I ROMAGNOLI ALL’INFERNO (prima parte)

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I fumatori o le fumatrici l’inferno già lo vivono in terra, stanno col fuoco  tra le labbra, malvisti come untori dell’altrui salute  oltre che suicidi della propria vita, puzzano, sono sporchi brutti e cattivi, scialacquano il loro denaro in fumo, peggio dei giocatori incalliti e dei bevitori, quindi alla loro morte, avendo vissuto in terra l’inferno andranno sicuramente in paradiso nel  primo cielo, che  è il cielo della luna, considerato un pianeta nel Medioevo, e la cui caratteristica peculiare è l’incostanza: risiedono qui, infatti, le anime di coloro che mancarono ai propri voti, non per scelta bensì perché costretti. Infatti si vorrebbe smettere di fumare ma non ci si riesce. Io sono una fumatrice, e andrò in paradiso, mi è venuta quindi la curiosità di sapere quali romagnoli Dante mise all’inferno. I primi due, i più famosi,  Paolo e Francesca non meritarono certo l’inferno, altrimenti oggi non ci sarebbe più posto, mentre sarebbero vuoti  sia il purgatorio che il paradiso.  Dante e Virgilio scendono al secondo girone, quello dei lussuriosi. I due poeti entrano nel luogo dove sono puniti i lussuriosi, travolti dalla bufera che castiga l’insana passione. Una schiera di anime incuriosisce Dante che chiede notizie al maestro. Virgilio prontamente risponde, ed elenca alcuni di questi lussuriosi, morti in modo cruento. Si sofferma su Semiramide e poi indica donne e uomini, protagonisti del passato mitologico e storico: Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano. Dante colpisce i protagonisti di grandi amori, qui è un po’ ipocrita perché lui personalmente idealizzava Beatrice, ma con le altre si dava da fare carnalmente. Dante scorge due anime che procedono insieme e sono al vento più leggere. Egli domanda a Virgilio di potersi intrattenere con loro e quando si accostano le invita a restare e a parlare ed esse si fermano desiderose. I due infelici amanti, uniti anche nell’eternità, sono Paolo e Francesca. La donna rammenta la città natale, Ravenna, e accenna al suo innamoramento per Paolo, seguito dalla tragica morte per mano del marito Gianciotto, geloso e vendicativo. Un grande turbamento assale Dante che pensa ai casi dei due amanti, alla dolcezza del loro amore così tragicamente concluso. Dante sviene, sa che anche lui non è uno stinco di santo, forse il girone lussurioso capiterà pure a lui, e a tutti noi, sarebbe ora di togliere la lussuria dai vizi, fa bene alla salute, rende allegri e sereni, toglie la rabbia e il livore, la Chiesa è entrata in camera da letto nel milleduecento, sarebbe ora che ne uscisse… ma purtroppo i tempi non sono ancora maturi. La  Chiesa, nel Medioevo, accettò le regole del diritto germanico in materia matrimoniale, benché fossero completamente diverse da quelle del diritto romano, dal momento che non riconoscevano alcuna autonomia alla volontà degli sposi.  Per lungo tempo invece la chiesa si oppose soprattutto a due aspetti del diritto germanico, lo scioglimento delle famiglie per ripudio o divorzio consensuale e il concubinato ammesso accanto al matrimonio principale (Carlo Magno arrivò ad avere fino a quattro concubine). Nel frattempo la chiesa  riuscì ad imporre la propria visione  nell’XI-XII secolo.  il prete, dopo aver indagato sui rapporti di consanguineità, doveva accertare negli sposi l’esistenza di una libera volontà presente. Il matrimonio divenne così materia di diritto canonico:  il matrimonio come l’unione dell’uomo e della donna che fonda tra loro una comunità di vita. Mentre fra teologi e canonisti restava aperto il dibattito sul rapporto fra dottrina del consenso ed effettiva unione sessuale… ecco su questo ultimo tema occorrerà tenere a mente Herbert Marcuse e la repressione come prezzo per la civilizzazione, se vuoi vivere civilmente devi reprimerti,  sarà per questo che  si dice che il matrimonio è la tomba dell’amore?

 

 

immagine:  Paolo e Francesca all’inferno

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

SAN MICHELE FRA I MISTERI

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La raffigurazione di San Michele, nel  polittico di Santa Giustina a Monselice, è stato attribuito negli anni  ‘90 a Francesco de Franceschi (notizie: 1443-1468) e in anni più recenti ad Antonio di Pietro da Verona, nipote di Altichiero, documentato a Padova tra il 1405 e il 1434. Il culto di Michele è molto diffuso a livello popolare, moltissime sono le località in Europa che hanno scelto Michele come loro patrono, innumerevoli sono le rappresentazioni artistiche, le chiese (spesso l´Arcangelo viene rappresentato sulle guglie dei campanili, quale guardiano contro il male) dedicate a Lui e le preghiere ufficiali e popolari che lo invocano. L’imperatore Costantino I a partire dal 313 d.C. gli tributò un culto intenso, fino a dedicargli il Micheleion, un imponente santuario fatto costruire in Costantinopoli. Carlomagno  gli dedicò il Sacro Romano Impero, imitato poi dai sovrani francesi che, fino a Luigi XIII, gli dedicarono il loro regno. Michele viene raffigurato in due ruoli, come il combattente che vince il male con la spada o come psicopompo tenendo la bilancia   come pesatore di anime. Egli è anche custode della porta del Paradiso Terrestre. La raffigurazione di Michele a Monselice, risente ancora di qualche tratto gotico, la linea non è fluida, ma l’immagine è ben intrigante, in quanto benché Michele abbia i suoi attributi: la bilancia e la spada, sembra un cavaliere templare, ha infatti la caratteristica croce e l’abito bianco. Michele ha come suo gemello terreno un santo che è il santo protettore dei cavalieri Templari: San Giorgio. Anche Giorgio combatte il male, raffigurato come un drago, salvando la principessa dalle sue grinfie, nel nome di Dio. San Giorgio è il protettore della Cavalleria, quindi della cortesia e della gentilezza. Un’altra particolarità di Michele è che le chiese a lui dedicate sorgono spesso vicino a chiese dedicate alla Madonna Nera. L’origine della devozione alle Madonne Nere è da associarsi alle tradizioni precristiane ed è connessa alle dee pagane che spesso erano raffigurate con la pelle nera, come nel caso della famosa dea madre egizia Iside o in quella della regina di Saba, che la leggenda vuole accanto a Re Salomone. Le radici della Madonna Nera affondano nella tradizione della Lilith matriarcale, che rappresentava la forza e la parità della donna. Si narra che Iside e Lilith conoscessero il nome segreto di Dio, un segreto custodito anche da Maria Maddalena che, secondo la dottrina alessandrina, “trasmise il vero segreto di Gesù”. Per molti studiosi, il culto alle Madonne Nere è da attribuirsi a Maddalena e non alla Madre di Gesù, come invece venne diffuso nei secoli successivi. Resta il fatto che il culto d’antica data alla Maddalena era legato ai luoghi delle Madonne Nere. Le culture che veneravano la dea officiavano i loro riti in particolari momenti legati alle fasi lunari, collegandoli ai periodi fertili femminili, ai parti e ai trapassi, poiché le donne, in quanto depositarie della vita, erano riconosciute come custodi dei misteri della morte. Le Madonne Nere erano interconnesse con le divinità incarnate dalla luna. La Chiesa, per estirpare antichi culti, cristianizzò molti luoghi, boschi o pozzi sacri dove il culto della dea era fertile, sostituendone i soggetti. Alcuni scrittori hanno evidenziato il rapporto tra i Templari e le Vergini  Nere e, in realtà, questo culto fiorì proprio in pieno periodo templare tra il XII e il XIII secolo. Laddove vi è stata presenza templare, vi è associazione con la devozione per le Vergini Nere. Tra tutte la più rilevante, in Italia, è la Madonna di Loreto, nelle Marche, dove la leggenda racconta che gli angeli vi trasportarono la Santa Casa di Nazareth. La Santa Casa e la Madonna Nera di Loreto sono da sette secoli una delle principale mete di pellegrinaggio della Cristianità. Ogni anno, la notte del 10 dicembre, sulle colline delle Marche si accendono innumerevoli fuochi, per ricordare la notte in cui gli angeli portarono  in volo la Santa Casa. Magari è proprio vero, con tutto quello che si è razziato a oriente, i Templari potrebbero aver portato con una nave le pietre della casa della Madonna ed averla poi ricostruita a Loreto. Anche la Romagna ha la sua Madonna Nera, si trova a Carbognano, in provincia di Rimini, ed è legata ad una storia… molto strana.

 

immagine: San Michele, nel  polittico di Santa Giustina a Monselice

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA PIETRA DELL’AMORE

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Scopriamo secondo le teorie della “selezione sessuale” che i brutti si sarebbero dovuti estinguere ben presto; invece ancora oggi rappresentano la parte maggiormente rappresentata. L’antropologia ha fatto capire chiaramente come il concetto per cui “le persone dovrebbero essere belle per essere scelte per l’accoppiamento” sia infondato. Successivamente si è affermato che la    donna vuole avere al suo fianco  un uomo forte, in grado di difenderla. La motivazione sarebbe che la caccia è sempre stata un’attività maschile in quanto la donna era troppo importante per l’allevamento della prole e non poteva permettersi di rischiare la vita, per questo motivo, protezione per sé stessa e i suoi bimbi la donna cercherebbe il Tarzan. Ma non illudetevi uomini dai muscoli palestrati, oggi da “potenza fisica” si è passati ad un concetto di “ricchezza”  ed improvvisamente gli uomini potenti e ricchi, sono divenuti attraenti. Ai giovani senza una lira si richiede un’ulteriore dose di coraggio, ecco  spiegato il fascino dei calciatori, degli automobilisti, dei motociclisti, degli sportivi in genere. Questo dicono gli  antropologi, ma ne siamo sicuri, o lo crediamo perché ce lo dicono gli scienziati dall’alto dei loro studi? In fin dei conti cambiamo ogni giorno opinioni, gusti ed abitudini, oggi in modo assai più veloce che nel passato. Io mi ritengo una donna come tante, una donna di tutti i giorni, quindi credo di condividere con le altre il sentimento della compassione, oggi può sembrare desueto, invece vive nella vita vera, non quella finta, da recita. Compassione letteralmente significa, soffro insieme a te, è di un tipo di  amore che non chiede nulla in cambio e dalla sofferenza può portare all’unione. Dante salva dall’ Inferno Provenzano Salvani per un suo gesto di compassione. Provenzano Salvani, è un ricco e potente signore senese. Dante lo pone nel girone dei superbi, nel Purgatorio, in lui il poeta vede la superbia e l’orgoglio di Siena ghibellina. La carriera di Provenzano si fermerà con la disfatta di Manfredi ed il tracollo di Corradino. I ghibellini perderanno tutte le loro mire e l’amico fraterno di Provenzano, Nino Pagliaresi sarà imprigionato. In quei tempi i signori non si uccidevano mai, perché si potevano richiedere lauti riscatti. Il riscatto fu pagato con l’umiliazione volontaria dell’altero  Provenzano e Nino Pagliaresi poté tornare a Siena. Provenzano morì nella battaglia a metà strada fra Colle Val d’ Elsa e Monteriggioni. Di lui non si conserva una tomba, fu decapitato, la sua testa esposta su una lancia e gettata oltre le mura di Siena, il corpo smembrato e senza sepoltura perché di lui non rimanesse memoria. Ma la storia racconta che sul luogo dove per amicizia aveva chiesto l’elemosina, tremando di vergogna, lui così superbo, raccogliendo il denaro per salvare l’amico, mani pietose scolpirono una pietra, chiamata poi Pietra dell’ Amore. La leggenda narra  che chiunque si fermi sopra la pietra a baciarsi, l’amore non lo lascerà mai più. Su questa pietra vi fu poi innalzato l’albero della Libertà, ma oggi biancheggia di nuovo, non lontano dalla Torre del Mangia in Piazza del Campo a Siena. Sono sicura che molte donne potrebbero innamorarsi  e scegliere come padre dei propri figli, un uomo così, un po’ superbo ma capace di umiliarsi per amore, e pensare che oggi si svaluta un tale uomo, che piega il capo per la famiglia, sto parlando del tanto vituperato uomo medio che ai soprusi del capo non si ribella perché…tengo famiglia, sono questi gli eroi di oggi altro che bellezza o muscoli.

 

immagine: La pietra dell’amore in Piazza del Campo a Siena

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

SALVIAMO CAPRA E CAVOLI

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Salvare capra e cavoli, è un modo di dire, con cui si intende salvaguardare con una decisione gli interessi di tutti. A volte usiamo “detti” che sembrano filastrocche per bambini. Sono entrati nella nostra vita facilmente ed usualmente, ma li adoperiamo avendone perso la loro origine. Ci piacciono, ma non sappiamo perché ci piacciono tanto. Altre volte li disprezziamo liquidandoli come sciocca usanza. Dietro all’indovinello, salvare capra e cavoli, ci sta tutto un mondo. Un mondo che parte dall’ India ed arriva in occidente tramite gli arabi. E’ il mondo della matematica e della logica. Nasce da un problema posto in questi termini: “Come fare a traghettare un lupo, una capra ed un cavolo da una sponda all’altra del fiume, senza che il lupo mangi la capra o la capra mangi il cavolo, tenuto conto che si può trasportare solo una cosa alla volta”. Ebbene, prima si traghetta la capra e la si porta sull’altra sponda, si ritorna e si carica il cavolo, lo si deposita sulla nuova riva e si ricarica la capra (se lasciata avrebbe mangiato il cavolo) e la si riporta indietro, la si lascia sulla sponda iniziale e si traghetta il lupo dall’altra parte e lo si lascia col cavolo (il lupo non mangia il cavolo) . A questo punto si ritorna a prendere la capra… ecco che si è salvato capra e cavolo ed anche il lupo. Vedete bene che non era una soluzione semplice perché comportava un  punto di vista diverso. Questo problema di logica fa parte di una raccolta di  indovinelli con cui  Alcuino di York, un monaco inglese che nel 781 venne chiamato alla corte di Carlo Magno per dirigere la scuola di palazzo, pensava di rendere acuta la mente dei giovani. Questa conoscenza in seguito si perse sino a che  nel 1200 circa,  Leonardo Fibonacci, nel Liber Abaci raccolse questi rompicapo tra cui anche il famoso problema sulla riproduzione dei conigli in un allevamento, la cui soluzione lo portò a formulare la famosa successione di Fibonacci: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, … Fu il matematico bresciano Niccolò Tartaglia, che visse nella prima metà del 1500, e che  inventò molte utili cose, tra cui il famoso triangolo di Tartaglia, a risolvere il rompicapo della capra e dei cavoli, che col tempo si era perso nuovamente. E pensate che Tartaglia per il suo triangolo usò i numeri di  Fibonacci. Oggi sappiamo che i numeri di Fibonacci sono molto diffusi in natura, per esempio si trovano nelle margherite e nelle pigne. Cosa hanno in comune una galassia, l’accrescimento biologico di alcune specie animali, la spaziatura tra le foglie lungo uno stelo e la disposizione dei petali e dei semi di girasole? Tutti questi  presentano schemi riconducibili a quello della sezione aurea e dei numeri di Fibonacci. I numeri di Fibonacci furono terreno fertile per un grande artista dell’Arte Povera Mario Merz. Egli nel  1970 introdusse nelle sue opere la successione  di Fibonacci come emblema dell’energia insita nella materia e della crescita organica, nel  1971 li installò lungo la spirale del Guggenheim Museum di New York. Il nostro governo cerca di salvare capra e cavoli, un intento encomiabile, anche se abbiamo visto che è molto difficile, sosteniamoli, almeno proviamoci. Un’altra parola vituperata è il termine: compromesso. Ne vediamo sempre il lato negativo, come se l’accordo, anche se non completamente favorevole, non fosse meglio della guerra. il politico comprometterà il proprio programma non per scelte  a proprio favore ma per necessità, trovare un compromesso fra forze contrastanti può avere il sapore della pace.  Salvarsi tutti è più bello che affondare il nemico, vi è una frase che recita: usare intelligenza col nemico, significa complicità, collegamento con il nemico, e se ciò accade il nemico si dissolve perché le idee quando si conoscono sono simili. La vita è piena di compromessi, se non si accettassero non si potrebbe fare niente, niente lavoro, niente famiglia, niente di niente. Anche la parola affare oggi è visto in modo ingiusto, si crede che determini il tornaconto solo per un soggetto, e da  qui l’astio per chi si occupa di transazioni e di economia, ma il vero affare è quando si raggiunge la soddisfazione da entrambe le parti, è questo ciò che insegna l’economia.

immagine: raffigurazione del dubbio su come salvare il tutto

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”