MELANGOLO D’AMORE

 

Giorgione_100Nella vita ci sono sempre nuovi incontri, io non sapevo dell’esistenza  del melangolo ma me ne innamorai perdutamente. Con l’incoscienza della giovane età, io e la mia famiglia eravamo partiti per una vacanza in Tunisia, nonostante l’imminente guerra del Golfo, erano gli anni novanta, anzi proprio per questo eravamo partiti, la gente non prendeva più l’aereo e i prezzi dei viaggi erano scontatissimi. Il giorno prima della partenza l’agenzia viaggi, forse per  paura che  rinunciassimo  alla vacanza, il Governo aveva deciso che i viaggiatori che non partivano dovevano essere rimborsati, perché era sconsigliabile farlo, non sicuro, ci aveva comunicato che saremmo stati  ospitati in un hotel a cinque stelle.Vivere da ricchi, si sta veramente  alla grande, fummo accolti benissimo, lusso,  garbo e soprattutto la capacità di farti sentire a tuo agio, anche se magari ero un po’ imbranata per certe comodità a cui non sono abituata. Nel giardino di questo hotel da mille e una notte, vi era un angolo chiamato “Jardin d’orange”, io lo guardavo dalla finestra lobata, dai vetri  colorati, e vi andavo a passeggiare, mi sembrava di essere una principessa nel   regno delle arance.Tanto mi piaceva che il giorno della partenza scesi in giardino con l’intento di rubarne qualcuna per ricordo. Non è facile rubare, pensarlo sì che sembra agevole, ma farlo è un’altra cosa, inoltre gli alberi erano piuttosto alti e io non riuscivo ad afferrarne nessuna, alla fine con fatica un’arancia l’acchiappai, la nascosi prontamente in borsa, nel mentre usciva un anziano signore  intabarrato in un lungo caftano il quale mi disse: “shalom”, una parola ebraica che significa pace,ciao, arrivederci o stare bene, in pratica mi diede l’assoluzione per il furto, o almeno così pensai io.Misi l’arancia nella valigia, pregustando il momento in  cui mangiando l’arancia, avrei rivissuto irrealmente ciò che era realmente accaduto.A me piace sognare e realizzare un sogno, ma piace anche l’incontrario, rivivere  la realtà come un sogno.Tutto doveva essere a posto, in ordine, per poter mangiare l’arancia, ogni cosa è importane se si  realizza con  riti e simboli.Sbucciai l’arancia, profumatissima, misi in bocca uno spicchio…non era un’arancia, era amarissima, immangiabile, ma io non sopporto di perdere un sogno, aggiusto alla mia maniera, se fosse stata un’arancia sarebbe stata come le altre, essendo diversa era più bella, perché  è la diversità che crea la bellezza,  mi innamorai così dell’arancia amara…il  melangolo.Pietro Bembo è stato il primo letterato a descrivere le pene d’amore, sia al maschile che al femminile. Sino al suo capolavoro letterario, gli “Asolani”.Per un maschio era assolutamente disdicevole raccontare, e forse anche provare, pene d’amore. Con il suo libro, questi sentimenti divengono oggetto di struggimenti descritti senza alcuna remora.Per l’epoca fu quasi una rivoluzione culturale. Giorgione rappresenta in una sua opera le pene d’amore, dove vengono dipinti due giovani. L’uno, in primo piano, è sognante, malinconico e stringe in mano un melangolo, frutto simbolo dell’amore nelle sue diverse sfaccettature. Alle sue spalle, rubizzo e fiero, un secondo giovane affronta con tono assai diverso la passione amorosa, a simboleggiare l’amore sensuale, fisico, che non si pone troppi problemi. Due facce di un medesimo sentimento, meravigliosamente raccontate sia dalla scrittura del Bembo che dal pennello del Giorgione. Melangolo, Citrangolo o più comunemente Arancio amaro sono i nomi volgari del Citrus aurantium, un alberello sempreverde, dalla chioma folta, che si fa notare soprattutto per i frutti che spiccano, nel fogliame di un bel verde intenso e brillante, come globi d’oro.I botanici hanno chiamato questi frutti  “esperidi”.È un nome che ci rimanda alla mitologia greca, alle Esperidi appunto, mitiche figlie della Notte, di una notte che cela in sé il sole, i suoi frutti d’oro.Le Esperidi infatti, con i loro quattro nomi (Lipara, Crisotemi, Asterope e Igea) indicano quattro fondamentali qualità solari, rispettivamente: la morbida luce, l’ordinamento aureo, il folgorio, la salute.Le Esperidi perciò erano poste a guardia di un giardino di piante solari, portatrici di pomi d’oro.Quindi il melangolo porta malinconia d’amore, ma a  Oriente c’è il sole e da  Oriente provengono le arance, tutte anche il  melangolo, quindi a me piace pensare  che l’amaro del  melangolo sia solo l’amarezza di un amore che finisce, amarezza dovuta all’incapacità di coltivare questo amore, il quale è come un fiore che  appassisce se non gli si da acqua.Mio fratello, si innamorò perdutamente di una ragazza romana, fui invitata al suo matrimonio tenutosi a Roma, qui reincontrai il melangolo, abitando io al nord, il  melangolo proprio non esiste qua, ed anche le arance, sì ci sono, a quintalate,  ma non certo sull’albero. La cerimonia si svolse nella severa, spoglia, luminosa e spagnoleggiante chiesa di Santa Sabina, mio fratello cercava un legame fra Ravenna e Roma, lo trovò in questa chiesa sorretta da Domenicani sin dal 1222, Dante sepolto a Ravenna studiò dai Domenicani, esaltandoli nel suo Capolavoro. Anch’io ho come Dante una passione per i Domenicani, così discorrendo con uno di loro sono venuta a  conoscenza di una bomba presente nella chiesa, la cosiddetta “bomba” di San Domenico L’immaginario del popolo romano fece nascere la credenza che l’antica basilica, come tutte le chiese sorte sopra i templi pagani, fosse presa di mira dai diavoli. Poco dopo l’ingresso, in un angolo a sinistra su una colonna, c’è una pietra ovale di basalto nero con tre fori, nota come la bomba di San Domenico. Secondo la tradizione, la pietra fu scagliata da un Satana infuriato contro Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine domenicano, che era solito pregare sopra un sepolcro-altare che conteneva le ossa di alcuni martiri. La pietra colpì il sarcofago e ancora oggi sono visibili i fori provocati dalle dita fiammeggianti del diavolo. In realtà la pietra è probabilmente un peso di una bilancia romana o una macina di mulino rinvenuta nei sotterranei della chiesa.Accanto alla chiesa una terrazza/giardino con una vista mozzafiato sulla Città Eterna, con tanti alberi di  Melangolo, li riconobbi subito, i frutti sono più tosti e corposi, con un colore  più vivo di quello delle arance.Il giardino deve le origini del suo nome, Giardino degli Aranci, alle leggende nate intorno alla vita di San Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine dei Domenicani che visse e operò nel monastero.Così, un arancio nel giardino del chiostro, ancora visibile da una apertura nella navata, è proprio quello che il Santo aveva portato dalla Spagna.La leggenda narra che da quell’albero Santa Caterina abbia colto le arance donate a papa Urbano VI, candite. La pianta conserva ancora un che di miracoloso: nonostante sia ormai secco, un altro albero è cresciuto sui suoi resti e continua a fare frutti! Così l’orto del convento divenne “Il Parco degli Aranci”, e numerosi sono ora gli alberi, che producono arance amare, piantati per decorare il giardino.E così il melangolo è tornato a farmi visita e voi credeteci o no come bomboniera ho ricevuto, fra i tanti alberelli in ceramica che erano il dono scelto per gli ospiti dagli sposi, di melangolo, di pero, melo, limone ecc., un alberello di melangolo, l’ho messo tra i miei libri, e sappiate che non ho barato perché  i doni  erano  in scatole di cartone , incartate e infiocchettate.

immagine: Doppio ritratto di Giorgione, 1502

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”