IL SIMBOLO DELLE API

api napoleone e childericoL’ultimo articolo sulle affinità di Rennes le Chateau e la Romagna è sul simbolo dell’ape. Questo insetto ha una simbologia molto antica e molto ampia, prevalentemente è legata alla divinazione e alla veggenza. Gli egizi, e altri popoli trassero spunti dall’organizzazione sociale delle api e dalla loro gestione dell’alveare/città, simile a un vero regno matriarcale. Nell’antica Grecia, le sacerdotesse della grande dea madre Demetra, a Eleusi, erano chiamate “api”, i greci ritenevano che le api nascessero spontaneamente dai cadaveri degli animali, e le associavano alla rinascita, mentre il miele era ritenuto il cibo degli dei, “prodotto degli arcobaleni e delle stelle”. Nel mondo cristiano le api erano spesso un simbolo di Cristo, dotate di forza ed integrità, le api sciamarono dal Giardino dell’Eden, in aiuto all’uomo, quando Adamo fu cacciato. L’alveare divenne metafora delle celle monastiche, della vita casta, caritatevole e laboriosa dei monaci. L’errata credenza secondo cui le api, in realtà si accoppiano sciamando, riproducendosi autonomamente, le rese emblemi della Vergine. Nella Chiesa di Pieve Cesato, vicino a Faenza, è conservata la Madonna del Miele, opera in ceramica, venerata con questo titolo e con una preghiera tratta da un’antica fonte rumena. Delle api d’oro, (in realtà delle cicale, souvenir molto diffuso, nella zona di Rennes, è proprio la cicala che frinisce) furono scoperte nel 1653, a Tournai nella tomba di Childerico I, fondatore nel 457 della dinastia Merovingia e padre di Clodoveo I. Quando Napoleone si incoronò, nel 1804, Imperatore dei francesi, non di Francia, volle che il sontuoso manto regale fosse trapuntato da api d’oro, rivendicandone il diritto in virtù della sua discendenza da un figlio naturale del re inglese Carlo II Stuart e della duchessa Margherita de Rohan. Il Casato degli Stuart, la casa reale della Scozia e successivamente della Gran Bretagna, aveva a sua volta diritto a tale emblema, perché, al pari dei conti di Bretagna, loro parenti, discendevano, come i re merovingi, dai “re pescatori”. L’ape merovingia fu adottata dagli Stuart esiliati in Europa: api intagliate, sono state riprodotte e si vedono ancora in alcuni vetri giacobiti. Quella dei giacobiti fu una lotta simile a quella degli orleanisti/legittimisti, la linea di successione giacobita al trono inglese nacque a seguito della deposizione del cattolico Giacomo II d’Inghilterra, avvenuta nel 1688.Giacomo II si era pubblicamente dichiarato cattolico, e fu sospettato di coltivare pretese di governo simili a quelle di suo cugino Luigi XIV di Francia. Sotto la paura di un ritorno al cattolicesimo, il parlamento di Londra sostituì Giacomo II, con sua figlia, la protestante Maria, unitamente al marito Guglielmo d’Orange. Guglielmo accettò e sbarcò in Inghilterra nel novembre 1688. Giacomo II riparò in Francia presso il cugino Luigi XIV. Da quel momento gli Stuart si stabilirono nell’Europa continentale e, periodicamente, cercarono di riguadagnare il trono con l’aiuto di nazioni cattoliche quali Francia o Spagna. Giacomo II e i suoi successori vennero chiamati “The Kings over the Water”, I re oltre il mare. Le api sono il simbolo della famiglia Barberini, una influente famiglia principesca e papale italiana, originaria della Toscana, nota sin dalla prima metà dell’XI secolo, lo ricordano i toponimi di Barberino del Mugello e di Barberino Val d’Elsa. Nicolas Poussin, autore  del dipinto, “I Pastori dell’Arcadia”, in cui appare l’arcana scritta  “Et in Arcadia ego”, arrivò in Italia nel 1624, sotto la protezione, putacaso, del cardinale Barberini. Le api le ritroviamo nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe, dove il Santo eponimo, appare al centro nella decorazione musiva dell’abside della basilica, con una veste adorna di 207 api, la leggenda narra che Apollinare girasse con un mantello d’api. Il nome del Santo che significa “sacro ad Apollo” e le sue api, sacre alle muse, perciò dotate di eloquenza cosa mai possono suggerirci? Forse che Sant’Apollinare conosceva il segreto sulla discendenza reale? Oppure era un pure lui un discendente dei re pescatori?

I simboli che parlano

mausoleo_di_galla_placidia_colombe_abbeverantiSe ipotizziamo che l’abate di Rennes le Chateau, fosse entrato in possesso di “una qualche verità”, su Maria Maddalena, Gesù Cristo e la loro presunta stirpe che, con il passare degli anni, si individuò nella dinastia dei Merovingi, e analizziamo i principali simboli di questa casata: il giglio e l’ape, beh troveremo che queste immagini sono presenti in maniera massiccia anche in Toscana e in Romagna. Il “Fleur-de-Lys” o giglio stilizzato, pare sia stato adottato dal re merovingio Clodoveo nel V sec., dopo una vittoria contro i Visigoti, nei pressi del fiume Lys, in Belgio, dove questo fiore cresce in abbondanza. Clodoveo, di cui più di tutto si conosce un blasone con tre rospi, ma come narra la favola il rospo si trasforma in principe, si convertì al cristianesimo e da quel momento in poi il giglio, è diventato il simbolo dei re cristiani di Francia. Con il diffondersi delle pseudo-teorie associate al Santo Graal ed alla discendenza di Cristo, il “Fleur-de-Lys” viene così associato al “Sangue Reale”: la base del simbolo rappresenterebbe, secondo questa nuova concezione, Maria Maddalena mentre i tre petali effigierebbero i figli che essa ebbe da Gesù: Tamar, Joshua e Josephes. La simbologia cristiana vede nel giglio un’allusione alla Trinità divina, nella base orizzontale la figura di Maria, nei tre petali stilizzati: il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo che emana da Loro. Il giglio è considerato simbolo di purezza, candore, innocenza e verginità, è un attributo della Madonna. Spesso, il giglio e il fiore di loto si sostituiscono l’uno all’altro rappresentando, in tempi più antichi, la Grande Madre, Iside, Isis, Ishtar, Diana, la stessa dea che ha molti nomi. Il simbolo “IS”, presente nel Tempio Malatestiano di Rimini e nel Dollaro statunitense, si favoleggia sia ispirato proprio alla dea Isis, la città di Parigi sarebbe poi dedicata a lei, (Par-is). Il giglio si può trasformare stilisticamente in una colomba, simbolo dello Spirito Santo che viene visto scendere dal cielo in forma di colomba durante il Battesimo di Cristo, la colomba è un emblema dei Catari, le colombe più famose sono nel Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Gioacchino da Fiore è stato uno dei primi teologi ad approfondire lo Spirito Santo, concepì  una teoria secondo cui, dopo un’era del Padre (Ebraismo e Antico Testamento), era seguita l’epoca del Figlio (Cristianesimo e Nuovo Testamento) e infine sarebbe giunta l’ultima era, quella dello Spirito. Molti teologi hanno ripreso questa concezione in relazione all’era dello Spirito che sarebbe iniziata negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, con la nascita di numerosi movimenti e gruppi di preghiera sullo Spirito Santo, in ambito laico si pensi ai figli dei fiori, gli hippy, oppure si consideri oggi la New Age. Il giglio è il segno di riconoscimento di Sant’Antonio da Padova, uno dei Santi più amati e venerati della cristianità, la sua statua è presente nella chiesa di Rennes le Chateau, non credo sia un caso che la sede nazionale del Lectorium Rosicrucianum (Rosacroce), si trovi a pochi passi dall’Eremo di Montepaolo, luogo ove il Santo cominciò a predicare, il Santo era al tempo conosciuto col nome di Antonio da Forlì. Il giglio è nello stemma della città di Firenze e in Toscana c’è pure l’isola del Giglio, se ci si muove nel linguaggio dei simboli, il naufragio della Costa Concordia avvenuto il giorno 13 all’Isola del Giglio, può apparire come un sinistro messaggio. Eppure, il giglio che è analogo al fiore di loto e alla colomba, ha anche il significato di amore, il suo profumo è il contrario di un profumo casto; è un miscuglio di miele e di pepe, qualche cosa di acre e dolciastro, di tenue e forte; è fiore di Venere a causa del pistillo comparato al pene, è un simbolo della generazione, rappresenta anche il cedere alla volontà di Dio e alla realizzazione. Lo Spirito dell’era dell’Acquario, in cui doveva essere l’amore a far muovere le stelle e portarci alla pace e all’armonia, non si realizzerà sino a che i due emisferi celebrali, collegati alla razionalità e al sentimento, non smetteranno di farsi  guerra… sarà un caso che la Costa Concordia sia stata recuperata da un’azienda di Ravenna?

immagine: le colombe di Galla Placidia

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 06/03/2017

I tanti simboli dietro l’orso

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Nella simbologia celtica degli animali, assai simile a quella degli indiani d’America, l’orso è associato alla dea come portatore di abbondanza e fecondità. Nel mito greco Callisto amica di Diana, rimase incinta di Giove. Callisto non raccontò questa cosa a Diana che però la scopri ugualmente e dopo averlo scoperto punì Callisto tramutandola nella costellazione dell’Orsa. Le versioni sono molte ma il significato non cambia Callisto fu tramutata in orsa e messa in cielo. L’orso è anche simbolo della classe regale, del re eletto fra i membri della classe guerriera. Art significa “orso” e si fa derivare il nome di Artù (re per eccellenza, riconosciuto tale dal Cielo e dalla Terra grazie all’estrazione di Excalibur dalla roccia) da esso. Se nella tradizione celtica l’orso è simbolo della regalità, in quella mediterranea lo è il leone. Interessante è sapere che all’epoca della cultura di La Tène (circa V secolo a. C.) che prende il suo nome da un villaggio in Svizzera, le costellazioni dell’Orsa e del Leone “accompagnavano” il sole  nel suo viaggio attraverso il cielo il giorno di Lughnasadh, la “festa del re” del 1° agosto. L’orso è dunque l’emblema dei guerrieri, mentre il cinghiale lo è dei sacerdoti, dei druidi, sempre in ambito celtico. Nel famoso racconto mitologico gallese intitolato “Kulhwc e Olwen”, viene narrata la caccia al cinghiale bianco e ai suoi piccoli, da parte di re Artù, forse  esprime la lotta sostenuta dalla nobiltà dell’epoca contro il sacerdozio druidico. In un altro racconto sono i guerrieri celati sotto le sembianze di un cinghiale a devastare le terre del re. Probabilmente la lotta fra il potere del re e quello dei druidi fu assai cruenta e difficile. Per quanto riguarda le rappresentazioni dell’orsa   e della dea a lei associata, vi è una celebre statua rinvenuta nei pressi di Berna (il simbolo della città è appunto un orso, come lo è di Madrid, Biella, Berlino e altre). L’orso è quindi emblema guerriero ma anche legato alla donna e alla maternità, l’orso spaventa per i suoi unghioni e la sua forza, ma sovente regaliamo ai bimbi un orsetto di peluche . Per quanto riguarda la religione cristiana, pare che tutti i Santi che mostrano accanto a loro la figura di un orso abbiano subito una forte influenza celtica: San Colombano,  San Gallo, Sant’ Ursino, San Sergio, San Biagio e altri, senza dimenticare di parlare del famoso Sant’Orso valdostano, che è festeggiato con la millenaria fiera che si tiene il 30 e 31 gennaio. E poi c’è  Wojtek, orso e soldato del 2° Corpo d’Armata Polacco comandato dal generale Anders. Seguì i suoi compagni dall’Iran, attraverso l’Egitto fino ad arrivare in Italia, e dopo la battaglia di Monte Cassino partecipò alla liberazione di Bologna. Nonostante gli anni passati, la sua storia è ancora molto viva, e ultimamente gli alunni della scuola ZSTH di Zagan, in Polonia e quelli dell’ITCG “L. Paolini” di Imola hanno realizzato il fumetto: “La vera storia dell’orso- soldato del 2° Corpo d’Armata Polacco”, tradotto anche in inglese e francese.  Wojtek  nacque nel 1942  sulle montagne della provincia persiana. Tramite un ragazzo arrivò  ai soldati polacchi, di cui diventò la mascotte. Viveva nelle tende coi soldati, marciava e giocava con loro, forse la stessa cosa che si fa con un cane ben addestrato. Wojtek era un soldato regolare e riceveva una paga militare per il vitto. Il Generale Anders e i suoi soldati, all’inizio del 1944 sbarcarono sul suolo italiano, giungendo a Cassino. Wojtek, non aveva paura delle esplosioni  anzi portava le casse di munizioni dai camion alle batterie. I soldati polacchi , con la loro mascotte, entrarono in Imola il 14 aprile del 1945, travolgendo le resistenze tedesche, liberando Imola e proseguendo per Bologna. Imola ricorda questo evento con un monumento che riproduce l’orso  mentre sta salendo degli scalini di marmo bianco, toccando con una zampa il berretto militare polacco. Alla fine della guerra, l’orso finì in Scozia, dove fu riconosciuto come residente onorario di Edimburgo e fu trasferito nello zoo. Non si abituò mai alla vita in cattività, divenne molto triste. La notizia della sua morte fu riportata da tutti i media britannici.

immagine: Artio la dea orso

articolo già pubblicato sul  quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno07/09/2015

Perchè piace la terrazza

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Il mio quotidiano preferito: La Voce di Romagna, un tempo pubblicava poesie in prima pagina, oggi ripropone, forse su richiesta dei lettori maschili, in ultima pagina le “terrazze con vista”. Non mi interessa né il polemizzare, né il giudicare, mi piace il capire, comprendere perché l’uomo è così attratto dal balcone. Da cinquanta anni il seno della Loren ha popolato i sogni di generazioni di appassionati, in effetti era da “bomba sexy” niente a che fare coi molti seni plastificati di oggi.  Sembra che pure un alto prelato non fosse in grado di staccare gli occhi da tali ubertose montagne, se ricordo bene la Sophia nazionale indossava una catena con crocefisso che cadeva tra il solco dei seni, qualcuno un po’ puritano fece notare al vescovo la spudoratezza della Diva, presentarsi in Vaticano così, ma l’alto prelato rispose: “Vorrei tanto esserci io al posto del crocifisso”. Parlando di donne, se stiamo sugli attributi fisici, lasciando perdere l’aspetto interiore (sic), oltre al seno, molto accattivanti risultano essere le mani, il portamento, gli occhi e lo sguardo soprattutto, il cosiddetto “lato b” e assai importante è la voce. Per il seno abbondante il richiamo viene da molto lontano, dalle veneri preistoriche, piccole figurine dai seni debordanti in cui gli studiosi vi riconoscono il culto della fertilità. Pensiamo alla famosissima Venere di Savignano (sul Panaro e non sul Rubicone) ma è possibilissimo che tali statuette siano presenti anche nel sottosuolo riminese in quanto si sa che nella zona vi erano stanziamenti paleolitici … è bene tenere in vita le belle tradizioni, ben vengano le terrazze con vista. Oltre a ciò c’è dell’altro, sembra che la simbologia del seno sia  emblema del cuore. Ho sempre creduto che il simbolo del cuore si riferisse al “cuore organo” e con sorpresa ho scoperto, frequentando le lezioni di Anna Spinelli alla Casa Matha di Ravenna, che non è così. Il simbolo del cuore deriverebbe dall’Albero della Vita ai cui lati si confronterebbero due persone, queste due persone rappresentano l’Oriente e l’Occidente. L’Albero della Vita è il progetto seguito da Dio per creare il mondo, e  Oriente e  Occidente stanno quindi ai lati dell’Albero a testimonianza della Creazione. Col tempo l’Albero è quasi scomparso ma sono rimaste le sagome delle due persone. Volendo queste due sagome che si fronteggiano possono essere viste come l’incontro che unisce. Se prendiamo in esame invece la triade rosso / cuore/ amore, ci confrontiamo con il sentimento, la passione e la sessualità. Il colore rosso è simbolo per eccellenza dell’amore e dell’eros e può dare una sensazione forte, calda e protettiva, ma anche molta eccitazione nervosa. Mi dispiace rovinarvi la tradizione romantica sul cuore, ma l’affare sembrerebbe assai più erotico che sentimentale. Girando per internet ho trovato un’altra simbologia sul cuore. Il cuore verrebbe stilizzato in questa particolare maniera per un preciso motivo: rappresenterebbe le natiche della donna. Se infatti si capovolge il classico simbolo stigmatizzato del cuore, esso rappresenterà le natiche femminili così come sono viste dall’uomo durante il rapporto “da dietro”. Questa rappresentazione ha radici molto antiche, risale ai tempi in cui l’essere umano non aveva ancora assunto la posizione eretta, per cui i genitali (specialmente quelli femminili) non si erano ancora spostati nella parte frontale del corpo. Le natiche avevano una funzione di richiamo sessuale, funzione poi assunta, con l’evoluzione, dal seno femminile che ha la stessa forma tondeggiante delle natiche. Col passare del tempo quella rappresentazione stilizzata  del richiamo femminile delle natiche, poi passata al seno, è stata caricata di significato romantico, ma il senso di fondo è sempre quello del richiamo sessuale. Sarà poco romantico, ma la realtà è questa. Sappiate che da quarantamila anni il rapporto  erotico è rimasto come al tempo dell’homo sapiens, ci siamo evoluti solo nel fisico, ma la nostra fantasia sessuale è rimasta tale e quale all’uomo preistorico. Non c’è sesso senza amore o non c’è amore senza sesso?

immagine: Sophia Loren

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 14/07/2014

L’ANNO NUOVO ANTICHISSIMO

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Pare che il Capodanno abbia origine in Mesopotamia, sin dai tempi remoti del secondo millennioa. C., i mesopotamici credevano che l’universo fosse nato dopo una violenta notte fra il loro dio Marduk e la dea del  caos chiamati. La vittoria andò a Marduk. Ogni anno l’impresa era ricordata. Si ricreava il caos, bevendo, permettendo agli schiavi di insultare i padroni e commettendo atti immorali. Si trovano cenni alla celebrazione del Capodanno anche tra gli antichi egizi. Qui la protagonista diventa Hathor, la dea dell’amore e della gioia, della musica e della danza. Nell’antica Roma i rituali del Capodanno erano molto complessi. Il mese di gennaio era sacro a Giano, egli proteggeva le entrate e le uscite, e simbolicamente, anche l’anno che se ne andava e quello che arrivava. Per questo motivo era rappresentato con un volto barbuto e anziano e uno giovane. I romani avevano mutuato gianodalla dea celtica Juana. Janua è la Signora del Tempo e madre degli Dei, è la divinità dei passagi, è la porta e rappresenta il ciclo dell’eterno divenire. Genova deve il suo nome a Lei, (Genua) la porta sul mare. A questa divinità i sacerdoti offrivano farro e una speciale focaccia, chiamata ianual, fatta di formaggio, farina e uova. Quello stesso giorno i romani usavano invitare a pranzo gli amici,scambiarsi vasi di miele con datteri e fichi come augurio di fortuna e felicità. Anche in questo caso l’inizio dell’anno nuovo assumeva un significato religioso mescolato però a sregolatezza e a festeggiamenti sfrenati. La data del Capodanno è cambiata nel corso del tempo, fra gli antichi celti si celebrava tra il 31 ottobre e il 2 novembre, come fine del ciclo agricolo ed inizio del nuovo. L’uso in voga oggi di iniziare l’anno dal 1 gennaio cominciò con la riforma del calendario voluta da Giulio Cesare, successivamente quando il calendario fu adottato dai cristiani, si continuò a festeggiarlo in tale giorno perché la ritenevano la data della circoncisione di Gesù, circonciso, secondo la legge ebraica, l’ottavo giorno dalla nascita. Nel corso del Medioevo fu sostituito da altre date, per esempio il 1 marzo, che fu usato  nella repubblica veneta fino al 1797. Oppure il 25 marzo in Toscana per ricordare il concepimento di Gesù. In Francia si festeggiava con la Pasqua. Altrove il 1 settembre o per Natale. La chiesa termina l’anno con San  Silvestro e lo inizia con la Madre di Dio. San Silvestro fu incoronato papa da Costantino. Sembra poi che il Santo abbia battezzato l’imperatore Costantino, chiudendo così simbolicamente l’era pagana e aprendo la nuova era cristiana dell’Impero. Una leggenda racconta che San Silvestro liberò un paese in provincia di Rieti, da un drago che viveva in una caverna, cui si accedeva attraverso 365 gradini. Possiamo quindi constatare che anche la Chiesa metaforicamente chiude l’anno con l’uccisione del drago, quindi del vecchio,ed inizia l’anno nuovo sotto la protezione della Madonna come Madre. E adesso passiamo ai festeggiamenti. Oltre diecimila anni fa gli uomini, da poco dediti all’agricoltura, festeggiavano al culmine dell’inverno lo scampato pericolo. Infatti, da quel momento in poi, la stagione non avrebbe potuto che migliorare. Perciò approntavano i cibi e le bevande risparmiate e facevano festa tutti insieme. Il vischio usato per il bacio di Capodanno era una pianta sacra ai celti. Si credeva che le sue bacche lattiginose contenessero il seme fertile, quindi baciarsi sotto il vischio è simbolo di fertilità. Ma non è tutto qui, il vischio era sacro alla dea dell’amore Freya, la più nota e amata delle dee nordiche, famosa  per la sua bellezza, è la dea dell’amore. Quindi il bacio sotto al vischio non è solo benaugurale ma speranzoso.

immagine: San Silvestro e il drago

articolo già pubblicato sul quotidiano:”La Voce di Romagna” il giorno 02/01/2014

IL DOLLARO E’ NATO A RIMINI


 

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Il Tempio Malatestiano di Rimini ha le carte in regola per far parte del Patrimonio dell’Umanità, possiede opere di una bellezza inaudita, di grandi artisti, a ciò unisce un esoterismo molteplice e una particolarità unica: si celebra ancora oggi la Messa… in un Tempio pagano, fra simboli erotici, alchimia e astrologia un mix affascinante ed unico. Papa Pio II, scomunicò, nel 1460, Pandolfo Malatesta, il signore di Rimini, dichiarando che il monumento: “non sembra un Tempio di Cristo, bensì di fedeli adoratori di demonio“. Sigismondo fermò i lavori e così il Tempio è ancora oggi incompiuto. Non scrivo del Tempio, ci vorrebbero pagine e pagine, ma di una curiosità. Il Tempio è zeppo di simboli che raffigurano il dollaro statunitense. Follia…vedremo. La sigla di Sigismondo, è quasi identica al dollaro, gli studiosi la spiegano come usanza fra i principi di quel tempo di adoperare per il loro monogramma le prime due lettere del loro nome: troviamo KA per Carlo Malatesta, FE per Federico di Urbino, quindi la SI per Sigismondo Pandolfo Malatesta, che con la I sovrapposta alla S assomiglia al dollaro. I poetici asseriscono che la S abbraccia la I di Isotta, il grande amore del Malatesta. Questi con grande  sforzo riuscì a recuperare le ceneri di Giorgio Gemisto Pletone, un grande filosofo, forse un po’ dimenticato, fu il vero ideatore del Rinascimento fiorentino. Perché tanta fatica? Forse Pletone fu veramente il suo Maestro Spirituale e Iniziatore a quella religione Universale, che riconosce l’esistenza di un Dio Unico Creatore e che in ogni uomo c’è un’anima che sopravvive dopo la morte. Questa filosofia è molto legata ai Pianeti e all’ Astrologia, che pure troviamo esaltati nel Tempio. La medesima simbologia è cara agli esoteristi e agli alchimisti, fino ad arrivare ai Rosacroce e ai Massoni. La banconota degli Stati Uniti  fu adottata nel 1792 dal presidente massone George Washington e reca altri simboli di stampo esoterico. Le spiegazioni ufficiali sulla scelta della S per il dollaro non convincono e comunque è più affascinante che il dollaro abbia  un po’di Rimini e un po’della Romagna.

 

immagine: una delle tante raffigurazioni del  “dollaro” all’interno del Tempio Malatestiano  (Rimini)

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

LA PIGNA DI RAVENNA

Ravenna-Stemma

La pigna è un po’ il simbolo di Ravenna, si trova nel suo stemma e un po’ in giro  sulle tombe e sui palazzi.  Il simbolo della pigna è uno più misteriosi che si possono trovare nell’arte. La pigna allude al più alto grado di illuminazione spirituale possibile. Il suo simbolo può essere trovato tra le rovine indonesiane, babilonesi, egiziane, greche, romane, e cristiane, solo per citarne alcune. Appare anche nei disegni delle tradizioni esoteriche, come nella  massoneria, nella teosofia, nello  gnosticismo e nel  cristianesimo esoterico. La pigna ha molti significati e per la sua forma è associata all’uovo, da artista dilettante ho costruito in mosaico due pigne per il mio  cancello, ebbene i vicini credevano fossero uova, quindi all’uovo cosmico, alla nascita. Era usanza ben prima della Pasqua cristiana di regalare uova colorate proprio con riferimento alla pigna. La pigna non è legata solo alla Pasqua ma anche al Natale. L’abete, il cui frutto è la pigna, è un sempreverde, riferimento all’immortalità,  è l’albero tipico che si addobba per Natale. Altro significato  della pigna, essendo colma di semi, è quello della fertilità . Nei  letti delle nonne, a volte si trovavano le pigne  decorate sui vecchi letti in ferro .  Servivano per augurare un matrimonio con figli sani e far sì che la camera da letto divenisse un luogo sacro e fertile. Ancora oggi il Sindaco di Faenza regala alla mamma del primo nato dell’anno nuovo un’impagliata, tazza tipica per puerpera, che  ricorda la  forma di una pigna.  La pigna è anche simbolo di fertilità di mente e prolificità di idee, e per la resina che produce, solidificata diventa ambra, è associata alla resistenza e alla tenacia e qui mi sembra che rappresenti bene i romagnoli, noti in tutto il mondo per la loro testardaggine o “zucconeria”. D’altronde se abbiamo la zucca grossa avremo anche un cervello più pesante/pensante. Qualche buontempone, dice che oggi la pigna non è più il simbolo dei ravennati, il nuovo simbolo  non solo per i cittadini di Ravenna ma di tutti i romagnoli, sarebbe il cocomero.  Il cocomero ha la scorza verde, la polpa rossa ed i semi neri ( cioè il romagnolo è insieme repubblicano, che comunista ed anche fascista).

 

immagine: Stemma di Ravenna col pino carico di pigne

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”