Nel 1811,Michele Placucci uno storico forlivese scrisse la prima opera sul folclore in Italia, e sapete un po’ su cosa? Sulla Romagna. Placucci raccolse i risultati di un’inchiesta sul territorio di Forlì e li pubblicò nel volume “Usi e pregiudizi dei contadini di Romagna” opera a suo dire: “a sollazzo di chi si apprestasse a leggerla e specialmente de’ villeggianti”. Vi dico che ne ha scritte di “cotte e di crude”. Charles Godfrey Leland fu un giornalista e folclorista assai stravagante, nonostante ciò si stupì delle stranezze di noi romagnoli. Nei suoi studi, del 1880 circa, Leland, si sofferma sul territorio esteso tra Forlì e Ravenna, qui secondo lui si sarebbero conservati antichi culti pagani, poi divenuti stregoneria. Scrive: “Tra questa gente la stregheria o stregoneria o, come ho udito chiamarla,“la vecchia religione”, esiste ad un grado tale che molti Italiani ne rimarrebbero stupiti. Questa stregheria, o vecchia religione, è qualcosa di più della magia e qualcosa di meno di una fede. Consiste nelle rimanenze di una mitologia di spiriti, i principali dei quali conservano i nomi e gli attributi degli antichi Dei Etruschi o Romani”. Ma che ce l’hanno tutti con noi? I romagnoli amano le loro radici, le loro tradizioni e perciò possono guardare in faccia al futuro senza paura, le innovazioni non sono altro che il passato rivisitato, meglio conservare che spaccare tutto. Conosciamo tutti il significato che la religione cristiana ha dato alla festività dell’Epifania, sappiamo che significa manifestazione della Divinità cioè di Gesù. Che c’entra l’Epifania con la Befana? Il termine Befana deriva dalla storpiatura appunto di Epifania, perché un tempo lontano la Befana era una Dea. L’origine della Befana è nel mondo agricolo e pastorale. Anticamente, in questi giorni si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura della Dea Madre; la quale stanca per aver donato tutte le sue energie durante l’anno, appariva sotto forma di una vecchia e benevola strega, che volava nei cieli con una scopa, colbisogno di buttare il vecchio per rinnovarsi e rinascere a nuova vita. La vecchia veniva metaforicamente bruciata, il fuoco, in questo senso, è purificatore e le ceneri erano il simbolo di fecondità e non solo. Le ceneri sono altamente simboliche, basti pensare al Mercoledì delle Ceneri col duplice: “Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai” e “Convertitevi, e credete al Vangelo”. Inoltre sino a non molti anni fa i campi venivano “sterilizzati” con la cenere così come veniva usata per sbiancare il bucato o conservare le uova. Più tardi nell’antica Roma fu Diana, Dea della luna e della fertilità, a prendere il posto della Dea Madre, nelle dodici notti delle festività natalizie, volava su una scopa in gruppo con altre donne per un rito propiziatorio ai campi, ma poi con l’avvento del cristianesimo la chiesa le considerò streghe. Gli antichi Romani oltre a credere che Diana volasse in cielo, celebravano l’inizio d’anno con feste in onore al Dio Giano, da cui deriva il nome del mese di gennaio, e alla Dea Strenia, legata al bosco e alla fertilità, da cui viene il termine strenna. Il primo di gennaio i romani si scambiavano fichi, mele e rametti di alloro o di ulivo, successivamente si fecero dei doni anche costosi a vicenda. Ma veniamo ai riti odierni che testimoniano un antico legame. Era in uso in certe zone di Romagna che i maschietti (solo loro perché le femminucce portavano iella), la mattina presto del Primo dell’Anno, andassero in giro, a fare gli auguri di Buon Anno Nuovo, ricevendo in cambio denaro e libagioni, il medesimo costume è in uso in Sardegna, qui i maschietti vengono chiamati figli di Strenia. Siamo sempre in odore di Befana, tra l’altro da Strenia, si passa a stria e poi a strega. Usanza antichissima e amata in Romagna è l‘accensione del ceppo, grosso tronco che dovrà bruciare per dodici notti. Il carbone che rimane dopo la combustione, verrà utilizzato l‘anno successivo per accendere il nuovo fuoco. Il carbone è tra i doni che la Befana distribuisce, si diceva solo ai bambini cattivi, ma era implicito che era un “cattivo”per modo di dire, se non c’era un po’ di carbone la calza non era perfetta. la Befana è rappresentata vecchia e brutta con un fazzolettaccio in testa e con le scarpe rotte, a cavallo della scopa, vola nella notte, scende dal camino, oggi scenderà forse tramite la banda larga, lascia ai bambini dolci o carbone. Come ogni anno Faenza celebra in occasione della vigilia dell’Epifania la Nott de Bisò, atto conclusivo del Palio del Niballo. Il Niballo, grande fantoccio raffigurante Annibale e simbolo di tutte le avversità, verrà poi bruciato. Altro elemento caratterizzante la Festa, è il bisò, vin brulé preparato con Sangiovese, aromatizzato con cannella e chiodi di garofano. Quando si parla di rogo e di “biscione” c’è sempre lo zampino della Dea Madre/Befana/Strega, si brucia il vecchio per lasciare posto al nuovo che si spera sia migliore. A Tredozio si svolge il giorno dell’Epifania il falò della Befana, il fantoccio di quest’ultima viene portata in corteo per le vie del paese, poi viene incendiato nel letto del torrente Tramazzo. Come dimenticare poi i Pasqualotti, i gruppi corali che cantano stornelli e ti entrano in casa insieme a befana e befanotto e, dopo aver ballato con i padroni di casa e gli ospiti, se ne vanno facendo gli auguri alla famiglia. Sapete perché si chiamano Pasqualotti? Tutte le feste religiose vengono considerate come Pasqua perché preludio di quest’ultima Festa in cui viene sconfitta la morte… e non dimenticatevi che la notte della Befana gli animali parlano tra loro, quindi trattateli bene perché altrimenti potrebbero sparlare di voi.
immagine: Befana pin up
articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il 6/01/2014