contare il pranzare in piedi velocemente con un panino che crea stress, che crea tutta una serie disturbi, senza dimenticare l’effetto degli OGM, che se pro o contro lo sapremo solo col tempo.

Daniel Spoerri- tableau-piège

Oggi che il cibo è un mito osannato con decine di programmi televisivi, di riviste, di ricettari di ogni genere da quello della nonna a quello dei grandi chef, sui social un’invasione di cucinieri più o meno esperti… poteva mancare Eat Art?    

Daniel Spoerri è un eclettico (ballerino, coreografo, scenografo, regista di teatro e di cinema, autore, editore, guida turistica, insegnante, ristoratore) artista nato nel 1930 in Romania e naturalizzato in Svizzera, è l’inventore della Eat Art ben prima che scoppiasse il boom culinario, già dal 1967 Spoerri iniziava una riflessione critica sul cibo.

Daniel Spoerri -tableau-piège

Negli anni Sessanta Spoerri cominciò a comporre gli ormai celebri tableau-piège, i quadri-trappola, ovvero incolla degli oggetti così come li trova sul tavolo da pranzo, piatti, bicchieri e avanzi di cibo che eternizzano    il momento del pranzo e della cena, diventano natura morta che viene appesa al muro, nature morte che chiamerà Eat art.

Ciò che importa a Spoerri non è la natura morta in sé stessa, ma l’atto del mangiare che lascia resti che vanno in putrefazione (memento mori) o inquinano: gli avanzi di cibo, lo sporco che l’uomo lascia nella natura, butta la carta per terra, i mozziconi delle sigarette, le bottiglie di plastica (oggi molto meno ma negli Anni Sessanta-Settanta non era così) Spoerri anticipa l’ecologismo e il salutismo, registra il passaggio dell’uomo che si siede a tavola, mangia e lascia i resti di cibo che Spoerri immortala… come noi un giorno saremo nient’altro che resti in decomposizione, come il cibo.

Carl Warner-Foodscapes- Fotografia

Ma non voglio certo chiudere questi quattro passi sulla storia dell’arte del cibo con la relazione di quest’ultimo con la morte, nel senso che oggi si parla molto di cibo, di cucina, ristoranti ecc. perché i tempi incerti ci fanno sentire di più il senso di morte, orribile ma è un dato di fatto, c’è chi per i like testimonia giorno per giorno il digiuno o il mangiar poco o all’opposto grandi abbuffate, rischiando la salute e forse anche la vita, non mi piace lasciare questo messaggio… vi lascio con i Foodscapes.

Carl Warner-Foodscapes- Fotografia

Per sensibilizzare una dieta più sana ed equilibrata, Carl Warner un fotografo inglese contemporaneo realizza i ‘Foodscapes’, cioè crea dei paesaggi gastronomici realizzandoli tramite alimenti freschi che a lavoro ultimato fotografa come testimonianza. (Fine)

Il cibo nell’arte XXXV parte

Lo statunitense Andy Warhol raffigura scatole di ‘Zuppa Campbell’, cibo seriale, commerciale, che se negli Anni Sessanta era ben visto e di moda oggi all’opposto è biasimato da una parte di popolazione che critica la globalizzazione e l’omologazione dei gusti e che ricerca cibo a chilometro zero e produzioni di stagione,   l’altra parte critica ugualmente ma gli è più comodo frequentare i fast-food per evitare di cucinare e per spendere poco.

Andy Warhol- Campbell’s soup – 1962

Il cibo in scatola di Warhol e le sue bottigliette di coca cola ribadiscono il concetto di riproducibilità dell’arte che non è più un’opera unica ma è seriale e meccanica così come è diventato seriale e ripetitivo il gusto alimentare nella cultura di massa… la Pop Art nasce negli Anni cinquanta negli Stati Uniti, nel 1964 arriva alla Biennale di Venezia ed è boom.

Andy Warhol- Coca-Cola – 1962

A questa visione commerciale del cibo inscatolato di Warhol si contrappone ‘Vucciria’ il dipinto che Renato Guttuso realizza nel 1974 raffigurando lo storico mercato di Palermo, uno spazio riempito all’inverosimile di frutta, verdura, salsicce, uova, addirittura un mezzo bue e un coniglio appena scuoiato appesi a dei ganci. Un trionfo alimentare per gli occhi e la gola senza nessuna ideologia vegana o vegetariana. 

    

Renato Guttuso- Vucciria- 1974-Palazzo Chiaramonte-Steri – Palermo

È un dipinto che è lontano da noi di qualche decina d’anni, ma qui non vi è nessun senso di colpa per gli animali uccisi, qui il cibo si mostra nella sua opulenza barocca che ci colpisce per colore e vivacità; d’altronde il mercato è un qualcosa che nasce addirittura nel Neolitico, è un qualcosa che è nel nostro inconscio collettivo… se ci pensate acquistiamo ancora al mercato che a ben vedere non ha le norme igieniche a cui ormai siamo abituati.

Luciano Ventrone-Il dono di Bacco- 2011

Sulla stessa via del trionfo del cibo di Renato Guttuso si affianca Luciano Ventrone il pittore romano che fa parte dell’Iperrealismo che come dice la parola è troppo reale, tanto da diventare astratto, un qualcosa d’altro, la tecnica di Ventrone è sbalorditiva tanto che Federico Zeri lo definì il Caravaggio del XX secolo.

 Luigi Benedicenti- Pasticcini

Luigi Benedicenti altro pittore questa volta torinese, strettamente legato al movimento dell’Iperrealismo, è noto soprattutto per i suoi dipinti di fette di panettone o di pasticcini. Come Ventrone ha una bravura che ci lascia stupiti, i suoi dolci fanno pensare alla mancanza di dolcezza umana, che latita in questo mondo di cattive maniere, più indifferente che maleducato. Il gusto dolce piace più o meno a tutti, il dolce ci fa pensare alla madeleine di Proust, al panettone che si mangiava solo a Natale, alla ciambella della nonna, al latte della madre: i cibi ricchi di zuccheri, aumentano la serotonina, l’ormone del buonumore.

Luigi Benedicenti- Panettone

L’ Iperrealismo di Ventrone e Benedicenti, superano il realismo e quindi vogliono dire qualcosa d’altro, se il primo ci fa pensare col rigore compositivo alla solitudine e il secondo alla dolcezza come mancanza di qualcosa, un altro pittore, Giorgio Morandi questa volta un bolognese, è un’artista che non ha niente a che fare con l’Iperrealismo, tuttavia con pochi tocchi di colori neutri e terrosi, realizza nature morte metafisiche e silenziose… le sue nature morte, in particolare le bottiglie, ci appaiono quasi come gruppi di uomini e donne solitari e arresi all’immensità dell’universo.

Giogio Morandi- Natura morta-1952

(continua)

Il cibo nell’arte XXXIII parte

Il Novecento si apre con grandi mutamenti, con un alto sviluppo tecnologico e scientifico, che porta a un cambiamento anche sociale e culturale, le invenzioni come l’elettricità, la radio, la televisione, la penicillina, gli antibiotici, l’auto, l’aereo e molto altro, portano all’umanità l’idea che al progresso non ci sia mai fine, che la scienza potrà un giorno renderci immortali. Il pensiero scientifico guida e trasforma quello estetico, filosofico e letterario; gli artisti registrano in anticipo le idee che circolano, se una natura morta ottocentesca è simile a quella rinascimentale, la natura morta di Picasso sembra lontana da qualsiasi riferimento. Picasso e gli altri cubisti frantumano la realtà e la ricompongono attraverso la sovrapposizione di più vedute. Il Cubismo introduce nella pittura la quarta dimensione, il tempo e lo spazio, più si va veloci nello spazio e più si rallenta nel tempo e viceversa: Einstein ci ha reso quello che siamo oggi sempre di corsa con la sensazione errata di poter fermare il tempo.  

Pablo Picasso-Natura morta con pane e fruttiera- 1090-Kunstmuseum-Basilea

Anche il rapporto col cibo, anche la gastronomia cambia velocemente, dopo i primi grandi ristoranti d’eccellenza, a fine Ottocento nasce la Guida Michelin che seleziona sul territorio i ristoranti migliori segnalandoli con una stella, la Guida ovviamente esce in Francia, da un’idea dei due fratelli fondatori dell’omonima fabbrica di pneumatici, per invogliare gli automobilisti ad usare l’auto per turismo, per aumentare così la vendita di gomme per auto… l’auto è più della Nike di Samotracia, così dicevano i futuristi. Il Futurismo esalta la bellezza della tecnica, del movimento, apparentemente le loro opere sono simili a quelle Cubismo, ma lo scopo è diverso, i futuristi indagano il rapporto tra spazio e tempo… la velocità.

Georges Braque-Natura morta-1927- Philips Collection-Washington

Anche la cucina italiana è in fermento escono pubblicazioni con le ricette regionali, ma viene anche pubblicato da Tommaso Marinetti il ‘Manifesto della Cucina Futurista’, che a dir la verità servì più come provocazione, come idea rivoluzionaria, che gastronomia pratica e reale. I futuristi contestavano la tradizione culinaria in particolare la pastasciutta, propendevano per nuovi abbinamenti di sapori, per una cucina veloce, i nomi dei piatti erano fantasiosi e ispirati alla velocità e alla tecnica, un’attenzione particolare era per la presentazione del cibo che doveva essere come un’opera d’arte, inoltre osannavano la chimica perché creasse cibo e vitamine in pillole in modo di velocizzare i pasti.

Gino Severini- Grande natura morta con la zucca-1917- Pinacoteca di Brera

La cucina futurista fallì, fu stroncata da numerose critiche negative… a posteriori possiamo dire che la cucina futurista era solo in anticipo sui tempi, si pensi ad oggi, a tutti quegli integratori che prendiamo o alla Nouvelle Cuisine che si affermò sempre nella solita Francia e che è per l’adozione delle più moderne tecniche, per la riduzione dei tempi di preparazione e di cottura, per nuove ricette fantasiose, per la sperimentazione di nuovi ingredienti e di nuovi accostamenti e per una presentazione decorativa e artistica.

Gino Severini-Natura morta con bottiglia di vino, brocca e pere-1920- Collezione privata

Negli Anni Venti per gli artisti ci fu un ritorno all’ordine, un rinnovato interesse per la tradizione segnato in Italia dall’avvento del fascismo: confrontando due nature morte di Gino Severini, una del 1917, ‘Grande natura morta con la zucca’ in cui Severini è nel periodo del Cubismo sintetico, una realizzata nel 1920 ‘Natura morta con bottiglia di vino, brocca e pere’ si può comprendere l’incertezza ideologica del tempo e i relativi cambiamenti veloci. (Continua)

Il cibo nell’arte XXXII parte

All’inizio dell’Ottocento pochi si rimpinzavano, circa il 20%, con varietà di cibo, mentre il resto si riempiva la pancia con minestroni, cereali e soprattutto in certe zone solo con la polenta, si diffuse così la pellagra una malattia che causava dermatite, diarrea e demenza e che era la conseguenza del cibarsi solo di polenta.

Luigi Monteverde- Natura morta con biscotti

Diventa invece usuale la frutta e il dolce, grazie anche all’introduzione della barbabietola da zucchero, per i ricchi e gli agiati non c’erano problemi consumavano cioccolata e i nuovi prodotti dolciari che i pasticceri francesi avevano creato come ad esempio il savarin una specie di pan di spagna imbevuto di liquore, simile al babà, una ciambella rotonda col buco riempito con crema chantilly frutta fresca oppure i fondant, caramelle candite o marron glacé e poi si creò il primo stampo rotondo per torte e arrivò il pan di spagna e la famosa, tutt’oggi una garanzia di bontà, la Saint-Honoré.

Luigi Monteverde- Natura morta con uva e fiasco di vino

Luigi Monteverde (1843-1923) nacque a Lugano, è stato un pittore famoso per la sua tecnica ispirata alla fotografia, dotato di un meticoloso realismo; nella prima immagine ci offre una natura morta ricca di fondant, biscotti, dolci, liquori e frutta sciroppata, dandoci un’idea della pasticceria ottocentesca, nella seconda ci sbalordisce… fu chiamato il Raffaello dell’uva. 

Auguste Renoir-Natura morta con pesche- 1881- MET museum- New York

La frutta piace molto e i ceti agiati possono avere più varietà, il ceto povero si accontenta di quella stagionale, se abita nel Sud Italia avrà arance e limoni se al Nord pesche, mele, pere, uva… la frutta trionfa nelle nature morte degli impressionisti e dei post-impressionisti.

Paul Gauguin-Natura morta con pesche-1889-Fogg Museum-Cambridge-USA

Una carrellata di immagini in cui per Renoir e per Gauguin conta il rinfrangersi della luce, con rapide pennellate di colore vivo, evitando di mescolarlo ma accostando i toni vivaci l’uno accanto all’altro, rendono la rotondità dei frutti con l’intensità del colore. In queste nature morte Gauguin è ancora vicino all’impressionismo tuttavia già si nota il suo senso innato di libertà nell’uso del colore e la solidità delle forme.

Paul Gauguin- Natura morta con arance- 1881

Diversamente da Gauguin che usa principalmente il colore, Paul Cézanne, altro grande post-impressionista che influenzerà il cubismo, cerca di geometrizzare le forme, Cezanne è convinto che ogni oggetto corrisponda a una forma geometrica… si parte da un cono, da un cilindro o da una sfera.

 

Paul Cézanne-Natura morta con mele e arance-1895-Musée d’Orsay, Parigi

William Joseph McCloskey (1859-1941) è un pittore americano noto per il suo realismo, si potrebbe definire copiando il soprannome di Luigi Monteverde, il Raffaello delle arance, l’artista dipinge le arance dandoci quasi la sensazione di toccare la loro buccia granulosa, il piano è poi talmente lucido che i frutti vi si specchiano inoltre si diverte a mostrare la sua bravura nelle increspature della carta. 

William J. McCloskey-Arance incartate-1889- Amon Carter Museum of American Art

La carta gli serviva come espediente per dare più volume e realismo mentre io pensavo che ritraesse le arance così incartate come le comprava, questo perché, un tempo e sino a non molti anni fa, le arance erano vendute confezionate, si utilizzavano dei fogli quadrati di carta velina allegramente decorati che avvolgevano le arance per proteggerle durante la spedizione nei mercati.  (Continua)

Il cibo nell’arte XXX parte

Dal Rococò settecentesco entriamo nell’Ottocento, si ampliano i mercati, vi è maggiore disponibilità di alimenti, cioccolato, caffè e the già diffusi nel Settecento diventano dei veri e propri riti, questo anche perché nascono tante cioccolaterie, pasticcerie e caffè, luoghi di ritrovo che oltre alla somministrazione di bevande sono luogo di socializzazione.

William Salter- Il banchetto dopo la battaglia di Waterloo- 1836- Collezione privata

Se all’inizio del secolo Napoleone è stato relegato a Sant’Elena e le grandi monarchie con la Restaurazione pensano di poter tornare allo status quo precedente, in realtà non sarà proprio così, gli ideali di libertà e di uguaglianza sono merce astratta e non è possibile bloccarla, la Monarchia in pochi anni scomparirà un po’ ovunque, l’alta borghesia attiva e intraprendente, che si basa sul lavoro e soprattutto sulla tecnologia prenderà il suo posto, gli alimenti del palato fine dell’aristocrazia ora sono sulla tavola dei nuovi ricchi: la borghesia è sull’onda delle nuove invenzioni, il progresso della tecnica si fa rapidissimo, creerà una nuova era d’oro chiamata Belle Époque, che finirà come il Titanic, è l’era degli ingegneri, del sempre più avanti, del trionfo della ragione.

George Jones- Il banchetto nel tunnel del Tamigi- 1827 – Gorge Museum Trust

Nel 1827 Isambard Kingdom Brunel, un ingegnere inglese, realizza un tunnel sotto il Tamigi a Londra, un’opera geniale che stupisce a tal punto che originariamente progettato per il passaggio delle carrozze divenne passeggiata turistica; per l’inaugurazione venne organizzato un suntuoso banchetto proprio sotto al Tunnel… sono i nuovi banchetti aristocratici, di coloro che possono tutto perché hanno il denaro.

Alfred Edward Emslie- Cena ad Haddo House-1884-national Portrait Gallery- Londra

Nell’Ottocento la borghesia degli imprenditori, dei grandi industriali, di chi lavora nell’alta finanza, accumula grandi patrimoni a cui manca la ciliegina sulla torta, il titolo nobiliare, che acquisiscono spesso imparentandosi, tramite matrimoni, con la vecchia aristocrazia. Attraverso gli artisti possiamo vedere la loro tavola imbandita come in una foto istantanea: la sala da pranzo piena di ritratti, la lunga tavola con una candida e finissima tovaglia, l’argenteria con gli eleganti candelabri, l’eleganza degli abiti e delle acconciature delle signore, gli uomini in abito nero e camicia bianca nuovo status-divisa-uniforme borghese che vuole apparire seria e austera, non manca il suonatore di cornamusa… è la casa scozzese del conte e della contessa di Aberdeen, tra gli ospiti di spicco vi sono personaggi dell’alta borghesia.

Peder Severin Krøyer- Cin cin-1888- Gothenburg Museum of Art

Della borghesia facevano parte anche i medici e avvocati, gli impiegati, i commercianti, gli insegnanti, gli artigiani, solo gli operai non ne facevano parte, questi ultimi anzi si organizzeranno per dar contro alla borghesia in quanto sfruttati, sono gli operai a produrre le merci ma l’imprenditore per tornaconto si intasca il plus valore delle merci… una lotta che durerà sino a un cinquantennio fa.

Della media borghesia facevano parte anche gli artisti, così tramite le loro opere vediamo le loro scampagnate, i loro banchetti, tanto da avere una visione abbastanza ampia non solo di cosa e di come mangiavano, ma come si divertivano, come vestivano e anche quanto erano trasgressivi o all’opposto introversi interrogandosi su chi faceva ancora la fame.   

 

Pierre-Auguste Renoir- La colazione dei canottieri- 1880-Phillips Collection-Washington

Così possiamo ammirare una festa nella casa di campagna di una comunità di artisti scandinavi che sta allegramente brindando, confrontandola con ‘La colazione dei canottieri’ di Renoir, anche qui un gruppo di amici e conoscenti che hanno appena finito di mangiare, ciò che accomuna i due dipinti è l’aria serena e vivace sembrano veramente rilassati e felici. Il canottaggio, lo sport in generale, era il nuovo divertimento della borghesia… sport, buon cibo, chiacchiere, corteggiamenti e un cagnolino da

v

ezzeggiare.

Claude Monet- Il pranzo- 1868- Staedel Museum- Francoforte

Oppure curiosare sull’abbondante colazione che si serviva alla tavola di Monet, che immaginiamo sereno in questo luminoso ambiente mentre ritrae la moglie Camille assieme al figlio Jean. Un periodo breve perché solitamente Monet era in ristrettezze economiche, inoltre di lì a poco l’amata moglie muore… aver conosciuto la felicità rende ancora più tristi i giorni del dolore.

Peder Severin Krøyer,-A pranzo-1893- Copenhagen

Oppure sbirciare un pranzo di intellettuali, Krøyer il pittore danese famoso per la sua naturalezza, autore del brindisi e dell’allegra compagnia (dipinto presentato poco sopra) realizza anche un’intima colazione dove si ritrae assieme alla moglie e allo scrittore Otto Benzon: un ambiente semplice ma decoroso e luminoso, un pasto frugale allietato da un mazzetto di fiori gialli ma guardate le espressioni del viso, il cibo ha poca importanza, qui si filosofeggia, si discute, non si pensa con la pancia o lo stomaco.   (continua)

Il cibo nell’arte XXIX parte

Nel Settecento vi furono molti cambiamenti nell’alimentazione, in particolare per la popolazione, cibi come il mais e la patata, inizialmente considerati solo per l’alimentazione animale, si diffondono un po’ ovunque anche perché si raccomandava la loro coltivazione per prevenire le carestie, sono cibi alla portata delle classi popolari e assai gustosi, col mais si fanno polente, divenne l’alimento base soprattutto in Italia settentrionale, anche il pomodoro sino ad allora coltivato come pianta ornamentale venne utilizzato come cibo e diffuso in particolar modo nell’Italia meridionale dove grazie alle lunghe giornate di sole si inizia a produrre la pasta essiccata, polenta al Nord e pasta al pomodoro al Sud una tradizione che vale tutt’oggi.

Scuola di Martin van Meytens-L’incoronazione di Giuseppe II a Francoforte-1764

Le patate non solo erano cibo per la gente comune, piacevano un po’ a tutti e nel ‘700, a Parigi divennero di gran moda, come accade anche oggi, venivano vendute in cartocci come cibo da passeggio.

Il caffè era l’altra grande moda, era alla portata di tutti, del resto anche oggi il caffè ha un costo molto abbordabile, diversamente la cioccolata aveva un costo elevato ed era riservata alla sola aristocrazia.

Jean Baptiste Simeon Chardin- Le Bénédicité-1740

Ho già scritto che nel Seicento vi erano una serie di artisti specializzati in nature morte con gli alimenti e il cibo dei ceti inferiori, in particolare della tavola della nascente borghesia, artisti che ritroviamo nei Paesi Bassi, in Spagna e in Italia, molto meno nella corte francese dove la differenza tra la tavola aristocratica e quella borghese si acuisce, un borghese per quanto ricco non avrebbe mai potuto aspirare ad avere la raffinatezza e la nobiltà di maniere di un aristocratico, per vedere un cambiamento occorre aspettare la fine del secolo e la rivoluzione.

Jean-Baptiste Siméon Chardin-Cesto di fragole-1761, olio su tela- Collezione privata

In Francia c’è una corte edonista e frivola e non ritroviamo pittori che si dedicano al tema dei pasti del contadino, il pane col salame, la cipolla e il fiasco di vino, eppure c’è un pittore che al pari dell’olandese Jan Veermer è in grado, tramite un’impalpabile luce soffusa e tremula, di realizzare nature morte con fragole e pani o di riprendere una cuoca o una semplice colazione creando un’aura dignitosa, quasi sacra, assai distante dalle scene di genere e dalle nature morte spagnole, fiamminghe o italiane sempre un poco caricaturali o gradasse… questo pittore è Chardin.

Jean-Baptiste Siméon Chardin – La brioche- 1763-Museo del Louvre

Jean-Baptiste-Siméon Chardin (1699-1779) è famoso soprattutto per le nature morte, create con uno stile leggero ed evanescente, tuttavia scevro dalla frivolezza adulterante del Rococò che era di moda alla corte francese del Settecento. I soggetti di Chardin, scene della vita quotidiana del popolo e nature morte, sono nella classificazione artistica di livello assai inferiore del genere storico ma Chardin raggiunge con la sua bravura livelli talmente alti che è considerato come uno dei maggiori artisti francesi del XVIII secolo.

Jean-Baptiste Siméon Chardin-Natura morta con trancio di salmone- 1730-Musée Granet

Chardin fu apprezzato non solo dalla borghesia, che riconosceva in lui un realismo sincero ma anche dall’aristocrazia, Luigi XV era un suo fervente ammiratore, come lo fu Denis Diderot, come pure fu ammirato dai posteri, da artisti come Cézanne e Morandi, autori di nature morte altrettanto iconiche.

Jean-Baptiste Siméon Chardin- La cuoca-1740- Alte Pinakothek-Monaco

Chardin dipinge con colori terrosi imbevendoli con una luce che fa tremolare il tutto, un qualcosa che a che fare col ricordo, come un piatto che ci ricorda la nonna, un gusto lontano che da olfatto diventa sensazione, emozione, che accende involontariamente la memoria, Proust davanti alla ‘Razza’ di Chardin restò talmente colpito da scrivere… e voi potete ammirare la bellezza della sua architettura delicata e grandiosa, colorata di sangue rosso, di nervature turchine e di muscoli bianchi, come la navata di una cattedrale policroma. (Continua)

Jean-Baptiste Siméon Chardin-La razza-1727- Museo del Louvre

Il cibo nell’arte XXVII parte

Il Settecento è il secolo dei Lumi e della Rivoluzione Francese, vi sono molti cambiamenti culturali anche nella cucina e negli alimenti vi è una trasformazione, la Francia continua a primeggiare ma se nel Seicento vi era la gastronomia aristocratica contrapposta a quella semplice dei popolani, ora si affianca la cucina della borghesia, meno raffinata di quella dei nobili, ma ricca di carne e con la stessa passione per le bevande come caffè, the e cioccolata, continuando l’uso degli alcolici quali il vino, la birra e il sidro.

Pietro Longhi-Il banchetto a Casa Nani, nominato in onore del loro ospite, Clemente Augusto, arcivescovo elettore di Colonia, il 9 settembre 1755

Pietro Longhi (1702 –1785) è un pittore veneziano molto noto per le sue scene di genere assai realistiche, ritrae gli eventi, le occasioni e i modi dell’aristocrazia veneziana ma soprattutto riprende le scene di vita quotidiana del popolo e dei borghesi. Così è possibile mettere a confronto lo svolgimento di un banchetto con quello di un pranzo quotidiano in villa o il momento in cui il nobile era ospite di un suo fittavolo durante un pranzo contadino, i dipinti testimoniano anche l’usanza dell’aristocrazia veneziana che durante l’estate si spostava in campagna, presso le ville che si erano costruiti sul Brenta, oggi Patrimonio Unesco.

Pietro Longhi- Pranzo in villa- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Longhi ritrae principalmente la borghesia veneziana, ma al suo sguardo vorace e curioso non sfugge nulla, con un’attenzione ai particolari assai precisa e meticolosa, dai salotti dei nobili, agli svaghi e ai pranzi dei borghesi, alla gente comune come le lavandaie o ad una tavolata dove si impiatta la polenta, dipinge una cronaca dove i personaggi ci appaiono come figurine di un laico presepe rococò; al Barocco imponente e ridondante, si sostituì l’effimero Rococò, che dalla corte di Re Luigi XV si diffuse in tutta l’Europa del Settecento… Rococò in cui tutto, a partire pure dal nome, appare come un sogno leggero e vezzoso.

Pietro Longhi- Pranzo in campagna- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Longhi ritrae anche tutta una serie di personaggi che arrivavano durante il carnevale, cavadenti, maghi, e ciarlatani e poi i divertimenti, le curiosità e le stranezze, un suo famoso dipinto raffigura un grosso animale, questa volta non come cibo ma come attrazione esotica, un rinoceronte chiamato Clara arrivato dall’India per il carnevale del 1751.

Pietro Longhi- Il rinoceronte- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Le opere del Longhi ci appaiono vive e teatrali, quasi come un film, anzi come scene teatrali, visto che il Settecento è il secolo di Goldoni di cui Longhi era grande amico.

Osservando le scenette di Longhi si intuisce ciò che avviene anche in altri luoghi alla moda, infatti Venezia in questo periodo stava vivendo anni luminosi e influenzava il gusto e la moda con l’arte del lusso, della musica e del teatro, fu un po’ il canto del cigno perché alla fine del secolo con Napoleone e il Trattato di Campoformio si concluse la lunga storia della Serenissima.

Pietro Longhi- La polenta- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Relazioni e scambi fra Venezia e Parigi furono frequenti, lo stesso Goldoni nel 1762 si trasferisce a Parigi e arriva a Versailles dove riesce a stupire la modaiola corte francese che si aspettava la commedia dell’arte ‘classica’ (zeppa di maschere e di recitazione surreale ed improvvisata) e si trovò di fronte la sua riforma del teatro che riproduceva platealmente la società contemporanea… il teatro verosimile.

Jan Baptist Lambrechts- banchetto e scena di danza- inizio XVIII secolo

Seppur lontani gli ambienti e i riti si assomigliavano, il fiammingo Jan Baptist Lambrechts (1680 -1731) rappresenta le scene di vita quotidiana del Nord Europa e non vi si trovano grosse differenze con le scenette del Longhi, se non che quest’ultimo era dotato di una tecnica più precisa e intrigante.  (Continua)

IL romagnolo che divenne re

Luigi Filippo  romagnolo

Il 17 aprile 1773, a Modigliana, in provincia di Forlì, vedeva la luce una bambina nata da una misteriosa coppia di nobili francesi e contemporaneamente a una coppia del luogo, i Chiappini, nasceva un maschio. Dopo alcuni giorni la coppia di nobili partiva portando con sé non la figlia ma il maschietto romagnolo. La coppia romagnola di fronte a probabili elargizioni aveva ceduto il bambino in cambio della bimba. La coppia francese era formata da Luigi Filippo, pretendente al trono di Francia, e da sua moglie Luisa Borbone Orleans. Luigi Filippo, dopo essere stato eletto Gran Maestro del Grande Oriente della Massoneria francese nel 1771,  aveva aderito alla Rivoluzione francese cambiando il suo nome in “Philippe Egalité” e, eletto deputato, aveva votato a favore della condanna a morte del cugino Luigi XVI, il che non lo aveva salvato dall’essere a sua volta ghigliottinato nel 1793. Luigi Filippo essendo privo di una discendenza maschile colse l’occasione per presentarsi in patria con un legittimo erede maschio, il quale fu registrato come nato e battezzato a Parigi. La famiglia Chiappini, mise a profitto i soldi ricevuti, riuscendo a ritagliarsi un buon posto nella società. La loro figlia, Maria Stella, andò sposa a un nobile inglese e poi ad un barone e visse nel lusso. Alla morte del padre un notaio le consegnò un plico che la informava dello scambio di neonati. Maria Stella si mise alla ricerca dei genitori, scoprì la verità, andò a Parigi infamando il maschietto romagnolo, che nel frattempo, nel 1830, era diventato re di Francia col nome di Luigi Filippo. Il nostro Luigi Filippo fu  stimato dalla borghesia per il fare dimesso e le riforme liberali, mentre i suoi avversari lo bersagliarono per la sua incoerenza e debolezza, ritraendolo sovente con la faccia a pera. Nel 1848 fu costretto ad abdicare, chiudendo poi la sua vita nel 1850 in Inghilterra. Questa assurda storia ne ingloba altre ancora più strane, come ad esempio che Carlo Alberto di Savoia avesse sostituito il figlio morto in un incendio, con il figlio di un macellaio, il sospetto che Chambord, chiamato il “figlio del miracolo” fosse un bastardo, l’arciduca Johann Salvator e il suo fantomatico gemello, per arrivare a Giuseppina di Beauharnais e a Napoleone Bonaparte e i loro presunti legami con il sangue reale dei Merovingi, i primi re dei Franchi, i re taumaturghi, ovvero guaritori, con il solo tocco delle mani. Per accettare un minimo di queste bizzarrie, occorre capire lo scontro, allora in atto in Francia, ma anche altrove, fra gli orleanisti e i legittimisti. Gli orleanisti, continuatori della Rivoluzione del 1789, auspicavano una monarchia costituzionale, non più di diritto divino, mentre i legittimisti rivendicavano la legittimità del potere dinastico spettante per grazia di Dio ed erano molto legati alla Chiesa. I legittimisti, nel 1830, rifiutarono di giurare fedeltà al re “romagnolo” Luigi Filippo, per rimanere fedeli alla linea primogenita dei Borbone, e sostennero, senza successo, la candidatura al trono del pretendente Enrico di Chambord, con il nome di Enrico V. Scrive Georges Lefebvre: “Dietro la rivoluzione dinastica vi fu una rivoluzione politica; la nazione scelse il suo re e gli impose una costituzione votata dai suoi rappresentanti… la minaccia di un ritorno all’ancien regime fu eliminata e la nuova società creata dalla Grande Rivoluzione fu messa al sicuro. La rivoluzione del 1830 è così l’ultimo atto della Rivoluzione cominciata nel 1789”. E tutto questo cosa c’entra con Rennes le Chateau? L’abate di Rennes avrebbe avuto la donazione di 3.000 franchi da Maria Teresa d’Asburgo Este, vedova del conte di Chambord, “detronizzato” dal “nostro” Luigi Filippo, e  successive elargizioni da parte del nipote di Maria Teresa, quell’enigmatico e misterioso arciduca Johann Salvator di Asburgo. Non basta, l’abate Bérenger Saunière, oltre ad aver avuto relazioni con alcuni membri degli Asburgo, potrebbe aver conosciuto un altro inquietante e famoso personaggio dell’epoca Karl-Wilhelm Naundorff , che affermava essere il Delfino di Francia, sopravvissuto alla morte dei suoi genitori, Maria Antonietta e Luigi XVI.

immagine: Luigi Filippo “romagnolo”

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 21/02/2012