War is Over? Arte e conflitti tra mito e contemporaneità: la mostra presso il MAR di Ravenna

War is Over? Arte e conflitti tra mito e contemporaneità: la mostra presso il MAR di Ravenna

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cultura Romagna, del 

War is over? Arte e conflitti tra mito e contemporaneità è la mostra allestita, dal 6 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019 presso il MAR di Ravenna. Curata da Angela Tecce e Maurizio Tarantino, l’esposizione segue due tracce: le opere d’arte e le citazioni di scrittori, poeti e filosofi. Si articola in tre temi: Vecchi e nuovi mitiTeatri di guerra, Frontiere e confini/ Esercizi di libertà, quest’ultimo rivolto all’arte vista come profezia di un futuro possibile. L’esposizione si collega idealmente al centenario della prima guerra mondiale, suggerendo più spunti sui disastrosi conflitti, tra cui il più deleterio e subdolo: quello di creare fascinosi miti.

Il tutto si avvale di installazioni di Studio Azzurro, famoso gruppo di artisti che gioca con i media attuali a tutto tondo (operando come le botteghe di un tempo, quando ogni artista di fama proveniva da una bottega e poi creava la sua), con artisti del calibro di Picasso, Rubens, Abramovic (con un inquietante quadro in cui una donna a seno nudo, il volto coperto dai capelli e un teschio biancheggiante tra le mani evoca la calda ed erotica carne e la fredda e tecnica morte), Beuys, Boetti, Burri, Christo, De Chirico, Fabre, Kiefer, Nitsch (con le colate di sangue, che quasi non posso guardare, mi evocano le sue performance coi corpi di animali mutilati e crocifissi, sangue alle pareti, carcasse squartate davanti al pubblico, qui c’è solo  buio e disperazione) Kentridge, Kounellis, Rauschenberg, Warhol, Pascali ( molto più sottile e speranzoso di Nitsch, trasforma una bomba a mano in uno scrigno dove introduce bigliettini coi suoi pensieri, un pensiero positivo che ricorda Pollyanna e il suo segreto), Marinetti, Pistoletto e tanti altri tra cui una lastra in marmo che evoca il monumento funebre di Guidarello Guidarelli, simbolo delle collezioni del MAR.

Mostra d’arte e di parole, a fianco delle opere, ci sono citazioni che ti raspano l’anima come carta vetrata, che di per se stesse pongono già una domanda: è nata prima l’immagine o la parola? Se la risposta può sembrare scontata, pensando alle grotte di Lascaux, non è scontata la vittoria dell’immagine sulla parola. Se raschiamo la crosta del mito viene fuori uno slogan che ripetiamo sovente… un’immagine vale più di mille parole. Una teoria che qualcuno attribuisce a Confucio o a Buddha (veramente il Buddha ha detto qualcosa di assai diverso “Migliore di un discorso di mille parole prive di senso, è una sola frase sensata udita, con la quale l’uomo si calma”), in realtà ha più o meno cento anni: risale cioè agli anni in cui si è cominciato a parlare di pubblicità e di giornalismo.

E’ apparsa la prima volta su un articolo di un quotidiano nel 1911, ripresa nel 1921, da un pubblicitario tale Fred Barnab (guarda caso il nome rievoca Fred e l’amico Barney del cartone animato I Flintstones), che l’attribuì ad un antico proverbio cinese… l’agenzia fallì nel 1941 e nel frattempo Barnard confessò che il detto non era né antico né cinese: “l’abbiamo pensata perché la gente prendesse la frase seriamente”. E’ possibile che un’immagine sia capace di raggiungere la nostra coscienza con più forza di molte spiegazioni? Claudio Strinati, storico dell’arte non ha dubbi: il primato va all’immagine.

La nostra epoca è figlia dell’immagine, televisione, cinema, smartphone e altro (n.d.r. non c’è da stare tranquilli perché sono state proprio le immagini il veicolo principe di tutti i totalitarismi del tragico Novecento) potremmo forse considerare le stesse parole come una particolare forma di immagine? (n.d.r. nella mente si crea l’immagine e poi la si descrive, ciò indica l’immagine come nata per prima, determina però la scrittura come un’evoluzione e perciò superiore alla visione). All’opposto il rabbino Benedetto Carucci Viterbi, da tradizione ebraica sostiene che una parola vale più di mille immagini. Una tradizione fortemente iconoclasta, presente anche nell’Islam, incentrata sulla predominanza della parola e della sua forza creatrice: Dio parlò e creò il tutto: la parola quindi è infinita, l’immagine finita e univoca.

Meglio mille parole o mille immagini? Direi, a parer mio, che la verità sta nella strada mediana, quindi 500 parole e 500 immagini, come gli artisti che nelle loro opere inseriscono simboli e messaggi archetipici o gli scrittori, poeti e filosofi che descrivono visivamente con le loro parole riuscendo a creare nella mente del lettore un’immedesimazione filmica… quindi il trionfo del cinema, parola e immagine. Infatti, a War is over, assai notevole è la sala tappezzata con manifesti di film di guerra.

Da non perdere il video con gli spezzoni dei film, geniale la trovata di uno di questi da cui si passa da una specie di bomba/testimone, che vola nel tempo, che si trasforma poi nell’osso scagliato verso il cielo di 2001: Odissea nello spazio, il capolavoro di Kubrick , una metafora di offesa e conquista che si trasforma in messaggio positivo. Molte le citazioni che chiamerei propositive, (ad esempio War is peace / freedom is slavery/ ignorance is strength La guerra è pace/ la libertà è schiavitù /L’ignoranza è forza, terribile, profonda e soprattutto veritiera frase di Orwel in 1984), altrettanto le opere d’arte, tra cui un eccelso Rubens che raffigura un suntuoso alabardiere accanto a un simpatico e fumettaro Yoda, il mago Merlino di Guerre Stellari, che dialogano con una frase di San Paolo.

Il biliardino di Pistoletto, una partita fra africani ed europei, con la scritta Love is difference, il grande artista sa parlare con ogni cosa, in questo caso il calciobalilla (bellissimo gioco da bar, soppiantato dalle slot machine ideato in epoca fascista nei centri per la riabilitazione psicomotoria dei reduci di guerra. Balilla è un nome usato spesso da Mussolini nella sua propaganda, era anche una radiolina, un’utilitaria oltre ad essere il bambino fascista dai 6 ai 12, probabilmente il nome nasce per la similitudine tra i piccoli balilla fascisti e le piccole sagome dei giocatori.

Il termine probabilmente fu ispirato alla figura di Giovan Battista Perasso, detto  Balilla, patriota genovese del Settecento, ma foneticamente balilla ricorda Alalà che nella mitologia greca era la personificazione del grido di battaglia, figlia di Polemos il demone di tutte le guerre. Il termine fu ripreso da Gabriele D’Annunzio per coniare il celebre esortativo  Eia, Eia! Alalà!, quale grido di esultanza degli aviatori italiani che parteciparono all’incursione aerea su Pola del 9 agosto 1917, durante la prima guerra mondiale. Se Alalà!  era l’urlo di guerra greco, Eia! era il grido con cui, secondo una tradizione, Alessandro Magno era solito incitare il suo cavallo Bucefalo).

Il calciobalilla di Pistoletto segnava la vittoria degli africani col risultato di 4 a 0, non so se volutamente da Pistoletto o meno; siccome l’arte di oggi è interattiva mi sono permessa di cambiare il risultato con un 4 a 4, cioè alla pari, perché l’Occidente e l’Europa e gli altri Paesi alla pari devono stare, basta rimorsi, si è pianto abbastanza, si lavori affiancati che anche l’Africa ha i suoi orrori e i suoi dittatori e le sue colpe e sulle decisioni importanti l’emozione fa brutti scherzi.

Avrei voluto parlarvi di tante altre opere, ma poi avrei avuto bisogno di pagine e pagine. Mi limito perciò a introdurvi nella Mostra, che inizia con tali parole: “Polemos è padre di tutte le cose, di tutto re” (Eraclito), ma Eraclito era pessimista, meglio forse Democrito? In uno dei suoi Dialoghi, Luciano immagina che Giove e Mercurio si improvvisino venditori di filosofi. Giove e Mercurio lodano per la loro saggezza due opposti filosofi l’uno che continuamente ride, l’altro che invece piange (simbologia presente sia nella mitologia celtica, il re che piange e il re che ride, che nella Chiesa cattolica, Giovanni che ride e Giovanni che piange). Il filosofo che ride è Democrito: se tutto è un caso allora perché angustiarsi.

Quello che piange è Eraclito, il filosofo del divenire che avverte la tragicità di un mondo in cui il senso trapassa nel non senso. Sembrano contrapposti, in realtà non lo sono, se uniti non possono che dire… accetta con animo tranquillo e distaccato il caso/caos naturale, ma rattristati per il caos dell’uomo che non è un caso, la morte è naturale ma quando diventa un assassinio è atrocità ed è pianto per tutti. (Orari: Da martedì a domenica dalle 9 alle 18. Chiuso il lunedì. Biglietti: Intero 10 euro, ridotto 8 euro).

Paola Tassinari

Dato che i primi abitanti dell’Italia furono romagnoli diamoci da fare!

Dato che i primi abitanti dell’Italia furono romagnoli diamoci da fare!

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cultura Romagna, del 

 

La Romagna ha origini lontane, molto lontane. Sicuramente tutti saprete che i primi abitanti furono gli etruschi e gli umbri poi arrivarono i celti che diedero un’impronta molto forte al nostro carattere e poi i romani che colonizzarono la nostra fertile terra, non completamente come si crede in quanto i romani rispettavano dei vinti usi e costumi e anche la religione. I Romani non hanno mai lottato per affermare i loro Dei, anzi per loro le divinità altrui erano da sedurre. Ad esempio, nei casi di assedio si invitavano, tramite appositi riti, gli Dei preposti alla tutela della città ad abbandonarla, in cambio Roma, avrebbe edificato sui suoi colli un tempio e costituito uno specifico corpo sacerdotale.

Nei pressi di Castrocaro e Terra del Sole, a una decina di chilometri da Forlì si trova la rocca di Monte Poggiolo. La costruzione è a pianta quadrilatera irregolare, agli angoli ha quattro torrioni cilindrici. Data la sua importanza strategica (…”dalla rocca si controllava la pianura della Romagna papale da Faenza fino a Ravenna, e l’Adriatico, di modo che non è possibile far passare fra queste mura e la Terra del Sole di giorno alcun corpo considerabile senza esserne avvisati”… O. Warren, Raccolta di piante delle principali città e fortezze del Granducato di Toscana) la rocca fu contesa nei secoli dalle varie signorie di Forlì, Faenza e Castrocaro.

Alla fine del 1500, la rocca perse la sua importanza in seguito alla costruzione della fortezza di Terra del Sole, attrezzata di artiglieria. Successivamente la rocca fu acquistata da privati, oggi presenta un progressivo degrado, ahimè, senza possibilità di intervento statale per la tutela del patrimonio storico e artistico, ahimè, anche se alla base della Rocca di Monte Poggiolo, località Ca’ Belvedere, è stato ritrovato nel 1983 quello che a tutt’oggi si ritiene essere il più antico sito preistorico europeo.

Un milione di anni fa circa, quando il mare arrivava all’Appennino, sulle spiagge di Monte Poggiolo vi giungeva l’uomo per la prima volta. I dati geologici e paleontologici confermano che i ritrovamenti di Monte Poggiolo appartengono al più antico ciclo del Paleolitico inferiore fino ad ora rinvenuto in Italia e in Europa. L’uomo di Monte Poggiolo probabilmente apparteneva all’Homo erectus; aveva sembianze simili a noi, sapeva lavorare la pietra, scheggiava la selce per costruirsi punte acuminate con cui cacciare e utilizzava raschiatoi per pulire le pelli, aveva padronanza del fuoco, sapeva cucinare e forse anche navigare e presumibilmente aveva un gergo fatto di gesti e di espressioni facciali.

Nel sito archeologico di Poggiolo è stata rinvenuta una gran quantità di materiale formato da gruppi di selce lavorata, ma non sono stati trovati né resti umani né animali. Da dove veniva? Sin dai tempi antichi si pensava che i primi abitanti d’Italia fossero i siculi e che questi avessero abitato la Romagna prima di venire scacciati dagli umbri. E i Siculi da dove provenivano? Era l’Africa collegata alla Sicilia? Ad avvalorare questa tesi, nel 1983 il dott. Gerlando Bianchini, nei pressi di Agrigento, trovò in una roccia calcarea di diciotto milioni di anni; alcuni resti fossili di una specie di austrolopiteco, ovvero un ominide vissuto circa 4.000.000 di anni fa. I pochi resti dentali rinvenuti, portarono Bianchini ad individuarne le caratteristiche nell’austrolopiteco gracilis, un essere bipede dall’altezza di circa un metro e venti, che nonostante avesse la scatola cranica più ridotta di quella dell’uomo attuale e avesse ancora la fronte sfuggente e il mento retratto come le scimmie, doveva manifestare una certa capacità intellettiva nell’usare i mezzi di difesa, come le pietre e i bastoni (Gilberto Giorgetti). La Provincia di Romagna esiste o s’ha ancora da fare? E’ sicuramente importante accelerare il percorso di costituzione della Provincia unica, sic, non sarà una regione, ma sicuramente può rappresentare con più forza i nostri interessi… dato che i primi abitanti dell’Italia furono romagnoli diamoci da fare!

Paola Tassinari