I TEUTONICI E LA BOLLA D’ORO

Hermann_von_Salza_Painting

La Bolla d’oro di Rimini è una crisobolla  (bolla aurea impressa con un sigillo in oro, ad indicare la particolare importanza del documento), con la quale Federico II di Svevia (imperatore del Sacro Romano Impero dal 1220 al 1250) riconobbe  all’Ordine Teutonico, la sovranità su una regione della Polonia centrale e su tutte le terre che i membri dell’Ordine fossero riusciti a conquistare ai Prussiani. I Malatesta in quegli anni erano fervidi sostenitori di Federico II, questi era molto legato ai Teutonici, che erano presenti in tutto il litorale adriatico. Un giorno di marzo del 1226, il gran Maestro dell’Ordine Teutonico, Hermann Von Salza, saliva le scale del palazzo dell’Arengo riminese, dall’Imperatore Federico II di Svevia che, in quei giorni, soggiornava nella  “fedelissima Rimini”, per ricevere la crisobolla. Hermann è stato il quarto Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, fu per un ventennio il consigliere più stretto di Federico e suo intermediario nei confronti del papato. Hermann sottrasse più volte l’Imperatore  alla scomunica, in particolare, quando Federico rimandò la partenza della crociata che si era impegnato a condurre in Terra Santa. La Bolla è il riconoscimento per l’Ordine Teutonico di tutti i diritti di sovranità sui territori in questione, tra cui quello di emanare leggi e coniare moneta, e del compito di conquista di una terra ancora pagana, in vista della sua evangelizzazione.  I Pruzzi, come erano chiamati questi pagani che abitavano la Polonia avevano un paganesimo legato alla natura: “Poiché essi non conoscevano il Signore, adoravano erroneamente le sue creature, ovvero il sole, la luna, le stelle, gli uccelli, i quadrupedi, e anche le serpi. Essi possedevano fiumi, campi e boschi sacri, ove non osavano arare, pescare o raccogliere legna”. Sull’autenticità della Bolla d’oro di Rimini  si è molto dibattuto; tuttavia è certo che l’Ordine Teutonico si servì di questi documenti come fonte di legittimazione politica per la conquista militare delle terre baltiche. Ma chi erano i Teutonici? Nel 1189, dopo la caduta di Gerusalemme, fu indetta la terza Crociata, alcuni Crociati tedeschi costruirono un ospedale da campo a San Giovanni d’Acri, curando i loro connazionali, fino al loro rientro in Germania, lasciando l’ospedale a due religiosi tedeschi. Nacque così l’Ordine dei fratelli dell’ospedale di Santa Maria dei Tedeschi in Gerusalemme. Nel 1197 ebbe luogo una Crociata guidata dall’Imperatore Enrico VI. Quando questi morì, i Cavalieri che lo avevano preceduto in Terra Santa rientrarono in Germania, ma prima del rientro decisero di trasformare l’Ordine, sino ad allora esclusivamente ospedaliero, in un Ordine Monastico/Cavalleresco, con il nuovo compito militare di tutela dei pellegrini tedeschi. L’Ordine dei Cavalieri Teutonici era abbastanza simile a quello di altri Cavalieri gerosolimitani, con poche differenze. Oltre alla croce nera patente sul mantello bianco anziché rossa come i Templari, i Teutonici erano soltanto persone nobili, comunque benestanti, di origine germanica, mentre i Templari erano prevalentemente francesi e gli Ospitalieri, in maggioranza italiani. I Teutonici furono sempre aperti verso la cultura islamica, provenivano infatti dalle zone in cui era diffuso un tempo l’arianesimo, il quale credeva nel Cristo solamente umano, come è ancora oggi visto nel Corano. Si distinsero dagli altri ordini per la loro tendenza al sacrificio, il desiderio e l’orgoglio di morire in battaglia. Evidentemente questa era una caratteristica eredita dai loro avi di origine pagana, come celti e barbari. Un’altra particolarità dell’Ordine tedesco, fu quella di non impegnarsi solo in Terrasanta ma di operare anche nell’ Europa nordorientale, tanto da crearsi un proprio regno. I Teutonici appoggiarono gli imperatori germanici del Sacro Romano Impero, in primis Federico II di Svevia. L’importante episodio storico di Federico II, che promulgò a Rimini la Bolla d’oro è ricordato da un’epigrafe inserita, nel 1994,nei Palazzi comunali. La bolla d’oro, di cui nel Museo cittadino è esposta una riproduzione, è conservata a Berlino in due esemplari.

immagine:Hermann Von Salza

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 23/01/2017

 

LORENZO MONACO E GLI UFO

Natività Lorenzo Monaco

Anni fa visitando le Gallerie dell’Accademia a Firenze, ero entrata solo per vedere i Prigioni, ovvero le statue  eseguite per la tomba di Giulio II, e il David di Michelangelo, rimasi a bocca aperta nel vedere il tripudio di colori e bellezza delle tavole pittoriche che andavano dallo stile giottesco al primo Rinascimento, molte in Gotico  Internazionale, stile decorativo, chiamato anche fiorito o cortese. Il pittore Gherardo Starnina, tramite un viaggio a Valencia nel 1380, si aggiornò alle novità internazionali, quando tornò a Firenze influenzò alcuni pittori tra cui Pietro di Giovanni, conosciuto ai più come Lorenzo Monaco (1370/1425). Quest’ultimo, sia pittore che miniatore, prese i voti divenendo frate camaldolese. Lorenzo fa parte di quel gruppo di religiosi che si dedicarono all’arte, insieme al Beato Angelico, Fra’ Bartolomeo e Filippo Lippi, acquistandone fama. Lorenzo nacque, probabilmente a Siena, ma fu fiorentino per cultura, suo maestro fu Agnolo Gaddi. Elaborò uno stile elegante, sontuoso di ori e ricco di colori brillanti, con figure allungate e raffinate, le vesti con sofisticati e irrealistici panneggi. Fu l’ultimo esponente importante dello stile giottesco, prima della rivoluzione rinascimentale di Masaccio e del Beato Angelico, frate camaldolese pure quest’ultimo, e suo allievo, che oscurerà un poco il prestigio del maestro. Le opere di Lorenzo Monaco, sono tra le immagini più belle dell’arte medievale europea, trattano temi cristiani tradizionali e le forme tardo/gotiche sono eleganti e soffuse di ardente devozione religiosa. I primi quadri e miniature, del 1390, tendono al giottesco, nella maturità è evidente lo stile Internazionale, mentre nelle opere finali, si può riconoscere un iniziale Rinascimento. Al MAR di Ravenna si conserva una tavola di Lorenzo Monaco: “Crocifissione di Cristo con San Lorenzo” (1400/1415). Gran parte delle opere della collezione del Museo ravennate proviene dal Monastero dei Camaldolesi, oggi Biblioteca Classense, tramite le soppressioni napoleoniche, forse è per questo che l’importante tavola si trova a Ravenna, in fin dei conti Lorenzo Monaco era un frate camaldolese. Al MAR è custodita pure l’immagine del fondatore dei camaldolesi: San Romualdo, dipinta dal Guercino, dove il Santo tutto vestito di bianco, è inginocchiato e prega a braccia aperte, con gli occhi rovesciati in alto, alle sue spalle un angelo picchia con un bastone un diavolo che lo sta tentando, sullo sfondo uno scorcio di cielo con nubi. Nella tavola di Lorenzo Monaco, Cristo ha il corpo sinuoso e sofferente mentre la Maddalena col manto rosso e i lunghi capelli ondulati e biondi, gli bacia i piedi martoriati, a sinistra le pie donne, di cui una veste un mantello giallo acceso, sorreggono la Madre affranta. A destra San Lorenzo in blu e arancio col vessillo crociato, simbolo di martirio e San Giovanni in una veste riccamente panneggiata, di colore arancio cangiante; sullo sfondo improbabili rocce e angioletti, il tutto dà luogo ad un dolore sommesso e contemplativo, cui la bellezza del creato lenisce la pena. Un aneddoto curioso e bizzarro per un’opera di Lorenzo Monaco, qualche anno fa, in una trasmissione televisiva, in un ennesimo programma sulla ricerca, della presenza di Ufo e di alieni nell’arte, venne proposta, come prova, anche la Natività di Lorenzo Monaco (1409), conservata al Metropolitan Museum di New York. Sopra la Madonna compare una nube circondata da raggi dorati, ammesso che sia un poco strana stilisticamente, come pure è bizzarro il volto di San Giuseppe che guarda in alto in maniera davvero insolita, in una posizione che non può esistere, mi sembra veramente un po’ poco per dimostrare la presenza di un’astronave in questa Natività. Eppure gli ufologi ribadiscono che vi è la scena dell’annuncio ai pastori, descritta nel Vangelo di Luca, ma in quel racconto della natività non si parla di nubi luminose, da dove deriva allora questo particolare? La risposta è molto semplice, della nube luminosa si parla nei Vangeli apocrifi e gli artisti prendevano spunto molto spesso da questi Vangeli, basti pensare che la stessa presenza del bue e dell’asino non è narrata nei Vangeli canonici.

immagine: Natività di Lorenzo Monaco

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 09/01/2017

IL CANE, L’UOMO E LE LEGGENDE

San Cristoforo come cinocefalo

La leggenda sul ponte Tiberio di Rimini è nota, Tiberio invocò il diavolo che lo aiutasse nella costruzione del ponte e fece un patto con lui, il diavolo avrebbe costruito il ponte ma in cambio si sarebbe preso l’anima del primo che lo attraversava. L’imperatore accettò, ma quando venne il momento Tiberio ordinò che per primo passasse  un cane. Così fu fatto e il diavolo, che aspettava la sua anima sull’altra sponda del ponte, rimase a bocca asciutta, pieno di rabbia Satana cercò di abbattere il ponte ma rimase scornato. Questa leggenda penso che la conosciate in tanti, però forse non sapete che lo stesso mito è legato ad altri ponti cosiddetti del diavolo, ponti che troviamo a Cividale, a Bobbio e a Lucca per esempio. Il ripetersi e il trasmettersi per lungo tempo di una leggenda, può essere fonte di ipotesi su credenze antiche e metaforicamente nascondere una realtà scomoda o indicibile per i tempi. Proviamo a dipanare la matassa partendo dalla simbologia del cane. In tutte le culture indoeuropee di età classica, sono presenti i Cinocefali, gli uomini/cane, popolazioni che vengono descritte da vari autori latini e greci con nomi diversi, collocate nei luoghi più remoti, come creature mostruose realmente esistenti. Affine ai Cinocefali è anche la divinità egizia di Anubi, in questo caso però, l’uomo/cane è tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti. San Cristoforo viene raffigurato in moltissime icone e affreschi bizantini con le fattezze di Cinocefalo, in un testo di epoca medioevale, molto diffuso, viene narrata la leggenda del Santo, che sarebbe stato proprio un Cinocefalo convertitosi al cristianesimo. San Cristoforo  presenta caratteri comuni sia al dio egizio (il Santo traghetta Gesù bambino, portandolo sulle spalle, da una riva all’altra di un fiume, così come Anubi traghetta le anime fra il regno dei vivi a quello dei morti) sia ai molteplici racconti di Cinocefali (talvolta San Cristoforo viene rappresentato come un gigante, attributo condiviso da diverse popolazioni di uomini/cane). La figura di San Cristoforo sarebbe, anche, un retaggio di culti pagani legati al moto astronomico di Sirio, stella appartenente alla costellazione del Cane Maggiore. La festa del Santo cade il 25 luglio e il riferimento astronomico riguarderebbe il periodo della canicola (o solleone) termine per indicare un periodo caldo ed afoso che parte dal 24 luglio arriva al 26 agosto, giorni in cui il sorgere e tramontare di Sirio coincidono con quelli del Sole. Altro Santo legato alla canicola è San Rocco, la cui festa è il 16 agosto, è un Santo molto popolare in Romagna, avrebbe soggiornato a Rimini, Forlì e Cesena. Protettore della peste, malattia dal quale guarì grazie a un cane che lo salvò dalla morte per fame, portandogli ogni giorno un tozzo di pane. Nel pensiero medievale, “ogni oggetto materiale era considerato come la figurazione di qualcosa che gli corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo simbolo”. Il simbolismo era universale, e il pensare era una continua scoperta di significati nascosti. Il simbolismo del cane è ambivalente, anticamente è impuro, col feudalesimo diventa un animale nobile, compagno del signore nella caccia, (pensandoci bene anche la caccia è ambigua).Nelle molte leggende, ci sono alcuni elementi fondamentali: il cane è uno psicopompo, vale a dire una guida delle anime, è collegato agli inferi, che custodisce o nei quali dimora ( Cerbero dei Greci o Anubis nell’antico Egitto) e alla morte in genere, tanto da poter mettere in contatto con l’aldilà. E siamo alla traduzione delle leggende legate ai ponti: all’inizio del Medioevo si persero  molte conoscenze tecniche per la costruzione di edifici, la popolazione guardava con meraviglia a questi ponti con arcate perfette, pensando che non fossero stati edificate da persone reali; mentre l’attraversamento del ponte stava a un cane, in quanto questo animale era visto come psicopompo, ma anche come diavolo, e forse era anche una metafora per mandare al diavolo gli inquisitori, che erano soprattutto domenicani, parola il cui significato è, cani del Signore, che certamente dovevano incutere all’epoca molto timore.  

immagine: San Cristoforo cinocefalo

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 02/01/2017