L’estate, la canicola, la siesta, Bertinoro, l’Albana e il graal

L’estate, la canicola, la siesta, Bertinoro, l’Albana e il graal

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cultura Romagna, del 31 Lug 2018, 19:38

L’estate, la canicola, la siesta, quell’ora sospesa dopo aver pranzato. Quando la Romagna contadina sonnecchiava, in quanto impensabile e dannoso lavorare sotto il sole (oggi siamo più progrediti tecnicamente, ma le condizioni lavorative in alcune aziende agricole sono peggiorate in quanto si lavora anche nelle ore centrali del solleone), poteva accadere di gustarsi un bicchiere di Albana, da una bottiglia tenuta nel pozzo a rinfrescare, il frigorifero non c’era, con dentro delle fette di pesca e un po’ di zucchero…..

L’Albana era il vino dell’estate ed usciva spumeggiante, occorreva fare attenzione perché magari ne fuoriusciva mezza bottiglia in quanto era fresca sì, ma non tanto… l’Albana era ed è un po’ magica, volendo può evocare il ‘graal’Questo vino bianco, insieme al Sangiovese, è il vino che più rappresenta la Romagna.Il suo colore è giallo intenso e dorato dal gusto asciutto e profumato. Può essere sia secca che dolce ed anche passita. Ideale da bere a fine pasto con la ciambella o con la piadina, ma si sposa bene anche coi cappelletti in brodo.

La presenza dell’Albana in Romagna è documentata a partire dal 1495, ma il suo nome, derivante da ‘albus’, termine latino che significa ‘bianco’ ma anche ‘chiaro’ o ‘luminoso’, ci riporta a un’epoca romana in cui l’Albana veniva considerata la migliore delle uve a bacca bianca. L’Albana è legata a una leggenda e all’ameno paese di Bertinoro. La storiella racconta che Galla Placidia, che fu figlia, sorella e madre di imperatori, nonché imperatrice lei stessa, assaggiò questo vino mentre da Ravenna, allora capitale dell’Impero romano, stava attraversando il confine tra Romagna e Toscana.

Il vino le fu servito in un bicchiere di terraglia. L’imperatrice appena bevuto un sorso di Albana, fu tanto estasiata dalla bontà del vino da esclamare: “Non così umilmente ti si dovrebbe bere, bensì berti in oro, per rendere omaggio alla tua soavità!” Così nacque, da berti in oro, il nome del paese di Bertinoro, sulle colline forlivesi, da sempre considerato luogo di squisita ospitalità e si tramandò la fama dell’Albana.

Già siamo al calice o coppa d’oro e a Galla Placidia, che tramite Alarico è legata al ‘graal’ e al favoloso tesoro che il re visigoto razziò a Roma il 24 agosto del 410 d.C., Alarico si portò via anche il tesoro del tempio di Gerusalemme, tra cui si favoleggia l’arca/graal, che i Romani avevano sottratto al tempio di Salomone nel 70 d.C. e si portò pure via la diciottenne Galla Placidia di cui si era invaghito. Non sto a raccontare le altre peripezie del tesoro e di Galla Placidia, volendo solo evidenziare il legame fra Albana/luminoso/coppa/oro/Galla Placidia che rimandano al ‘graal’… e non è finita qui.

Una tradizione lega l’Albana ai Colli Albani, da cui provenivano i legionari colonizzatori della Romagna, la zona odierna dei Castelli Romani. Qui sorgeva la città latina di Alba Longa, qui vi era ‘il nemus’ cioè il bosco sacro, un luogo di culto caratteristico delle antiche religioni. Il bosco sacro di Nemi era un’antica sede del santuario di Diana Nemorensis, fu uno dei luoghi sacri più importanti dell’antichità preistorica e storica, qui nascono i gemelli Romolo e Remo, la loro madre Vesta era sacerdotessa del culto di Diana e assieme alle vestali custodiva il fuoco sacro.

Il fuoco è legato ai “cagots” una popolazione misteriosa che viveva, e forse vive ancora, fra i Pirenei spagnoli e quelli francesi, dei paria messi al bando dalla società che hanno a che fare con la cerca del graal. E ora dopo aver letto questo scombiccherato articolo, adatto alle facezie dell’estate, per ritornare al bel tempo antico vi consiglio, dopo una passeggiata al paese medioevale di Bertinoro, di fermarvi alla Ca’ de Be, un’osteria enoteca, di sgranocchiarvi una piadina, vuota o ancora meglio piena, accompagnando il leggero pasto con un bicchiere di Albana, magari dolce, un incontro opposto ma assai seducente, godendovi il panorama, da questa osteria si ha una vista mozzafiato, in certe giornate chiare si riesce persino a vedere il mare, facendovi trasportare dalla magia.

Paola Tassinari

I simboli che parlano

mausoleo_di_galla_placidia_colombe_abbeverantiSe ipotizziamo che l’abate di Rennes le Chateau, fosse entrato in possesso di “una qualche verità”, su Maria Maddalena, Gesù Cristo e la loro presunta stirpe che, con il passare degli anni, si individuò nella dinastia dei Merovingi, e analizziamo i principali simboli di questa casata: il giglio e l’ape, beh troveremo che queste immagini sono presenti in maniera massiccia anche in Toscana e in Romagna. Il “Fleur-de-Lys” o giglio stilizzato, pare sia stato adottato dal re merovingio Clodoveo nel V sec., dopo una vittoria contro i Visigoti, nei pressi del fiume Lys, in Belgio, dove questo fiore cresce in abbondanza. Clodoveo, di cui più di tutto si conosce un blasone con tre rospi, ma come narra la favola il rospo si trasforma in principe, si convertì al cristianesimo e da quel momento in poi il giglio, è diventato il simbolo dei re cristiani di Francia. Con il diffondersi delle pseudo-teorie associate al Santo Graal ed alla discendenza di Cristo, il “Fleur-de-Lys” viene così associato al “Sangue Reale”: la base del simbolo rappresenterebbe, secondo questa nuova concezione, Maria Maddalena mentre i tre petali effigierebbero i figli che essa ebbe da Gesù: Tamar, Joshua e Josephes. La simbologia cristiana vede nel giglio un’allusione alla Trinità divina, nella base orizzontale la figura di Maria, nei tre petali stilizzati: il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo che emana da Loro. Il giglio è considerato simbolo di purezza, candore, innocenza e verginità, è un attributo della Madonna. Spesso, il giglio e il fiore di loto si sostituiscono l’uno all’altro rappresentando, in tempi più antichi, la Grande Madre, Iside, Isis, Ishtar, Diana, la stessa dea che ha molti nomi. Il simbolo “IS”, presente nel Tempio Malatestiano di Rimini e nel Dollaro statunitense, si favoleggia sia ispirato proprio alla dea Isis, la città di Parigi sarebbe poi dedicata a lei, (Par-is). Il giglio si può trasformare stilisticamente in una colomba, simbolo dello Spirito Santo che viene visto scendere dal cielo in forma di colomba durante il Battesimo di Cristo, la colomba è un emblema dei Catari, le colombe più famose sono nel Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Gioacchino da Fiore è stato uno dei primi teologi ad approfondire lo Spirito Santo, concepì  una teoria secondo cui, dopo un’era del Padre (Ebraismo e Antico Testamento), era seguita l’epoca del Figlio (Cristianesimo e Nuovo Testamento) e infine sarebbe giunta l’ultima era, quella dello Spirito. Molti teologi hanno ripreso questa concezione in relazione all’era dello Spirito che sarebbe iniziata negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, con la nascita di numerosi movimenti e gruppi di preghiera sullo Spirito Santo, in ambito laico si pensi ai figli dei fiori, gli hippy, oppure si consideri oggi la New Age. Il giglio è il segno di riconoscimento di Sant’Antonio da Padova, uno dei Santi più amati e venerati della cristianità, la sua statua è presente nella chiesa di Rennes le Chateau, non credo sia un caso che la sede nazionale del Lectorium Rosicrucianum (Rosacroce), si trovi a pochi passi dall’Eremo di Montepaolo, luogo ove il Santo cominciò a predicare, il Santo era al tempo conosciuto col nome di Antonio da Forlì. Il giglio è nello stemma della città di Firenze e in Toscana c’è pure l’isola del Giglio, se ci si muove nel linguaggio dei simboli, il naufragio della Costa Concordia avvenuto il giorno 13 all’Isola del Giglio, può apparire come un sinistro messaggio. Eppure, il giglio che è analogo al fiore di loto e alla colomba, ha anche il significato di amore, il suo profumo è il contrario di un profumo casto; è un miscuglio di miele e di pepe, qualche cosa di acre e dolciastro, di tenue e forte; è fiore di Venere a causa del pistillo comparato al pene, è un simbolo della generazione, rappresenta anche il cedere alla volontà di Dio e alla realizzazione. Lo Spirito dell’era dell’Acquario, in cui doveva essere l’amore a far muovere le stelle e portarci alla pace e all’armonia, non si realizzerà sino a che i due emisferi celebrali, collegati alla razionalità e al sentimento, non smetteranno di farsi  guerra… sarà un caso che la Costa Concordia sia stata recuperata da un’azienda di Ravenna?

immagine: le colombe di Galla Placidia

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 06/03/2017

IL romagnolo che divenne re

Luigi Filippo  romagnolo

Il 17 aprile 1773, a Modigliana, in provincia di Forlì, vedeva la luce una bambina nata da una misteriosa coppia di nobili francesi e contemporaneamente a una coppia del luogo, i Chiappini, nasceva un maschio. Dopo alcuni giorni la coppia di nobili partiva portando con sé non la figlia ma il maschietto romagnolo. La coppia romagnola di fronte a probabili elargizioni aveva ceduto il bambino in cambio della bimba. La coppia francese era formata da Luigi Filippo, pretendente al trono di Francia, e da sua moglie Luisa Borbone Orleans. Luigi Filippo, dopo essere stato eletto Gran Maestro del Grande Oriente della Massoneria francese nel 1771,  aveva aderito alla Rivoluzione francese cambiando il suo nome in “Philippe Egalité” e, eletto deputato, aveva votato a favore della condanna a morte del cugino Luigi XVI, il che non lo aveva salvato dall’essere a sua volta ghigliottinato nel 1793. Luigi Filippo essendo privo di una discendenza maschile colse l’occasione per presentarsi in patria con un legittimo erede maschio, il quale fu registrato come nato e battezzato a Parigi. La famiglia Chiappini, mise a profitto i soldi ricevuti, riuscendo a ritagliarsi un buon posto nella società. La loro figlia, Maria Stella, andò sposa a un nobile inglese e poi ad un barone e visse nel lusso. Alla morte del padre un notaio le consegnò un plico che la informava dello scambio di neonati. Maria Stella si mise alla ricerca dei genitori, scoprì la verità, andò a Parigi infamando il maschietto romagnolo, che nel frattempo, nel 1830, era diventato re di Francia col nome di Luigi Filippo. Il nostro Luigi Filippo fu  stimato dalla borghesia per il fare dimesso e le riforme liberali, mentre i suoi avversari lo bersagliarono per la sua incoerenza e debolezza, ritraendolo sovente con la faccia a pera. Nel 1848 fu costretto ad abdicare, chiudendo poi la sua vita nel 1850 in Inghilterra. Questa assurda storia ne ingloba altre ancora più strane, come ad esempio che Carlo Alberto di Savoia avesse sostituito il figlio morto in un incendio, con il figlio di un macellaio, il sospetto che Chambord, chiamato il “figlio del miracolo” fosse un bastardo, l’arciduca Johann Salvator e il suo fantomatico gemello, per arrivare a Giuseppina di Beauharnais e a Napoleone Bonaparte e i loro presunti legami con il sangue reale dei Merovingi, i primi re dei Franchi, i re taumaturghi, ovvero guaritori, con il solo tocco delle mani. Per accettare un minimo di queste bizzarrie, occorre capire lo scontro, allora in atto in Francia, ma anche altrove, fra gli orleanisti e i legittimisti. Gli orleanisti, continuatori della Rivoluzione del 1789, auspicavano una monarchia costituzionale, non più di diritto divino, mentre i legittimisti rivendicavano la legittimità del potere dinastico spettante per grazia di Dio ed erano molto legati alla Chiesa. I legittimisti, nel 1830, rifiutarono di giurare fedeltà al re “romagnolo” Luigi Filippo, per rimanere fedeli alla linea primogenita dei Borbone, e sostennero, senza successo, la candidatura al trono del pretendente Enrico di Chambord, con il nome di Enrico V. Scrive Georges Lefebvre: “Dietro la rivoluzione dinastica vi fu una rivoluzione politica; la nazione scelse il suo re e gli impose una costituzione votata dai suoi rappresentanti… la minaccia di un ritorno all’ancien regime fu eliminata e la nuova società creata dalla Grande Rivoluzione fu messa al sicuro. La rivoluzione del 1830 è così l’ultimo atto della Rivoluzione cominciata nel 1789”. E tutto questo cosa c’entra con Rennes le Chateau? L’abate di Rennes avrebbe avuto la donazione di 3.000 franchi da Maria Teresa d’Asburgo Este, vedova del conte di Chambord, “detronizzato” dal “nostro” Luigi Filippo, e  successive elargizioni da parte del nipote di Maria Teresa, quell’enigmatico e misterioso arciduca Johann Salvator di Asburgo. Non basta, l’abate Bérenger Saunière, oltre ad aver avuto relazioni con alcuni membri degli Asburgo, potrebbe aver conosciuto un altro inquietante e famoso personaggio dell’epoca Karl-Wilhelm Naundorff , che affermava essere il Delfino di Francia, sopravvissuto alla morte dei suoi genitori, Maria Antonietta e Luigi XVI.

immagine: Luigi Filippo “romagnolo”

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 21/02/2012

Il destino della Coppa

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Nel1438, accompagnato da notabili e dignitari, tra i quali il patriarca Giuseppe II e il Cardinale Bessarione, Giovanni VIII Paleologo giunse a Ferrara per il Concilio ecumenico. Le circostanze che portarono il Paleologo in Italia sono ben note, sempre più vulnerabile alla pressione turca, l’impero romano d’Oriente, e la sua favolosa capitale, necessitavano dell’aiuto militare delle potenze occidentali, la cristianità intera era chiamata alla guerra santa contro gli infedeli, e il presupposto per questa crociata unitaria era la riconciliazione della Chiesa cattolica con quella ortodossa, ma l’obiettivo politico-teologico, la scintilla, il Graal come noto, fallì, solo pochi anni dopo Costantinopoli cadde, provocando un’ampia eco per tutto l’Occidente. Piero della Francesca, pittore e matematico italiano, rappresenta questo sogno infranto, nelle sue opere più famose, come la Flagellazione e la Madonna di Senigallia. Nella Madonna di Senigallia il Bimbo ha in mano un anemone bianco, chiamato anche “fiore del vento”, per la fragilità dei suoi petali, è un fiore dal significato melanconico perché richiama l’abbandono, un significato metaforico di fuggevolezza di una cosa bella, per cui il suo simbolismo intrinseco è quasi di rassegnazione ad una fine vicina, di un sentimento bellissimo ma breve. Secondo una tradizione diffusasi dopo il 1453, sul sepolcro di porfido di Costantino era scolpita una profezia, decifrata da Giorgio Gennadio Scolario, che annunciava la fine dell’Impero bizantino quando un imperatore e un patriarca i cui nomi cominciavano con le lettere “Io” avessero regnato allo stesso tempo, la fine dell’Impero e della Chiesa sarebbe stata vicina. Così avvenne, infatti, gli uomini del Concilio, i cui risultati non vennero ratificati, furono l’imperatore Giovanni (Ioannis) e il patriarca Giuseppe (Iosif), la profezia continuava con la disfatta ottomana a opera di una ‘razza gialla’ che avrebbe restituito la città ai cristiani. Costantinopoli, odierna Istanbul è ancora “ottomana”, quest’ultima profezia si fa attendere. Il Graal, il sogno si sposta in Francia, alla corte di Luigi XII, chiamato Padre del Popolo, perché amava la giustizia e l’economia, anche se in vita fu impopolare, forse questo Graal non si avvera mai, perché gli uomini di valore sono solitamente avversati perché più avanti con i tempi, basti pensare che fu molto popolare, in vita, Luigi XI, perché aveva i gusti della moltitudine, venne poi chiamato dai posteri “ragno universale” per il suo cinismo. Luigi XII non ebbe eredi e il nuovo sogno si infranse a Ravenna nella famosa Battaglia del giorno di Pasqua del 1512, quando il “delfino” Gastone de Foix, probabile erede al trono di Francia e discendente di Esclarmonda, muore a Ravenna. Gastone era cugino dei re di Navarra e nipote di Luigi XII poteva portare la pace fra francesi e spagnoli, ma il Graal, con la morte di Gastone, fallisce ancora. Ora la veggenza, la trasformazione, non è più di sangue reale, si decapita il re, siamo nel 1793, la nuova luce è la borghesia illuminata, che si fonda su tre parole: “Libertà, Uguaglianza, Fraternità”. La massoneria dei Doveri e dei Diritti, il Graal ha tanti illuminati personaggi, se non proprio a Ravenna, in Romagna. Per un po’ di anni il libro “Cuore” è il Graal che muove le persone verso ideali di fratellanza e amore, ma dura poco, le Guerre Mondiali sfracellano tutto. Il Graal lo cerca avidamente Hitler che abbagliato dalla sua luce ne viene accecato e causa l’olocausto, la vergogna dell’uomo. Arrivano gli americani, il Graal ora lo hanno loro, tutto diventa americano, ma ancora una volta la luce diviene presuntuosa e si affievolisce. E ora dove è il Graal? E’ forse ritornato a Ravenna, la Porta d’Oriente? Forse il Graal laico riunendosi al Graal religioso, riuscirà a riunire la Chiesa ortodossa a quella cristiana, a pacificare quella ebrea con quella islamica e uomini di buona volontà torneranno ai commerci e agli scambi verso l’Oriente, là dove nasce il sole, oppure si realizzerà la profezia di Costantino, tradotta da Gennadio e cioè con la disfatta ottomana a opera di una ‘razza gialla’ (i cinesi) che avrebbe restituito la città ai cristiani? (fine)

immagine: Madonna di Senigallia Piero della Francesca

già pubblicato sul quotidiano “LaVoce di Romagna” il giorno 09/05/2016

 

IL RITORNO DEL GRAAL

Santo_Grial_ValenciaGraal forse tornò verso Ravenna. Ora vediamo come. Il successo dei catari, in possesso del Graal, era dovuto alla loro spiritualità quasi ascetica e alla predicazione a favore di un ritorno alla Chiesa delle origini. A Concorezzo, in Brianza, si insediò la comunità catara più numerosa d’Europa. I catari si ribellavano alla corruzione del clero e auspicavano il ritorno della Chiesa alla primitiva purezza. La Chiesa, anche con l’aiuto dell’Inquisizione si oppose da subito ai catari e li definì “eretici”, la loro dottrina era del tutto inaccettabile, va sottolineato che i catari rifiutavano il matrimonio, considerato mezzo di trasmissione del corpo umano da parte del dio cattivo e non disdicevano neppure il suicidio. A Como, Milano e sul territorio operava intorno alla metà del 1200 Pietro da Verona, un frate dominicano e inquisitore. Un nobile di Concorezzo, di fede catara, commissionò l’uccisione del frate. L’assassinio di Pietro, causò l’intervento del Podestà di Milano a favore della Chiesa di Roma, fu quest’ultimo, non l’Inquisizione come molti erroneamente pensano, a organizzare una “caccia all’uomo”, che sfociò nelle stragi di catari ed eretici. In seguito alla intensificazione dello scontro con i poteri ecclesiastico e statale, la setta dei catari si estinse nei primi anni del 1300. Ciò avvenne anche per la concorrenza di movimenti “puri” e pauperisti che si diffusero all’interno della Chiesa e poi sul territorio, come gli ordini mendicanti, i dominicani e i francescani. Ipotizziamo che Esclarmonda abbia portato il Graal e i suo ideali a Concorezzo, ora il Graal si divide, quello religioso, la coppa con l’ostia, l’Eucaristia, va a Valencia e lì rimane, mentre l’utopia di un mondo migliore, l’ideale laico, la trasformazione alchemica va con Rinaldo da Concorezzo a Ravenna. Rinaldo da Concorezzo è stato un arcivescovo cattolico nato a Milano e morto a Ravenna, qui sepolto in un bel sarcofago dentro al Duomo, nella Cappella del Sudore. Fu contemporaneo di Dante, col quale dovette avere quasi certamente dei rapporti. Morirono a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro. Prima di continuare con Rinaldo, come non collegare il Graal vivente con la figura di Dante, che moralizza ed inveisce contro la corruzione, mantenendosi sempre attento a non diventare eretico, eppure era un fedele d’amore, che era un movimento vicino ai catari. Ma ritorniamo a Rinaldo da Concorezzo che fu l’artefice dell’assoluzione dei templari italiani nel Concilio di Ravenna, inquisiti e minacciati dello scioglimento dell’Ordine per volere di Filippo il Bello il quale mirava ad impossessarsi dei loro beni. Condannò insieme ai suoi vescovi suffraganei la tortura e il terrore come mezzi per ottenere confessioni, non accettandole se estorte con questi metodi e in ciò si oppose anche alla volontà del papa Clemente V che ne voleva lo scioglimento. Fu un’anticipazione delle tesi di Cesare Beccaria del 1764! Come vedete arrivano i misteri coi templari, quando si parla di Graal loro non mancano mai. Rinaldo (siamo nel 1300) è veramente all’avanguardia se non accetta la tortura per strappare la presunta verità, una persona sotto tortura alla fine ammette tutto pur di essere lasciato in pace, non si può mai parlare di verità. Il processo da lui presieduto riconobbe l’innocenza dei templari, la cui pena finale fu soltanto una promessa di penitenza. Papa Clemente V, furioso per il risultato, ordinò all’arcivescovo di riaprire il processo, e di applicare la tortura per ottenere delle confessioni ma Rinaldo rifiutò ancora. Ed eccoci all’altro mistero su Rinaldo: nel 1311 nel concilio tenuto a Ravenna legittimò il battesimo per aspersione…e allora? Non più l’immersione totale, ma solo qualche goccia, questo episodio fa pensare visto che il“battesimo”cataro, non prevedeva acqua. Ravenna ha il Graal, siamo nel 1300, e qui sembra rimanere, o almeno resta sul territorio delle Signorie italiane, nelle corti del Rinascimento. Il Rinascimento, vissuto dalla maggior parte dei suoi protagonisti come un’età di cambiamento, sviluppando le idee dell’umanesimo, sembrò portare la realizzazione del Graal, ma un grosso problema veniva da Oriente. (5 continua)

immagine: Graal di Valencia

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 25/04/2016

L’ERESIA EIL GRAAL

1-esclarmonde-foix Carlo Magno era affascinato da ogni tipo di reliquia e in particolare dal Graal, ritenendolo capace di dare veggenza, la coppa passò poi ai sovrani germanici, agli Ottoni, sino a Federico II, cioè agli Imperatori del Sacro Romano Impero. Federico II voleva il Santo Calice, lo aveva cercato per anni, forse lo custodiva a Castel del Monte in Puglia o forse il Graal era ritornato in territorio francese, fra i “puri”, cioè i catari. La Chiesa cattolica, dopo l’adozione del “privilegio di Ottone” nel 926, con il quale l’imperatore si impegnava a riconoscere l’autorità del Papa, ma si riservava il diritto di approvarne l’elezione, si allontanò sempre più dalla spiritualità. L’ingerenza del potere imperiale era impressionante, l’Imperatore aveva il potere di nominare i vescovi, e di metterli a capo delle città (così alla morte dei vescovi-conti, il feudo tornava di proprietà imperiale). I vescovi, o una parte di essi, inizialmente figure di spicco della spiritualità ecclesiastica, si erano così trasformati in figure politiche. Inoltre, le posizioni all’interno della Chiesa erano molto ambite dalle famiglie nobili, che alla vita ecclesiastica destinavano i secondogeniti o comunque uno dei figli. Questa situazione causò la corruzione dei costumi religiosi: molto diffusa era la simonia (la vendita delle cariche sacre al miglior offerente) e il concubinato. Per questo erano nati nuovi gruppi religiosi, alcuni interni alla Chiesa stessa e perciò tollerati, altri invece sconfinati presto nell’eresia. Fra questi ultimi, c’era la setta dei catari diffusa in Francia e nei territori del Nord Italia, in particolare a Concorezzo, dove sorse la sede della maggiore Chiesa catara europea. La dottrina dei catari si fondava sul dualismo fra Bene e Male come motore del mondo. Due principi che sono a fondamento della creazione di terra e cielo: uno cattivo, ed è quello che ha creato il mondo, l’altro buono. Questo significava, in sintesi, che i catari consideravano la materia come creazione del “Dio cattivo” e perciò rifiutavano i piaceri della carne; erano anche vegetariani ante litteram, sia pure per motivi religiosi. Il loro credo, non riconoscendo l’incarnazione di Gesù, né la sua divinità, sfociò immediatamente nell’eresia, e per questo furono duramente contrastati e perseguitati. Esclarmonda de Foix (dopo 1151-1215), era una figura di primo piano nel catarismo francese del XIII secolo. Il nome Esclarmonda significa “Luce del mondo”, rimasta vedova nel 1200, successivamente, si rivolse alla Chiesa catara. Si stabilì a Pamierse fu protagonista nella ricostruzione della fortezza di Montségur, qualificato come tempio solare o castello del Graal, ancora oggi attira numerosi appassionati di esoterismo da tutto il mondo. Esclarmonda partecipò, nel 1207, agli ultimi contraddittori fra i catari e la Chiesa cattolica, rappresentata da San Domenico, l’anno seguente papa Innocenzo III, decretò la crociata contro glialbigesie contro i catari. Il Graal aveva fallito ancora, i catari erano vicini come idee anche ai templari e ai fedeli d’amore, ai trovatori, alle corti che si idealizzavano sulle storie del ciclo arturiano, ma il loro ideale “puro”era avversato dalla Chiesa cattolica. Esclarmonda aprì numerosi ospedali e scuole dove veniva impartito l’insegnamento cataro, questo attivismo le valse l’appellativo di grande Esclarmonda. La sua leggenda racconta:“Al castello di Montségur, i catari conservavano il Santo Graal. Montségur era minacciato, le armate di Lucifero lo assediavano, volevano il Graal. Discese dal cielo una colomba bianca che, col suo becco, fendette in due il monte e il castello. Esclarmonda, la Guardiana del Graal, gettò all’interno della montagna il Graal e la montagna si racchiuse, sul Graal. Quando i demoni entrarono nella fortezza, era troppo tardi. Furiosi, fecero perire con il fuoco tutti i puri, si salvò solo Esclarmonda che si mutò in una bianca colomba e volò via verso le montagne dell’Asia”. Certo che la leggenda va un bel po’ scremata, forse le armate di Lucifero non erano altro che i crociati, ed Esclarmonda sarà fuggita per portare in salvo il Graal e dove? (4 continua)

immagine. Esclarmonda

articolo già pubblicato sul quotidiano “La voce di Romagna” il giorno18/04/2016

COSI’ CLODOVEO EBBE IL CALICE

Palazzo di Teoderico mosaici di Sant'Apollinare Nuovo

Ricimero o Recimero, è stato un politico e generale goto, di fede ariana, dell’Impero romano d’Occidente, effettivo detentore del potere dal 460 fino alla sua morte, che avvenne nel 472. Ricimero era un comandate di Ezio, così come lo era il suo amico Maggioriano, che divenne imperatore e che Ricimero uccise a Tortona in provincia di Alessandria. Secondo la leggenda, a Tortona, la chiesa di San Matteo, identificata come il Mausoleo di Maggioriano, avrebbe custodito il Graal, con tre doni: il corpo, il sangue e lo spirito. Da questa leggenda deriverebbe il famoso motto: “Pro tribus donis similis Terdona leonis” (in virtù dei tre doni Terdona è simile al leone, dove Terdona è il vecchio nome della città). Ciò significa che era ancora viva l’idea di unificare i barbari coi romani e l’arianesimo col cattolicesimo. Verosimilmente il Graal sarà poi transitato verso Ravenna con Odoacre, che depone l’ultimo imperatore Romolo Augustolo e che divenne re d’Italia nel 476.Odoacre pur professando fede ariana, non interferì quasi mai negli affari della Chiesa cattolica di Roma. Nel 488 il re ostrogoto Teoderico fu incaricato da Zenone di invadere l’Italia e deporre Odoacre. Gli ostrogoti invasero la penisola nel 489 ed entro un anno posero sotto il loro controllo gran parte dell’Italia, costringendo Odoacre ad asserragliarsi nella capitale Ravenna. La città, dopo un lungo assedio, si arrese, Teoderico invitò Odoacre ad un banchetto per sancire la pace fra i due sovrani, ma lo uccise nel corso dello stesso. Il Graal ipoteticamente è ancora a Ravenna, la speranza non è morta, Teoderico fa edificare chiese diverse per ariani e per cattolici, si convive dignitosamente fra barbari e romani, fra ariani e cattolici tutto è possibile. Ma Teoderico cambia idea, le cose non vanno più bene, il re goto arriva a imprigionare papa Giovanni I e lo lascia morire in carcere, siamo nel 526. L’unione fra cattolici e ariani, sfuma, l’ideale di un regno illuminato scompare e il Graal intanto era già arrivato in territorio di Francia, alla corte dei Merovingi. Clodoveo fu il secondo sovrano storicamente accertato della dinastia dei Merovingi, sua sorella fu sposa di Teoderico. Il 24 dicembre 496 Clodoveo si fece battezzare a Reims dal vescovo Remigio. I franchi furono l’unico popolo germanico che si convertì dall’arianesimo al cattolicesimo, a differenza degli altri popoli germanici, che rimasero cristiani/ariani. Logico che il nuovo luogo ideale di rinascita del Graal fosse la Francia, tra l’altro ci fu il misterioso evento del “Vaso di Soissons”, che narra di quando i soldati di Clodoveo trafugarono suppellettili di culto e un bellissimo e grande vaso. Il vescovo di Soissons chiese al re di restituirgli almeno il vaso. Quando fu il momento della spartizione del bottino, Clodoveo chiese ai soldati il vaso per sé, contravvenendo alla tradizione, che gli oggetti fossero tirati a sorte, ma un guerriero si oppose, spezzando il vaso, questo può aver a che fare con il Graal, la storia potrebbe celare gli attriti per l’attribuzione del Santo Calice che dava il potere. Inoltre il giglio araldico, simbolo dei re cristiani di Francia, secondo la tradizione, fu scelto nel V secolo, come simbolo proprio da Clodoveo, dopo la sua vittoria riportata a Vouillé, sui visigoti. Il giglio, è un ben noto simbolo di purezza e castità, la simbologia cristiana, vede nei suoi tre petali stilizzati un’allusione alla Trinità divina e nella base orizzontale la figura di Maria, di fondamentale importanza per comprendere il mistero trinitario in quanto fu da Lei che, attraverso l’intervento divino del Padre, s’incarnerà il Figlio,e dai due emana lo Spirito Santo. Questo concetto si trasformerà successivamente con il diffondersi delle teorie pseudo-storiche associate al Santo Graal ed alla discendenza di Cristo. Il “Fleur-de-Lys” viene così associato alla “Stirpe Reale”: la base del simbolo rappresenterebbe, secondo questa nuova concezione, Maria Maddalena mentre i tre petali non sarebbero altro che i figli che ella avrebbe avuto da Gesù: Tamar, Joshua e Josephes. Il Graal, rimane in terra francese, unito in ideale laico e religioso anche per la dinastia dei Carolingi.(3continua)

immagine:  Palazzo  Teoderico Sant’ Apollinare Nuovo (Ravenna)

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 11/04/2016

GALLA PLACIDIA EBBE IL CALICE

Parsifal

Il Parsifal, il cui nome in arabo significa puro e folle, è un’opera di Wagner, dal carattere religioso, era usanza non applaudire al termine della rappresentazione. Ancora oggi il pubblico spesso non sbatte le mani, alla fine del primo atto (scena della Comunione), inoltre alcuni brani vengono eseguiti nel periodo di Pasqua e in alcuni paesi tedeschi, viene rappresentato il Venerdì Santo, quando normalmente gli spettacoli sono proibiti. Ma torniamo ai Magi, i quali sono l’Epifania di Gesù, lo riconoscono come il Salvatore, quindi in senso lato potremmo dire che l’iniziale Graal è Gesù stesso, che poi riappare ogni volta nella messa durante l’Eucaristia. Ora vi illustro un’ipotesi su dove possa essere finito, nel V secolo, il Graal. All’interno del Mausoleo di Galla Placidia, troviamo nella lunetta di fondo, raffigurato San Lorenzo, sopra questa lunetta, vi sono due apostoli con ai piedi un vaso zampillante d’acqua, con due colombe, molto simile a quello presente nel corteo di Teodora, in San Vitale, potrebbe rappresentare il Graal. San Lorenzo aveva l’oggetto sacro, che papa Sisto II gli aveva affidato, nel 258, con l’incarico di portarlo lontano da Roma. La coppa del sacrificio, avrebbe rischiato di essere distrutta dall’ignoranza dai pagani, mentre Valeriano, conoscendone il potere, non avrebbe esitato a servirsene per il proprio tornaconto. Forse Lorenzo, riuscì a far portare la coppa in Spagna e qui passò poi in mano ad Ataulfo, forse il calice rimase a Roma e fu asportato nel 410 da Alarico, assieme a tutti i tesori che il visigoto si portò via. In ogni caso pare che il calice arrivasse nelle mani di Galla Placidia, la quale forse possedeva la coppa ed era anche la coppa vivente in quanto aveva generato da Ataulfo, Teodosio nato da pochi giorni, siamo nel 415. Teodosio, portava il nome del nonno, il grande imperatore che in Oriente era ed è pure Santo, avrebbe dominato il grande regno unificato di Roma e dei barbari, forse unendo anche la religione cattolica con quella ariana. Ma il Graal sia come contenitore che come ideale fallisce, Ataulfo viene assassinato, il piccolo Teodosio ucciso, l’Impero di Roma crollerà di lì a poco. Il matrimonio di Galla Placidia e Ataulfo ricorda il legame di Artù con Ginevra, i tempi collimano e gli ideali sono gli stessi, il ciclo bretone potrebbe avere legami con la Romagna. Gli altri cavalieri della tavola rotonda si individuano così con Ezio, Alarico, Attila, Teoderico, Ricimero, Odoacre, Genserico, ecc. Flavio Ezio veniva dalla Dacia e aveva sposato una donna romana. Aveva passato parecchi anni come ostaggio degli unni, e Attila era per lui come un fratello, dato che erano cresciuti insieme. Prima di essere ostaggio degli unni lo era stato dei visigoti di Alarico, sequestrato nel sacco di Roma (410) assieme a Galla Placidia. Ezio aveva grande potere, tale da raggiungere il trono; non era certo l’imperatore Valentiniano III a fargli paura, il cui unico pregio era l’essere figlio di Galla Placidia. Ezio controllava la Gallia del nord coi suoi guerrieri; si sentiva unno lui stesso, parlava la loro lingua alla perfezione e da loro aveva imparato a cavalcare, a tirare d’arco e le tecniche militari tipiche dei cavalieri della steppa. Fu sempre fautore dell’alleanza romana coi barbari. In ogni battaglia vedeva un duello, una sfida cavalleresca, addirittura un giudizio divino. Fu protagonista nella battaglia dei Campi Catalaunici (451) vicino a Troyes dove sconfisse Attila, questo baluardo dell’Impero fu ucciso da un imbelle rammollito come Valentiniano, il quale fu poi eliminato l’anno successivo dai guerrieri di Ezio. A Ravenna, l’agonia e la fine dell’Impero Romano ma anche l’inizio del Medioevo con le gesta ricordate nelle saghe dei Nibelunghi (di cui fanno parte anche Teoderico e Attila) e di Artù e i cavalieri della tavola rotonda. Chrétien de Troyes scrittore e poeta francese medievale, ideatore del ciclo bretone, può essersi ispirato alla battaglia avvenuta tanti anni prima nella sua città natia. Ezio morì poco dopo Galla Placidia, nel 454, in Occidente si creò una situazione di potere vacante, e il Graal dove si troverà ora? (2 continua)

immagine: Parsifal e il Graal

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 04/04/2016

IN CERCA DEL GRAAL

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Venerdì 01/04/2016, la data non è casuale, presenterò il mio romanzo, “I viaggi di Gilles”, alla Galleria d’Arte MAF, Via Mazzini, 20 a Forlì. Il romanzo, tratta la cerca e la trova del Graal, in Romagna, ora dopo qualche anno, dalla pubblicazione del romanzo, ho un’altra idea per la cerca del Graal, che voglio regalare, come se fosse una favola, ai lettori della Voce, sperando di allietarli, con uno scritto “strambo”, ma unico. Il primo a citare il Graal, fu Chrètien de Troyes, all’inizio del XII secolo, nel poema Perceval o il racconto del Graal, ambientato alla corte di re Artù. Chrètien parla del Graal come di un contenitore luminoso e abbagliante, incastonato di pietre preziose, portato da una fanciulla, durante una processione, questo Graal conterebbe un’ostia, come nutrimento spirituale. E’ Galahad il figlio naturale di Lancillotto, il cavaliere perfetto che trova il “contenitore abbagliante”, in quanto diversamente dal padre, è un puro, non legato ai piaceri carnali. Dopo di lui, un altro poeta francese, Robert de Boron, parla del Graal come calice dell’Ultima Cena e il Graal diventa Sacro. Questa parte religiosa del Sacro Calice ben si adatta all’epoca, in cui il precetto dell’Eucaristia si stava affermando solidamente e fiorivano i miracoli di ostie grondanti il sangue di Cristo. Il Graal è visto a volte materialmente come una coppa, un catino, un piatto, un calice, una pietra o spiritualmente come un ideale di appagamento fra il dare e il ricevere, solitamente a che fare con una fanciulla, un tesoro, una o più colombe, una veggenza cioè la capacità di vedere il bello e il buono nel futuro e i luoghi dove lo si può ritrovare sono veramente molteplici. Ci sono vari calici nel mondo che, in un dato momento della storia, hanno vantato di essere il vero Santo Graal, ma l’unico che ancora rivendica la sua autenticità è il Santo Calice di Valencia, con tanto di richiesta di far parte del Patrimonio Unesco. Anche la Santa Sede appoggia quest’ipotesi: Giovanni Paolo II, lo usò per celebrare la messa nel corso della sua visita a Valencia, così come pure Benedetto XVI, inoltre dal 2015 è stato istituito l’Anno Santo Giubilare che si terrà ogni cinque anni. Dunque partiamo da questo Calice di Valencia, tenendo conto che a volte il Graal religioso e il Graal laico convivono, che è una coppa di agata cornalina, datata fra i secoli II e I a.C. proveniente da Antiochia o Alessandria. La tesi sull’autenticità del Santo Calice di Valencia sostiene che questo fu portato a Roma da San Pietro, il calice sarebbe quello dell’Ultima Cena, che Pietro usò a Roma per celebrare l’Eucarestia e fu poi conservato e usato dai successivi papi fino a Sisto II. Nel 258, per salvarlo dalla cupidigia dell’imperatore Valeriano, Sisto II lo avrebbe consegnato al diacono Lorenzo, originario della zona dei Pinerei, che lo inviò alla sua città natale per mezzo di Precelio, un cristiano spagnolo che si trovava a Roma. Quest’episodio è raccontato nella ‘Vita di San Lorenzo’ scritta da San Donato nel secolo VI. Poi del calice si hanno notizie solo dall’VIII secolo in poi: secondo alcune tradizioni, rimase nascosto per diverso tempo in vari luoghi dei Pirenei per proteggerlo dall’invasione musulmana. Nel secolo XI è presente nel monastero di San Juan de la Peña, sempre in zona pirenaica e da allora in poi sono perfettamente documentate tutte le sue peripezie in territorio spagnolo fino ad arrivare a Valencia nel 1437. Questo è ciò che si raccoglie, cercando qua e là. Ora inserisco qualche mia ipotesi. Il calice dell’Ultima Cena, ipoteticamente poteva essere anche uno dei doni portato dai Magi al Bambino, precisamente la coppa che conteneva l’oro. Se teniamo presente ciò, la mente non può che andare verso Ravenna dove la raffigurazione dei Magi è quasi in ogni dove, sui mosaici di Sant’Apollinare Nuovo, sui sarcofagi, e a San Vitale sul mantello di Teodora, dove l’imperatrice ha un calice prezioso in mano, mentre dalla parte opposta Giustiniano ha la patena. San Vitale esplica nei suoi mosaici l’Eucaristia con l’Offertorio, è la liturgia della Messa, e ispirerà le scene per la prima apparizione del Santo Graal, nel Parsifal di Wagner.

immagine: San Vitale, Teodora, Ravenna

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 21/03/2016

IL GRAAL IN ROMAGNA

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Secondo la leggenda, il Graal era uno smeraldo staccatosi dalla fronte di Lucifero durante la sua caduta. La caduta di Lucifero è anche quella dell’umanità stessa dopo la cacciata dal paradiso terrestre. Privata dello smeraldo o terzo occhio o Graal che dà la visione dell’eternità, dovrà riacquistarla. La scoperta del Graal, intesa come cerca del Bene è essenziale, occorre riconquistarlo affinché l’umanità risorga dalla sua caduta. Nel cenacolo, il Graal si trova misteriosamente fra le mani di Gesù che vi beve il vino dell’ultima cena. Il calice, raccolto da Simone, viene consegnato a Pilato, che lo regala a Giuseppe d’Arimatea. Questi vi raccoglie il sangue di Gesù crocefisso. In seguito quando sparì il corpo di Gesù, Giuseppe d’Arimatea viene accusato del furto e imprigionato.   Liberato, lui e Nicodemo, insieme alle Pie Donne, portano il calice sulla costa francese, e di qui ai confini con la Spagna, oppure in Inghilterra. Da notare che nei cicli bretoni di Artù, il Graal è assente, ma è presente nelle leggende celtiche irlandesi e gallesi, che lo consegneranno al cristianesimo del XII secolo. La Francia dunque, un tempo chiamata Gallia è uno dei luoghi, dove si pensa che si trovasse un tempo il Graal. Ultimamente è stata ritrovata a Faenza, vicino a Lugo, una lastra che  contiene, decodificata secondo il Codice da Vinci, nuove rivelazioni su Rennes Le Chateau e il  legame dei re francesi col Graal. E forse i re francesi hanno passato il Graal ai romagnoli. Renata di Francia, doveva sposarsi con Gastone di Foix, probabile erede al trono di Francia, il quale morì  nella Battaglia di Ravenna nel giorno di Pasqua del 1512, il suo sangue bagnò la Romagna. Renata sposò il duca di Ferrara e portò quale dono di nozze l’uva d’ oro. Vi è chiaro certamente il legame dell’uva col sangue di Cristo ed il Graal: Elevazione del Calice di vino e la sua Trasformazione durante la Messa. Inoltre in Romagna si conserva una zucca (contenitore per polvere da sparo) che contiene  residui di sangue di Luigi XVI, il re decapitato durante la Rivoluzione francese. In Romagna sono ancora vivi, usi e costumi risalenti ai Celti. Nelle campagne è ancora in uso il calderone, che serve a scaldare l’acqua per l’uccisione del maiale. Questo rito era magico per i Celti. Lugh, è una cittadina in provincia di Ravenna, ma è anche una divinità celtica. Ma questo Graal cosa mai è? Il Graal potrebbe essere un contenitore che abbaglia portando all’estasi, generando una trasformazione e io potrei averlo trovato. Allora dove sarà nascosto il santo Graal? Dove? Ma sicuramente in Romagna, vi rispondo sorridendo, a Lugh o più propriamente Lugo. Lugh è considerato il centro della Romagna e questa è la terra dove ancora oggi vivono riti riferiti agli antichi Druidi, questi ultimi, dicono le leggende, pare fossero i custodi del Graal. Lugh era un importante culto celtico. Lugh ha un monumento dedicato al suo cittadino più famoso Francesco Baracca. Egli è morto nell’incendio del suo aereo. Il simbolo che Baracca aveva sul suo aereo era un cavallino rampante. Egli era un aviatore ma faceva parte della cavalleria, si formò alla Scuola Militare di Modena, nel corpo della Cavalleria. Sicuramente il ciclo di Artù è legato alla cavalleria, anzi ne è l’antesignano, assieme ai popoli della steppa, ai Sarmati e ai Celti. Ai Cavalieri della Tavola rotonda di Artù è legata la cerca del Graal. Mi preme dirvi che a Ravenna si conserva nell’oploteca del Museo Nazionale una bellissima tavola decorata, rotonda da campo. Forse che sia la tavola che i cavalieri di Artù usavano negli spostamenti? Vi ricordate a chi, regalò il simbolo del cavallino, la madre di Baracca come portafortuna?  Il cavallino di Artù e di Baracca, corre oggi veloce su un contenitore rosso fiammante, che da l’estasi a chi lo guida e genera una trasformazione ad un rango più elevato a chi lo possiede. Il Graal oggi è una Ferrari. Cosa vi aspettavate? Ogni epoca ha il Graal che si merita. Oggi la cerca è: successo ad ogni costo ed il Graal: il denaro. A voi la risposta: può essere questo tipo di Graal ad annullare il “Wasteland” ovvero annullare la Terra desolata per far posto alla Terra felice?

 

 

immagine: cavaliere col graal

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”