TERRA DEL SOLE COSI’ MEDICEA

Simone_SassoCosimo de’ Medici, primo Granduca di Toscana, figlio di Giovanni dalle Bande Nere, quest’ultimo figlio di Caterina Sforza, aveva “il pallino” per il tema della città ideale, cioè il concetto di un centro edificato con criteri scientifici e matematici, uniti a un ideale filosofico e a una forte carica utopica; tale idea, di una città in cui l’uomo possa vivere al meglio, un microcosmo rispecchiante la perfezione e l’armonia del macrocosmo, ha percorso l’intera storia dell’umanità, fino ai giorni nostri, si pensi al Modulor inventato dall’architetto svizzero-francese Le Corbusier nel 1948, scala di proporzioni basate sulle misure dell’uomo, come linee guida di un’architettura armonica. Cosimo realizzò la sua aspirazione in ben due luoghi: Terra del Sole o Eliopoli, a pochi chilometri da Forlì e la Città del Sole nel Montefeltro, a Sasso Simone, chiamate così perché nel Rinascimento il sole era un simbolo propiziatorio e di razionalità. Terra del Sole è un centro storico rinascimentale, una “città fortezza”, un rettangolo con le mura, con al centro un abitato civile e militare, fu progettata e costruita dai migliori architetti del tempo e ancora oggi attraversandola si rimane stupiti per l’armonia e per il luogo inondato dal sole. Sasso Simone, durante la seconda metà del Cinquecento, venne scelto da Cosimo per diventare il luogo sul quale far sorgere la sua città utopica e inespugnabile. Il Sasso in epoca antica fu senz’altro luogo di culti pagani dediti alle divinità dei boschi, successivamente si insediarono i longobardi e poi, intorno all’anno Mille, i monaci Benedettini, ma, a causa dell’asprezza del territorio e la difficoltà di salire sulla cima, il luogo fu abbandonato. Si favoleggiava che dall’alto dei Sassi, accanto al Simone, vi è un altro monte chiamato Simoncello, si potessero vedere alcuni territori della Dalmazia, oltre l’Adriatico. Si legge nelle cronache dell’epoca: Il Sasso è luogo della massima importanza perché è elevatissimo e inespugnabile, e perché sta sui confini del piviere di Sestino, del duca d’Urbino, dei conti Giovanni e Ugo di Carpegna, del conte Carlo di Piagnano, della Chiesa e di Rimini e perché chi vi edificasse un castello, come un leone fortissimo potrebbe annientare tutti gli altri castelli e luoghi circostanti senza timore di attacchi. In caso di timor di guerra è possibile specialmente di notte far segnali a Montauto di Perugia, al monte di Assisi, a Recanati, a Sassoferrato e a molte altre terre della Chiesa: in una notte si arriva di rocca in rocca a trasmettere il segnale fino a Roma e di lassù è anche possibile vedere molti luoghi della Dalmazia. Il nomedi Sasso Simone è di origine incerta, si pensa sia dovuto alla memoria di un eremita venuto dall’Oriente che qui si stabilì, altri ipotizzano alle invocazioni, dei sacerdoti romani, ai Semoni, che erano Dei, speciali custodi delle campagne. Questo Sasso è un enorme masso che viene dal mar Tirreno, in fondo al quale si trovava prima che le mutazioni della crosta terrestre lo facessero emergere per poi farlo scivolare sino all’Adriatico. Fu proprio sulla vetta di questo masso forestiero cheCosimo dette l’ordine di iniziare i lavori per costruire la sua città perfetta. Il lavoro fu arduo, il monte ha le pareti verticali su tutti i lati, al punto che il sentiero per arrivare in cima fu ricavato con mazza e scalpello dalla roccia viva, ed è tuttora l’unico modo per arrivare sulla sommità del monte; occorsero dieci anni di sudore e di impegno e quando fu finita, solo pochi abitanti vi si trasferirono, perché troppo disagiate le condizioni di vita. Alla fine del 1500, le difficoltà nella coltivazione della terra, di raggiungimento e approvvigionamento, la natura selvaggia e il gelo e le intemperie, resero la sopravvivenza così difficile che la città venne abbandonata, nel 1674 la città era già totalmente diroccata, tanto che ne fu decretato lo smantellamento per il recupero dei materiali superstiti. Nonostante ciò ancora oggi è possibile ammirare qualche resto fra la vegetazione del Parco Naturale Simone e Simoncello, pochi ruderi rimasti, come sentinelle, testimoni del sogno sempre rincorso e mai realizzato della città ideale.

immagine: Sasso Simone

articolo già pubblicato sul quotidiano “La  Voce di Romagna” il giorno 23/05/2016

Torquato Dazzi Bibliotecario

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Venisti tu Torquato Dazzi a ninna-nannarmi i versi/che traducesti vent’anni or sono per svegliar Mussato?/Tu con Marinetti fai il paio/ambi in eccesso amaste,lui l’avvenire/ e tu il passato”. E’ il Canto LXXII, scritto in italiano, da Ezra Pound,nel 1944, in occasione della morte di Marinetti. In questo Canto, dove tornano gli spiriti di Marinetti, di Ezzelino da Romano e si scoperchiano i sarcofagi di Galla Placidia a Ravenna, e di Gemisto al Tempio di Rimini, Pound cita Torquato Dazzi come grande studioso del passato. Dazzi aveva conosciuto Pound, quando questi si era recato alla Malatestiana di Cesena, dove lui era direttore, diventarono buoni amici e lo rimasero, Pound lo chiama l’amabile bibliotecario in una lettera del 1923. Lo scambio fra di loro fu anche intellettuale in quanto, il poeta americano, era amante del lontano medioevo e Dazzi oltre al grande impegno profuso per la cultura in vari ambiti, aveva anche scritto un libro, “Il Mussato preumanista” e tradotto dal latino una tragedia ispirata a Seneca, “Ecerinide”, di Albertino Mussato (1261/1329). Quest’ultimo era un politico e letterato che recuperò i testi dei grandi autori latini e partecipò al passaggio dalla filosofia Scolastica all’Umanesimo. Manlio Torquato Dazzi (Parma1891/Padova 1968), grande letterato e bibliotecario, armato di passione e di impegno, fu dal 1921 fino al 1926 direttore della Biblioteca Malatestiana di Cesena, a cui dette un grande impulso soprattutto per quanto riguarda il servizio al pubblico, ma anche come presenza culturale nella città. Fece realizzare inoltre un coraggioso restauro della sede. A Cesena tenne anche l’insegnamento di storia dell’arte al Liceo classico, gli studenti di Cesena rimasero molto affezionati al loro insegnante, tanto che, lungo gli anni, spesso si riunivano, provenendo da varie città, per andare a trovarlo. Non conoscevo questa illustre persona, un amico di Cesena, Lelio, mi ha chiesto se volevo fare gli auguri di compleanno alla signora Nulla, una bella e sveglia signora, che compiva 96 anni, figlia di Dazzi, dicendomi che a suo parere, Dazzi fosse stato il più importante direttore avuto alla Biblioteca Malatestiana. Succeduto a Renato Serra, che è certamente più conosciuto perché cesenate, ma Dazzi, ribadiva il mio amico, ha lasciato il segno nella cultura nazionale. Tutto ciò mi ha incuriosito e Lelio, gentilmente mi ha portato del materiale informativo. Dazzi laureato in lettere all’Università di Padova nel 1913, inizialmente diresse la Biblioteca e la Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi, a Rovigo, impegnandosi particolarmente nel riordino della collezione d’arte e nelle iniziative culturali locali. Partecipò da volontario alla prima guerra mondiale, come tenente, venendo ferito nel 1915 sull’Altopiano di Asiago e cadendo poi prigioniero degli Austriaci. Tornato dal campo di prigionia nella primavera del 1916, combatté ancora sul Carso e sulla Bainsizza, conseguendo una medaglia di bronzo al valore. Divenne poi direttore della Malatestiana, lasciandone la dirigenza per approdare alla Biblioteca Querini Stampalia di Venezia, dove rimase per trent’anni. Poeta e romanziere, critico e attento osservatore della poesia e della narrativa contemporanea, traduttore di classici francesi da Molière e Racine a Baudelaire e Valéry, studioso della letteratura e delle tradizioni del Veneto, soprattutto di Goldoni, si occupò anche di problemi di catalogazione, particolarmente negli anni Venti, e di storia dell’editoria. Svolse un’intensa attività giornalistica, impegnato politicamente, fu antifascista, nella Biblioteca Querini tenne in catalogo, anche dopo le leggi razziali, le schede degli autori ebrei, oltre alla diffusione di opuscoli sovversivi fra i suoi studenti. Fu così costretto a fuggire in Svizzera, dove portò con sé due libri, la Divina Commedia e il Vangelo, lo spirito critico e l’impegno contro la caduta dei valori di Dante e l’amore che si trova nel Vangelo, mi pare che spieghino bene la tempra di quest’uomo libero. Attivo nella Resistenza, gli fu assegnata la medaglia d’oro con la dicitura: “La Resistenza e la Cultura Italiana”.

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 16/05/2016

Il destino della Coppa

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Nel1438, accompagnato da notabili e dignitari, tra i quali il patriarca Giuseppe II e il Cardinale Bessarione, Giovanni VIII Paleologo giunse a Ferrara per il Concilio ecumenico. Le circostanze che portarono il Paleologo in Italia sono ben note, sempre più vulnerabile alla pressione turca, l’impero romano d’Oriente, e la sua favolosa capitale, necessitavano dell’aiuto militare delle potenze occidentali, la cristianità intera era chiamata alla guerra santa contro gli infedeli, e il presupposto per questa crociata unitaria era la riconciliazione della Chiesa cattolica con quella ortodossa, ma l’obiettivo politico-teologico, la scintilla, il Graal come noto, fallì, solo pochi anni dopo Costantinopoli cadde, provocando un’ampia eco per tutto l’Occidente. Piero della Francesca, pittore e matematico italiano, rappresenta questo sogno infranto, nelle sue opere più famose, come la Flagellazione e la Madonna di Senigallia. Nella Madonna di Senigallia il Bimbo ha in mano un anemone bianco, chiamato anche “fiore del vento”, per la fragilità dei suoi petali, è un fiore dal significato melanconico perché richiama l’abbandono, un significato metaforico di fuggevolezza di una cosa bella, per cui il suo simbolismo intrinseco è quasi di rassegnazione ad una fine vicina, di un sentimento bellissimo ma breve. Secondo una tradizione diffusasi dopo il 1453, sul sepolcro di porfido di Costantino era scolpita una profezia, decifrata da Giorgio Gennadio Scolario, che annunciava la fine dell’Impero bizantino quando un imperatore e un patriarca i cui nomi cominciavano con le lettere “Io” avessero regnato allo stesso tempo, la fine dell’Impero e della Chiesa sarebbe stata vicina. Così avvenne, infatti, gli uomini del Concilio, i cui risultati non vennero ratificati, furono l’imperatore Giovanni (Ioannis) e il patriarca Giuseppe (Iosif), la profezia continuava con la disfatta ottomana a opera di una ‘razza gialla’ che avrebbe restituito la città ai cristiani. Costantinopoli, odierna Istanbul è ancora “ottomana”, quest’ultima profezia si fa attendere. Il Graal, il sogno si sposta in Francia, alla corte di Luigi XII, chiamato Padre del Popolo, perché amava la giustizia e l’economia, anche se in vita fu impopolare, forse questo Graal non si avvera mai, perché gli uomini di valore sono solitamente avversati perché più avanti con i tempi, basti pensare che fu molto popolare, in vita, Luigi XI, perché aveva i gusti della moltitudine, venne poi chiamato dai posteri “ragno universale” per il suo cinismo. Luigi XII non ebbe eredi e il nuovo sogno si infranse a Ravenna nella famosa Battaglia del giorno di Pasqua del 1512, quando il “delfino” Gastone de Foix, probabile erede al trono di Francia e discendente di Esclarmonda, muore a Ravenna. Gastone era cugino dei re di Navarra e nipote di Luigi XII poteva portare la pace fra francesi e spagnoli, ma il Graal, con la morte di Gastone, fallisce ancora. Ora la veggenza, la trasformazione, non è più di sangue reale, si decapita il re, siamo nel 1793, la nuova luce è la borghesia illuminata, che si fonda su tre parole: “Libertà, Uguaglianza, Fraternità”. La massoneria dei Doveri e dei Diritti, il Graal ha tanti illuminati personaggi, se non proprio a Ravenna, in Romagna. Per un po’ di anni il libro “Cuore” è il Graal che muove le persone verso ideali di fratellanza e amore, ma dura poco, le Guerre Mondiali sfracellano tutto. Il Graal lo cerca avidamente Hitler che abbagliato dalla sua luce ne viene accecato e causa l’olocausto, la vergogna dell’uomo. Arrivano gli americani, il Graal ora lo hanno loro, tutto diventa americano, ma ancora una volta la luce diviene presuntuosa e si affievolisce. E ora dove è il Graal? E’ forse ritornato a Ravenna, la Porta d’Oriente? Forse il Graal laico riunendosi al Graal religioso, riuscirà a riunire la Chiesa ortodossa a quella cristiana, a pacificare quella ebrea con quella islamica e uomini di buona volontà torneranno ai commerci e agli scambi verso l’Oriente, là dove nasce il sole, oppure si realizzerà la profezia di Costantino, tradotta da Gennadio e cioè con la disfatta ottomana a opera di una ‘razza gialla’ (i cinesi) che avrebbe restituito la città ai cristiani? (fine)

immagine: Madonna di Senigallia Piero della Francesca

già pubblicato sul quotidiano “LaVoce di Romagna” il giorno 09/05/2016