LA CAVEJA CANTERINA

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“Dritta, piantata avanti sopra il timone  all’uso di una torcia a vento alta nella mano, la caviglia canta e fa buono come un campanile che sleghi le sue campane. E nelle anelle è tutta la passione di un canto che muore tra un viottolo lontano, ha il trillo dell’allodola, lo stridere del rondone  e tutte le nostre voci che cullano il grano. Le anelline hanno un suono che sembra d’argento  come il ridere di un bimbo che non  sta mai fermo, con le guance che fanno le fossette e i denti bianchi. Le anellone voce da babbo, vociona grossa  che vorrebbe essere cattiva ed invece è amica: ecco la musica buona della fatica”, così poetando Aldo Spallicci  si riferiva alla caveja. Il tiro dei buoi si univa al timone del carro agricolo a mezzo di due perni: la caveja ad tiratura che serviva per tirare e la caveja stadura  adibita a frenare, quest’ultima posta più in alto e perciò più visibile, è la caveja che ancora oggi è simbolo della Romagna. La caveja ha origini antichissime. La sua antenata potrebbe essere quella trovata in Mesopotamia, facente parte di un carro babilonese di 5400 anni fa. Oppure nientedimeno, quella raffigurata sul carro del faraone Ramses II. Questi viene considerato come uno dei grandi della storia, il suo regno si protrasse per 67 anni ed  è uno dei più longevi della storia d’Egitto. Divenne famoso come grande sovrano guerriero ma non solo: fece costruire opere grandiose mai più eguagliate. Visse fino all’età di 97, ebbe 77 mogli e 169 figli. Famosa divenne la sua sposa prediletta, Nefertari, il cui nome significa, la bella fra le belle. Pensate un po’ quanto è nobile la nostra caveja! Fu probabilmente dall’Egitto portata in Romagna da un legionario romano, stanziatosi nella nostra terra; al termine della ferma nell’esercito i legionari, dopo aver combattuto in vari luoghi, avevano come “pensione” appezzamenti di terre conquistate.  La caveja è formata dal piatto, lo stelo e le anelle. Le anelle tonde o quadrangolari, devono squillare briosamente. Più numerose sono le anelle più prestigiosa è la caveja. Essendo il suono di ogni caveja diverso da quello delle altre,  i contadini riconoscevano, senza vederlo, il carro che transitava. La caveja aveva anche funzioni propiziatorie. Scacciava le forze negative che potevano pregiudicare il raccolto, prevedeva in anticipo il sesso del nascituro, era beneaugurale nelle case degli sposi novelli, liberava chi era colpito dal  malocchio, attirava e catturava le api ed altri  miracoli simili. Un tempo era usanza, alla fine di febbraio, di  omaggiare una caveja alla più bella tra le ragazze che ballavano attorno ai fuochi accesi nei campi per fare lom a  merz. La caveja è diventata simbolo della Romagna, alla fine dell’Ottocento.

 

immagine: caveje

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

ROMAGNOLI ALL’INFERNO (terza parte)

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Proseguiamo la discesa agli inferi alla ricerca dei romagnoli. Dante e Virgilio sono deposti dal gigante Anteo nel nono cerchio, sulla distesa ghiacciata del fiume Cocito, nella quale sono conficcati i traditori lividi e tremanti per il freddo. Qui Dante incontra un altro romagnolo: Tebaldello Zambrasi, il quale tradì Faenza, la sua città per consegnarla in mano ai bolognesi, Dante lo cita come colui che “aprì Faenza mentre si dormia”. Sembra che Tebaldello portasse rancore ai suoi concittadini per il furto di un maiale, all’epoca possedere un porco era contare su un piccolo capitale, ma speriamo che oggi i romagnoli siano un po’ meno vendicativi. Il Zambrasi morì di lì a poco sotto le mura di Forlì, sempre in uno scontro fra guelfi e ghibellini. Nulla si impara dai libri, neanche da Dante, infatti si continua a guerreggiare, anche se pare che venti favorevoli alla pace soffino, deboli ma tenaci, anche grazie al nuovo Papa Francesco. Altro interessante traditore dell’ospite, misfatto ancora più grave, è Alberigo Manfredi, dell’ordine laico dei frati godenti, era un personaggio assai in vista a Faenza nell’ultimo scorcio del XIII secolo. Ed un suo gesto scellerato l’aveva reso famoso ben oltre le mura cittadine, tanto che Dante non sente nemmeno il bisogno di raccontare l’episodio. La tendenza dell’Ordine a scendere a compromessi con la vita agiata e mondana dei suoi membri determinarono forse l’uso del soprannome di  “frati godenti “, che non aveva un connotato dispregiativo. Sembra che frate Alberico, in una grave disputa sorta per ragione d’interessi, ebbe uno schiaffo da Alberghetto, figlio di Manfredo Manfredi suoi congiunti. Per l’onta ricevuta, Alberico concepì un odio mortale contro i suoi  parenti, e covando in cuore la vendetta sotto mentite apparenze di perdono e di pace, invitò il 2 maggio del 1285 Manfredo ed Alberghetto ad un sontuoso pranzo. Sul finire del convito, quando frate Alberico pronunziò ad alta voce l’ordine “vengan le frutta”, come a segno convenuto, alcuni suoi parenti  ed altri sei sicari, si lanciarono coi pugnali levati sui due miseri ospiti, e barbaramente li trucidarono. Alberigo,  è uno dei personaggi che Dante incontra nell’Inferno, nonostante non sia ancora morto. Il poeta spiega, infatti, che l’anima di un traditore, appena commesso il delitto, viene subito sprofondata nella Tolomea, mentre nel suo corpo sulla terra prende dimora un diavolo. Riflessione molto acuta, in quanto è assai difficile  redimersi, molto spesso a un qualsiasi misfatto commesso ci sentiamo ignobili e così ne perpetriamo altri, come se un diavolo si  fosse impossessato di noi. La lista dei romagnoli all’inferno continua, non è molto  lusinghiero che siano tanti nell’ inferno e in paradiso non ce ne sia neanche uno. Dante colloca, l’Ulisse romagnolo: Guido da Montefeltro tra i consiglieri fraudolenti dell‘VIII Bolgia dell‘VIII Cerchio dell’Inferno, dove si arde come fiamme incandescenti. È Guido a rivolgersi a Virgilio dopo che questi ha congedato Ulisse, per cui il dannato lo prega di dirgli qual è la condizione politica della sua terra, la Romagna. Virgilio invita Dante a rispondere e il poeta spiega che le varie città romagnole sono dominate da altrettanti tiranni e nessuna di queste è attualmente in guerra. Poi Dante prega il dannato di presentarsi e Guido, credendo di parlare a un altro dannato, svela la sua identità raccontando la sua storia: in vita fu abilissimo condottiero e astuto politico, poi si pentì della sua condotta e si fece frate francescano. Papa Bonifacio VIII, in lotta coi Colonna, gli chiese un consiglio su come espugnare la rocca di Palestrina, promettendogli l’assoluzione in anticipo. Pur titubante, Guido usò il malo ingegno, tradì il cordone francescano,  e consigliò a Bonifacio di promettere il perdono ai nemici e di non mantenerlo, cosa che aveva permesso al papa di radere al suolo Palestrina. Dopo la sua morte la sua anima era stata contesa da san Francesco e da un diavolo, e quest’ultimo aveva avuto la meglio sostenendo la sua colpevolezza con sottili argomenti teologici. Per un pelo, o per un coperchio, in questo caso il diavolo fece sia la pentola che il coperchio, un romagnolo non riuscì ad entrare nel paradiso, forse non siamo stati abbastanza ospitali col Sommo Poeta.

 

 

immagine: Dante e  Virgilio nel girone dei traditori

 

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

 

 

LA BELLEZZA E LA BONTA’

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La celeberrima “Venere allo specchio” è di Diego Velazquez. Velazquez fu uno dei più grandi pittori del secolo d’oro della Spagna. Egli fu eccelso sia nel realismo più crudo alla Caravaggio nelle scene di genere, sia nell’uso di fine colorismo e sinuosità nelle figure mitologiche, inoltre realizzò anche opere intriganti ed occulte come la celebre “Las Meninas”. Fu anche un ottimo ritrattista, direi immenso, come ad esempio nel ritratto di papa Innocenzo X, ritratto che Guido Reni eseguì in veste di Satana. Continuando poi il discorso sull’origine delle Madonne Nere, vorrei soffermarmi sul significato di Vergine. A quei tempi il significato di vergine non si riferiva a colei che non conosce uomo, ma a colei che appartiene a sé stessa “nel senso di inafferrabilità” (J.Evola, Metafisica del sesso, Ed. Mediterranee, Roma, 1988). L’esperienza sessuale poteva diventare esperienza spirituale profonda per la capacità di conoscenza interiore che la donna possiede captando la soggettività dell’altro. In tempi ancor più lontani la parola virgo, considerata una deformazione di un’antica radice atlantidea, indicava il principio materno. L’ultima Virgo Mater che dominò la civiltà atlantidea, se mai è esistita questa civiltà, fu Lilith, la personificazione della Luna Nera ( Roberto Secuteri, Astrologia e Mito, Ed.Astrolabio, Roma,1978). In seguito tutte le vergini madri di tipo pagano e quelle asiatiche, molte delle quali raffigurate con il volto nero, furono fuse dal Cristianesimo, che armonizzò le vecchie tradizioni, gli usi antichi, con un messaggio Nuovo per creare un unico personaggio: la Madonna, anche in versione di Madonna Nera. Pure Afrodite fa parte di questo ricco substrato, nella dea della Bellezza il cui attributo era la rosa e la colomba, si ritrovano paradossalmente sia una forte identità, sia la capacità di fusione con l’altro ad attestare il segreto di una unione vera e profonda che richiede nei due individui il mantenimento della distinzione e della separatezza, altrimenti l’altro sarà solo il riflesso del proprio desiderio, se prevarrà l’Ego, ognuno rimarrà arroccato nella propria identità (egoismo). La bellezza di Afrodite si manifesta oltre che dal suo corpo, anche dalla grazia del suo fare, dalle parole del suo dire, dal fascino della sua intelligenza. A fronte della comune credenza che una donna non possa essere bella e intelligente insieme. In antichità la dea veniva appellata “Afrodite dai begli occhi” che esprimevano tutta la sua intelligenza, ed era rappresentata con vesti drappeggiate, anche se avvolgenti per svelarne le sinuose forme; quando più tardi, per esaltarne unicamente la bellezza fisica, fu raffigurata nuda, assunse l’appellativo di Afrodite “dalle belle natiche”. La bellezza non è unicamente una questione di forma e visibilità contrariamente a quanto attestano i nostri tempi; ciò a conferma che il fascino e la magia stanno sempre dentro il mistero e che quando vengono meno i suddetti attributi la donna assume tutte le caratteristiche più degenerative, aprendo la strada alla pornografia, alla prostituzione, esibendo modelli di femminilità riduttivi derivati da una cultura dell’apparire piuttosto che dell’essere. Una femminista agli inizi del Novecento sfregiò con un temperino, alla presenza di altri visitatori, la Venere di Velasquez, la folle e autolesionista risposta a chi perseguitava le suffragette. Questa passeggiata iniziata con l’ Arcangelo Michele, affine sia alla Madonna Nera che con San Giorgio e coi cavalieri Templari possiamo concluderla col Santo più buono che è… San Martino vescovo di Tours, patrono dell’Arma della Fanteria. Tutte le Armi sono necessarie e devono avere il giusto rispetto, ma l’Arma della Fanteria, nella Prima Guerra Mondiale ha realizzato il più Bel Gesto d’amore, spontaneamente dalla trincea tedesca salì il canto di Stille Nacht e autonomamente dalle  altre trincee  tutti iniziarono a cantare, ognuno nella propria lingua  e giocarono una partita di pallone. Era la sera della vigilia di Natale del 1914.

 

 

immagine: Venere allo specchio di Diego Velazquez

 

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

 

 

 

 

 

 

ROMAGNOLI ALL’INFERNO (seconda parte)

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Continuiamo la discesa all’ inferno coi romagnoli.  All’ottavo cerchio, da cui Dante dirige il suo sguardo verso il fondo della quarta bolgia, dove una moltitudine di anime, quelle degli indovini, avanza in silenzio piangendo. Ciascuna di esse ha il viso completamente rivolto all’indietro, in modo che le lacrime bagnano la parte posteriore del corpo. Nel vedere la figura umana così stravolta Dante non riesce a trattenere un moto di commozione, ma Virgilio lo rimprovera aspramente, facendogli notare che essere pietosi verso  questi peccatori significa ignorare la vera pietà. Poi gli rivela il nome di alcuni di loro, fra questi c’è Guido Bonatti, astrologo di Forlì autore di un Liber astronomicus, trattato astrologico che ebbe larga fortuna. Visse alle corti di Federico II, Ezzelino da Romano, Guido Novello e Guido da Montefeltro. Il “Liber decem continens tractatus astronomiae, di cui esistono vari esemplari e vennero pubblicate diverse edizioni a stampa, che dimostrano  il credito e l’interesse che il testo suscitò anche nei secoli successivi. Sorvolando sulle implicazioni matematiche, Bonatti vi esponeva gli elementi basilari dell’astronomia tolemaica, aggiungendovi i risultati delle proprie ricerche ed osservazioni, con l’individuazione di ben 700 stelle. Nel  XXIII canto, il girone dei seminatori di discordia, Dante incontra un altro romagnolo, è il girone in cui si trova pure Maometto. Si avvicina un altro dannato con la gola squarciata, il naso mozzato e un solo orecchio, che dopo aver osservato Dante emette la voce attraverso la ferita nel collo: si rivolge al poeta dicendo di averlo conosciuto in Terra e si presenta come Pier da Medicina, originario della Pianura Padana. Invita Dante ad ammonire Guido del Cassero e Angiolello da Carignano circa il fatto che saranno gettati fuori da una nave e uccisi presso Cattolica, per il tradimento del malvagio tiranno di Rimini, li attirerà in un tranello con la scusa di parlare e poi li ucciderà prima di giungere a Focara. Chi sia questo Pier da Medicina non si sa bene, ma certo se continua, anche all’inferno a far previsioni funeste è certamente inguaribile come seminatore di zizzania. Dante è assai severo con gli indovini  e con chi professa previsioni e proprie idee causando discordia, questi ultimi hanno gli arti tagliati e stanno bagnati nel sangue, Dante forse non sa che pure lui  verrà  additato di essere un indovino, mago ed alchimista. Dante come buona parte dei poeti del Dolce stil novo faceva parte  probabilmente di un ordine segreto iniziatico, i Fedeli d’Amore, legato ai Templari ed in forte sospetto di eresia. In tutte le loro poesie e nei loro scritti troviamo il simbolismo della Donna come Sapienza Trascendente. Il Saluto della Donna è descritto come un’esperienza travolgente. L’inizio della Divina Commedia descrive come Dante ad un certo momento della sua vita si trovi smarrito nella selva oscura. Questa crisi spirituale è comune a molti ricercatori che, dopo avere intrapreso con i propri sforzi il cammino interiore, si trovano ad un  certo momento ad un punto morto, in una situazione di angoscia e disperazione. Con la guida di Virgilio Dante entra nell’Inferno, inizia cioè il viaggio al centro della Terra, esperienza che gli alchimisti denominavano VITRIOLVM. La ricerca della pietra filosofale o più semplicemente l’oro in sé stessi. Perché quest’impresa riesca è necessario che sia intrapresa con cuore puro, con un’intenzione corretta e insieme ad una guida. Dante sa bene il pericolo che corre e nella Commedia si raccomanda ben spesso che Lui vuole restare nella retta via, il viaggio dentro sé stessi può portare alla follia. A Ravenna, Enti, Fondazioni e singole Persone dedicano a  Dante e alla  Divina Commedia studi, convegni, spettacoli, hanno tradotto e letto la Commedia in tante lingue, in una splendida gara alla Bellezza. A me piace segnalarvi le letture e le spiegazioni dei Canti che si tengono ogni lunedì alle ore 18, al Seminario Arcivescovile, di fronte al Duomo. Il corso ha la durata di un anno scolastico ed è aperto a tutti e gratuito.  Il Professore è Padre Alberto Casalboni studioso dei Frati Minori Cappuccini di Ravenna che oltre ad essere un fine conoscitore di Dante insegna l’amore per gli altri e per la conoscenza.

 

 

immagine: Guido Bonatti

 

 

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

 

SONO BRUNA E SONO BELLA

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Eleonora è una donna fragile che crede di essere forte, mette al primo posto la libertà, delusa dagli uomini in generale, pensa che il modo migliore sia quello di averli  solo come amici, suo scopo nella vita è avere misteri da risolvere, ciò le riempie il cuore e la mente. Luigi, dolce, tenero, ama sin da ragazzo Eleonora, ma lei gli preferì il suo amico fraterno perché più rude e più virile, il classico uomo che non deve chiedere mai. Eleonora pagò cara quella scelta, si ritrovò sola e con un’unica certezza mai e poi mai avrebbe rinunciato alla sua ritrovata libertà. Luigi sa bene questo quindi le sta vicino senza chiederle nulla, facendo la parte del suo menestrello, la vezzeggia, la riempie di complimenti, attenzioni ma soprattutto la fa ridere. Eleonora oltre che piena di dubbi ed incertezze  è anche molto inquieta, è attratta dal mistero, dall’invisibile.   Convince Luigi a partecipare alla sua nuova indagine che si riferisce alle Madonne nere. La storia corre parallela fra l’amore/amicizia di Luigi e Eleonora e le ricerche fra  Santi, Madonne, Templari, Alchimisti, mitologia celtica, greca e norrena, sino alla preistoria  in una bailamme del mistero più profondo, talmente a fondo che Eleonora quasi vaneggia. Eppure chi sarà più colpito dall’indagine esoterica sarà proprio Luigi che con un colpo di coda ben assestato farà rimpiangere e piangere tutte le lacrime all’amante della libertà. Eleonora vedrà vacillare la sua amata libertà si chiederà se per caso non abbia sbagliato tutto… ma sarà troppo tardi.