L’Aquila, le Chiavi, il Giglio: lo spettacolo del Castello di Castrocaro

L’Aquila, le Chiavi, il Giglio: lo spettacolo del Castello di Castocaro

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cultura Romagna, del 25 Set 2018, 11:58

Castrocaro, è un paese di origine etrusca, già stazione termale ai tempi dei romani, era chiamata Sulsubium ed è tuttora famosa per le sue acque sulfuree. Nell’ameno borgo, su una rupe, ciò che resta di un’antichissima scogliera sottomarina di età miocenica (10 milioni di anni fa); una rupe con molti resti fossili marini di notevole interesse geologico, testimonianza di un antico viaggio del mare, si erge il Castello di Castrocaro. Una delle opere incantate che adornano la Romagna

Grazie alla sua posizione elevata e al difficile accesso era facilmente difendibile, non fu mai conquistato. La rupe ebbe valore strategico sin dalla preistoria, poi il Castello fu sentinella di un ampio territorio, ergendosi in un luogo di passaggio obbligato per gli eserciti. Il Castello segnava il confine che divideva il regno longobardo dai domini bizantini; la prima testimonianza scritta della sua esistenza risale al 961.

Inizialmente fu dei conti di Castrocaro, raggiungendo ben presto una grande importanza tanto che nel 1160 e nel 1164 ospitò anche l’imperatore Federico Barbarossa. Con la morte di Federico II (1253), lo Stupor Mundi se ne andava in un’altra vita per il solito mal di pancia, e il conseguente traballamento di potere il Castello finì sotto il potere temporale della Chiesa. La Rocca da residenza feudale divenne presidio militare e sede di tribunale. Nel 1403, dopo lunghe trattative e peripezie Firenze acquistò la Fortezza dal Papa con annessi e connessi.

Con il dominio della Repubblica di Firenze, iniziò per Castrocaro un periodo fausto sia sul piano politico che culturale e sociale, Castrocaro diventò capoluogo della Romagna fiorentina. Agli inizi del Seicento, in seguito alla nuova politica del Granducato toscano, la Rocca perse la sua importanza strategica e pian piano fu abbandonata, non serviva più, quindi inutili erano i costi elevati per mantenerla. Il suo inutilizzo, col tempo si è rivelato assai positivo, in quanto lo ha preservato intatto, lasciandoci un castello medievale originale e non un tarocco.

Nel 1923 la Fortezza venne acquistata dal Comune, nel 1982 ebbero inizio i lavori di restauro con la decisione di riutilizzarla a fini culturali e turistici. Unica nel suo genere, per tipologia e ampiezza, la Fortezza di Castrocaro è composta da tre distinte opere architettoniche e difensiveil Girone, la parte più antica con il Mastio, la Rocca, l’espansione due-trecentesca del Girone e gli Arsenali Medicei, che racchiudono ambienti vasti e altissimi che stupiscono per la capacità tecnica dell’uomo, caratterizzati da un’enorme muraglia in cotto e un soffitto a botte di mattoni regolari, struttura che a sua volta ingloba speroni di roccia su cui si può leggere la preistoria e vedere conchiglie di milioni di anni fa.

Dopo oltre quattro secoli di abbandono, la Rocca e gli Arsenali medicei sono stati resi agibili e affidati in gestione alla Pro Loco di Castrocaro, che ha reso visitabili il Palazzo del Castellano, il Cortile delle Armi, la Corte, la Chiesa di Santa Barbara, (dove forse segretamente si sposò Caterina Sforza con Giovanni de’ Medici detto il popolano, che da quanto risulta dal ritratto di Botticelli era veramente un bel giovane) Torre delle Prigioni, le Grotte trogloditiche con la tomba etrusca ed il cosiddetto  Balcone dell’Acquacheta o Balcone degli innamorati dal quale si ammira un panorama da sogno.

Nelle sale del Palazzo del Castellano, la Pro Loco ha allestito il Museo Storico-archeologico denominatol’Aquila (periodo imperiale del castello) le Chiavi (periodo papale) il Giglio (periodo fiorentino), dove sono esposte armi, maioliche, dipinti, arredi e suppellettili antiche. Non vi racconto nulla del museo, perché dovete andare a visitarlo vi dico solo qualcosa… scoprirete la differenza fra la scure che tagliava le teste e quella che tagliava i piedi, la strage della notte di Natale del 1386 e la lettera che spiegava ai superstiti cosa fare, il perché si dice che si può perdere la testa per una donna, vedrete un gabinetto medievale assai efficiente e funzionante e constaterete che tale toilette era in voga ancora negli anni Cinquanta/Sessanta nelle campagne romagnole e poi conoscerete il segreto della coniglia e dell’uccello e la storia di Margherita che piange il suo amore perduto e tante altre cose.

Nello stesso Palazzo la Proloco ha allestito l’Enoteca dei vini pregiati locali, così saprete, sempre grazie al Castellano, che è uno squisito padrone di casa, che Cosimo de’ Medici preferiva assai assai il nostro Sangiovese, piuttosto che il Chianti, spendendo una fortuna per procurarselo. Il territorio di Castrocaro con il Castello, la Rocca di Monte Poggiolo, Terra del Sole e Pieve Salutare meriterebbe il fregio di Patrimonio Unesco. Ingresso 5 euro, orari indicativi: il sabato pomeriggio, domenica e festivi mattino e pomeriggio. Qui il link con gli orari esatti:  https://www.proloco-castrocaro.it/il-castello/prezzi-e-orari.html (n.d.r. appellerei il Castellano col titolo di Uomo Patrimonio Unesco, se visiterete il Castello con la sua guida capirete il perché… l’entusiasmo e l’amore per ogni cultura/coltura, scevro da interessi personali realizza i sogni)

Paola Tassinari  

Le nonne, il loro matterello e la spoja lorda conquistano la Gran Bretagna

Le nonne, il loro matterello e la spoja lorda conquistano la Gran Bretagna

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cultura Romagna, del 17 Set 2018, 15:49

L’Emilia-Romagna vanta una grande tradizione culinaria: l’arte della pasta fatta in casa: le mitiche sfogline che tirano la pasta all’uovo con olio di gomito, munite di matterello e tagliere creando veli e tessuti color dell’oro, ottenendo poi tortelli, tagliatelle, cappelletti, spoja lorda e altro. Le sfogline sono un patrimonio culturale da proteggere e preservare.

Anni fa, ai tempi della nonna, della mamma e della suocera, in Romagna andava di moda un detto: “Puoi essere bella o quanto vuoi, ma se non sai fare la sfoglia non vai da nessuna parte”, e ai tempi fare la sfoglina era un po’ più difficile, in quanto c’era la miseria e spesso si tirava la sfoglia matta cioè con l’acqua al posto delle uova. La preparazione della sfoglia rappresentava il vanto delle giovani spose. Era la valutazione con la quale il marito e la suocera ne misuravano le qualità.

A tal punto che nelle famiglie patriarcali, dove convivevano in tanti, l’azdora era solita dare la quantità giusta di uova, ovvero un uovo per etto di farina, alle figlie, mentre dimezzava la quantità per le nuore, (la  farina con meno uova e l’aggiunta di acqua diventa meno elastica e tirando la sfoglia si creano i classici buchi… orrore degli orrori per una sfoglina fare i buchi nella sfoglia) per far fare bella figura alle figlie, soprattutto se non le piaceva tanto la nuora. Detto questo intendo parlarvi di una pasta un po’ meno conosciuta ma che a colpi ad sciaddur (il matterello) sta facendosi largo: la spoja lorda anche detta mnëstra imbutida (minestra imbottita).

E’ una pasta fresca tirata a mano, tipica dei giorni festivi, l’azdora la preparava quando aveva poco tempo a disposizione. Oppure se avanzava del ripieno dei cappelletti. La spoja lorda veniva lordata/sporcata per metà sfoglia con un “battuto” a base di formaggio morbido, parmigiano e uova. L’altra metà si ripiegava sopra e poi con la speronella (la rotella tagliapasta) si tagliava in orizzontale e in verticale. Ottenendo tanti quadretti che poi venivano tuffati nel brodo di gallina o di altra carne.

Venerdì scorso 14 settembre, a Lugo, si è svolta la finale del concorso gastronomico “Basta ch’u s’megna”, che ha riunito per la prima volta tutte le Pro Loco della Bassa Romagna. La sfida finale si è svolta tra Lugo, Cotignola, Alfonsine e Sant’Agata sul Santerno, la vittoria è andata alla Pro Loco di Lugo che ha vinto con la spoja lorda alla pancetta e radicchio, in genere come detto sopra, la morte di questa pasta è il brodo. Ma la Pro Loco di Lugo ha scelto di condirla con sugo di pancetta, cipolla e radicchio per renderla un poco estiva. Il brodo d’estate non è propriamente adatto e la spoja lorda ha così battuto cappelletti, ravioli e tagliolini.

Si dice che la spoja lorda abbia avuto origine nei pressi di Brisighella. Vero o non vero, Brisighella, l’ameno borgo dei tre colli, che si trova a pochi chilometri da Faenza, dedica a questa pasta, nel mese di aprile, una festa in cui la spoja lorda si può assaggiare presso lo stand gastronomico dedicato ed in ogni ristorante del territorio. La fama della spoja lorda non è finita qui, è arrivata in Gran Bretagna…  su You Tube il video della settantasettenne Gisella di Faenza, che prepara la spoja lorda, ha totalizzato ben 16.906 visualizzazioni.

Come è successo? Qualche anno fa  Vicky Bennison  ha creato il canale YouTube, Pasta Grannies (la pasta delle nonne). Filmando oltre duecento anziane donne italiane mentre preparano la pasta fatta in casa. Il progetto è nato quattro anni fa. Ma solo ultimamente si sono impennate le visualizzazioni, con oltre i 2 milioni di click per i complessivi video. Un progetto ideato per valorizzare ricette e tradizioni regionali della pasta fatta in casa a livello internazionale.

I video sono brevi ma pregni di percezioni ed emozioni antiche. Ognuno presenta un piatto di pasta e la sua preparazione. Oltre alla spoja lorda, cappelletti, tagliatelle, ravioli, pici, (tipici del sud della Toscana), culurgiones (i classici ravioli della Sardegna) e tanti altri piatti italiani che sono una ricchezza che molti ci invidiano. E le nonne d’Italia, sono così diventate, meritatamente, le stelle della cucina. Senza gli effetti speciali di molte delle trasmissioni culinarie televisive, anche se per questo è occorsa una esperta di gastronomia inglese. E ora vi lascio il link del video di Gisella mentre prepara la spoja lorda.  https://www.youtube.com/watch?v=FrucdNhbnnc

Paola Tassinari

Chiesa di San Giovanni Battista a Rimini, Guido Cagnacci, non fa differenze tra donne e Sante, per lui ogni donna era sensuale

Chiesa di San Giovanni Battista a Rimini, Guido Cagnacci, non fa differenze tra donne e Sante, per lui ogni donna era sensuale

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cultura Romagna, del 28 Ago 2018, 06:25

L’Ordine dei Carmelitani ha le sue origini nel Monte Carmelo, dove visse il grande profeta Elia, ritenuto uno dei fondatori della vita monastica. Da sempre questo monte è stato considerato il giardino verdeggiante della Palestina e simbolo di fertilità e bellezza. I carmelitani si diffusero in Europa dalla Terrasanta dopo le prime crociate; furono eremiti ed ebbero fra di loro un Santo molto famoso: l’inglese Simone Stock. Nella storia vi è un collegamento con la Romagna ed un romagnolo, Guido Cagnacci

La leggenda racconta, infatti, che nel 1251, l’Ordine del Carmelo, era circondato da ostilità, e rischiava di estinguersi. San Simone Stock, si rivolse alla Madonna. Ascoltò il suo dolore donandogli lo scapolare, con queste parole: “Coloro che moriranno rivestiti di questo scapolare non andranno nel fuoco dell’inferno. Esso è un segno di salvezza, protezione e sostegno nei pericoli e di alleanza di pace”. I carmelitani ottennero la concessione della chiesa di San Giovanni Battista a Rimini nel 1573 e tale possesso rimase fino al 1797, a seguito delle soppressioni napoleoniche passò ai frati cappuccini.

I carmelitani divennero molto popolari e seguiti, specie per la loro venerabile Madonna del Carmelo. La chiesa è stata ricostruita agli inizi del Seicento e successivamente, in eleganti forme barocche, alla fine del ‘700. La chiesa ospita pregevoli dipinti, su cui primeggia la pala “Madonna con Santi Carmelitani”realizzata intorno al 1630 dal santarcangiolese Guido Cagnacci, uno dei protagonisti della pittura inquieta del Seicento. La pala dalle belle figure e dai notevoli e preziosi tessuti coi panneggi deliziosamente modulati, alla vista così morbidi che vien voglia di toccarli, colpisce per la posizione defilata della Madonna col Bambino, posta in alto, in posa di profilo.

Maggior spazio è dedicato a Sant’Andrea Corsini, la sua presenza è legata quasi certamente al giubilo dei frati per la canonizzazione avvenuta nel 1629. Andrea di nobile famiglia fiorentina, nacque nel 1301 sebbene in gioventù fosse arrogante, spendaccione e ozioso, udì il richiamo religioso e vestì l’abito carmelitano. Nella pala il Santo volge gli occhi alla Vergine col Bimbo ricevendone il beneplacito. Ai piedi del Santo troviamo le carmelitane Teresa d’Avila e Maria Maddalena de’ Pazzi.

Quest’ultima nasce nel 1566 appartiene alla famosa casata de’ Pazzi, potenti per generazioni a Firenze. A 16 anni entra nel monastero carmelitano in Firenze. Soffre di una misteriosa malattia che le impedisce di stare coricata. Al momento di pronunciare i voti, devono portarla davanti all’altare nel suo letto, dove lei sta sempre seduta. Da questo momento vivrà diverse estasi, che si succederanno per molti anni e le descriverà in cinque volumi di manoscritti. Morirà nel 1607 dopo lunghe malattie.

Nella pala la Santa è inginocchiata, ha un volto bellissimo ricco di punti di luce, gli occhi abbassati e le vesti inondate di chiarore, Cagnacci riesce ad ottenere, lui così carnale ed erotico, un misticismo puro. Maddalena riceve dall’angelo che la sovrasta una corona di spine, chiara allusione alle sue estasi. Teresa d’Avila (1515 /1582), Santa spagnola, è ricordata per essere stata una delle più grandi mistiche della religione cattolica. Fu la fondatrice dell’ordine dei carmelitani scalzi. Nei suoi scritti descrive le sue estasi: un angelo le colpiva il cuore con un dardo dalla punta infuocata che le lasciava cinque ferite, simbolo delle stimmate.

Nel dipinto di Guido Cagnacci, Teresa viene trafitta dalla freccia infuocata dell’angelo, vestito riccamente di rosso e che pare meravigliato di ciò che sta accadendo. L’intensità della Santa è una specie di languore che la spossa, gli occhi sono chiusi e la bocca semiaperta pare ansimare di piacere. L’estasi sembra un orgasmo, come la più tarda e famosissima opera marmorea “Estasi di Santa Teresa” del Bernini a Roma. Cagnacci, non fa differenze tra donne e Sante, per Guido ogni donna era sensuale. E’ innegabile che Cagnacci dia il meglio di sé nei quadri in cui le donne sono le protagoniste indiscusse. La pala dei carmelitani benché sia in un luogo religioso e raffiguri delle Sante, rientra in questo ambito. Le donne, dipinte o reali, furono la fortuna e la sventura del romagnolo Guido Cagnacci.

Paola Tassinari