Il cibo nell’arte XXXVI e ultima parte

Dalla Pop Art, dal cibo seriale, inscatolato e commerciale della zuppa Campbell’s di Andy Warhol, più o meno negli stessi anni, arriva l’Arte Concettuale, che ritiene l’idea e il concetto primari sul risultato visivo ed estetico di cui Piero Manzoni è l’artista più noto, anche per aver inscatolato la sua Merda d’artista, intendendo che con la pubblicità si possa vendere di tutto sia nel mondo dell’arte che in quello alimentare. Nel 1960 organizzò un evento ‘Achrome marketing delle galline’ dove gli spettatori erano invitati a mangiare delle uova sode timbrate con le impronte digitali di Manzoni, l’artista crea e questa creazione viene mangiata… non solo la visione ma addirittura l’opera viene mangiata… quasi fosse un’ostia sacralizzata dall’imbonitore- pubblicitario-artista.

 

Piero Manzoni-Panini e caolino-Achrome-1962

‘Achrome’, che significa senza colore, sono una serie di opere di Manzoni in cui  la superficie della tela bianca è impregnata soltanto di caolino, un’argilla bianca che solitamente si usa per preparare la tela, quindi un azzeramento della pittura e ricerca di altro, del concetto di assoluto, di qualcosa che non dipendente da nient’altro; inizialmente le opere hanno increspature più o meno in rilievo, successivamente Manzoni realizza una serie di ‘Achrome’ dove sulla tela incolla rosette di pane coprendole completamente col caolino… cosa voleva dire?

Sacralizzare il pane che a noi pare un’ovvietà?

Magari pensando alla rivolta del pane di cui il suo avo più famoso parla nei Promessi sposi?

Forse pensando a quanto è stato importante il pane prima del consumismo, alla sua sacralità di un tempo?

Non si sa, con l’arte concettuale tutto è possibile perché assimila e ingloba più significati.

  

 Mele cadute-1968- Piero Gilardi

Sempre attorno agli Anni Sessanta nasce in Italia il movimento artistico dell’Arte Povera, così chiamata per i materiali umili che gli artisti usavano, come cartapesta, stracci, o materiali riciclati; si opponevano all’arte tradizionale, ricercando l’essenzialità e relazionandola con la società contemporanea.

Dell’Arte Povera fa parte anche quella chiamata Ecologica o Sostenibile, questi artisti realizzano opere d’arte che affrontano il problema climatico e ambientale o creano opere tramite riciclo di materiali inquinanti. Piero Gilardi è un pioniere di questa arte, realizza alla fine degli Anni Sessanta i famosi ‘Tappeti Natura’ in poliuretano espanso riproducendo erba, piante e frutti che oltre che ad essere visivamente realistici lo sono anche al tatto ciononostante non sono naturali ma artificiali.

Il binomio natura-cultura di cui si occupa Gilardi, non solo influisce sull’ambiente ma anche individualmente su ogni individuo. Il cibo che mangiamo oggi è diverso da quello dei nostri nonni, certo abbiamo più varietà, più facilità nella conservazione, ma… patatine fritte, ogni sorta di snack, merendine, bibite gasate, il cosiddetto cibo spazzatura oltre a fare male crea dipendenza, ne mangiamo troppo, senza contare il pranzare in piedi velocemente con un panino che crea stress, che crea tutta una serie disturbi, senza dimenticare l’effetto degli OGM, che se pro o contro lo sapremo solo col tempo.

Daniel Spoerri- tableau-piège

Oggi che il cibo è un mito osannato con decine di programmi televisivi, di riviste, di ricettari di ogni genere da quello della nonna a quello dei grandi chef, sui social un’invasione di cucinieri più o meno esperti… poteva mancare Eat Art?    

Daniel Spoerri è un eclettico (ballerino, coreografo, scenografo, regista di teatro e di cinema, autore, editore, guida turistica, insegnante, ristoratore) artista nato nel 1930 in Romania e naturalizzato in Svizzera, è l’inventore della Eat Art ben prima che scoppiasse il boom culinario, già dal 1967 Spoerri iniziava una riflessione critica sul cibo.

Daniel Spoerri -tableau-piège

Negli anni Sessanta Spoerri cominciò a comporre gli ormai celebri tableau-piège, i quadri-trappola, ovvero incolla degli oggetti così come li trova sul tavolo da pranzo, piatti, bicchieri e avanzi di cibo che eternizzano    il momento del pranzo e della cena, diventano natura morta che viene appesa al muro, nature morte che chiamerà Eat art.

Ciò che importa a Spoerri non è la natura morta in sé stessa, ma l’atto del mangiare che lascia resti che vanno in putrefazione (memento mori) o inquinano: gli avanzi di cibo, lo sporco che l’uomo lascia nella natura, butta la carta per terra, i mozziconi delle sigarette, le bottiglie di plastica (oggi molto meno ma negli Anni Sessanta-Settanta non era così) Spoerri anticipa l’ecologismo e il salutismo, registra il passaggio dell’uomo che si siede a tavola, mangia e lascia i resti di cibo che Spoerri immortala… come noi un giorno saremo nient’altro che resti in decomposizione, come il cibo.

Carl Warner-Foodscapes- Fotografia

Ma non voglio certo chiudere questi quattro passi sulla storia dell’arte del cibo con la relazione di quest’ultimo con la morte, nel senso che oggi si parla molto di cibo, di cucina, ristoranti ecc. perché i tempi incerti ci fanno sentire di più il senso di morte, orribile ma è un dato di fatto, c’è chi per i like testimonia giorno per giorno il digiuno o il mangiar poco o all’opposto grandi abbuffate, rischiando la salute e forse anche la vita, non mi piace lasciare questo messaggio… vi lascio con i Foodscapes.

Carl Warner-Foodscapes- Fotografia

Per sensibilizzare una dieta più sana ed equilibrata, Carl Warner un fotografo inglese contemporaneo realizza i ‘Foodscapes’, cioè crea dei paesaggi gastronomici realizzandoli tramite alimenti freschi che a lavoro ultimato fotografa come testimonianza. (Fine)

Il cibo nell’arte XXXV parte

Lo statunitense Andy Warhol raffigura scatole di ‘Zuppa Campbell’, cibo seriale, commerciale, che se negli Anni Sessanta era ben visto e di moda oggi all’opposto è biasimato da una parte di popolazione che critica la globalizzazione e l’omologazione dei gusti e che ricerca cibo a chilometro zero e produzioni di stagione,   l’altra parte critica ugualmente ma gli è più comodo frequentare i fast-food per evitare di cucinare e per spendere poco.

Andy Warhol- Campbell’s soup – 1962

Il cibo in scatola di Warhol e le sue bottigliette di coca cola ribadiscono il concetto di riproducibilità dell’arte che non è più un’opera unica ma è seriale e meccanica così come è diventato seriale e ripetitivo il gusto alimentare nella cultura di massa… la Pop Art nasce negli Anni cinquanta negli Stati Uniti, nel 1964 arriva alla Biennale di Venezia ed è boom.

Andy Warhol- Coca-Cola – 1962

A questa visione commerciale del cibo inscatolato di Warhol si contrappone ‘Vucciria’ il dipinto che Renato Guttuso realizza nel 1974 raffigurando lo storico mercato di Palermo, uno spazio riempito all’inverosimile di frutta, verdura, salsicce, uova, addirittura un mezzo bue e un coniglio appena scuoiato appesi a dei ganci. Un trionfo alimentare per gli occhi e la gola senza nessuna ideologia vegana o vegetariana. 

    

Renato Guttuso- Vucciria- 1974-Palazzo Chiaramonte-Steri – Palermo

È un dipinto che è lontano da noi di qualche decina d’anni, ma qui non vi è nessun senso di colpa per gli animali uccisi, qui il cibo si mostra nella sua opulenza barocca che ci colpisce per colore e vivacità; d’altronde il mercato è un qualcosa che nasce addirittura nel Neolitico, è un qualcosa che è nel nostro inconscio collettivo… se ci pensate acquistiamo ancora al mercato che a ben vedere non ha le norme igieniche a cui ormai siamo abituati.

Luciano Ventrone-Il dono di Bacco- 2011

Sulla stessa via del trionfo del cibo di Renato Guttuso si affianca Luciano Ventrone il pittore romano che fa parte dell’Iperrealismo che come dice la parola è troppo reale, tanto da diventare astratto, un qualcosa d’altro, la tecnica di Ventrone è sbalorditiva tanto che Federico Zeri lo definì il Caravaggio del XX secolo.

 Luigi Benedicenti- Pasticcini

Luigi Benedicenti altro pittore questa volta torinese, strettamente legato al movimento dell’Iperrealismo, è noto soprattutto per i suoi dipinti di fette di panettone o di pasticcini. Come Ventrone ha una bravura che ci lascia stupiti, i suoi dolci fanno pensare alla mancanza di dolcezza umana, che latita in questo mondo di cattive maniere, più indifferente che maleducato. Il gusto dolce piace più o meno a tutti, il dolce ci fa pensare alla madeleine di Proust, al panettone che si mangiava solo a Natale, alla ciambella della nonna, al latte della madre: i cibi ricchi di zuccheri, aumentano la serotonina, l’ormone del buonumore.

Luigi Benedicenti- Panettone

L’ Iperrealismo di Ventrone e Benedicenti, superano il realismo e quindi vogliono dire qualcosa d’altro, se il primo ci fa pensare col rigore compositivo alla solitudine e il secondo alla dolcezza come mancanza di qualcosa, un altro pittore, Giorgio Morandi questa volta un bolognese, è un’artista che non ha niente a che fare con l’Iperrealismo, tuttavia con pochi tocchi di colori neutri e terrosi, realizza nature morte metafisiche e silenziose… le sue nature morte, in particolare le bottiglie, ci appaiono quasi come gruppi di uomini e donne solitari e arresi all’immensità dell’universo.

Giogio Morandi- Natura morta-1952

(continua)

Il cibo nell’arte XXXIV parte

Dalla metà del Novecento si ha un rapporto col cibo ambivalente, alimenti in quantità in una parte del mondo, fame nell’altra, da una parte problemi di salute causa obesità, dall’altra mortalità e malattie causa insufficienza alimentare, da una parte aumentano i disturbi alimentari legati alla cultura, alla moda dei tempi, anoressia e bulimia. Non mangiare o abbuffarsi sino a morire, perché si è soli dentro, una solitudine in cui non c’è più nessuna certezza che ci aiuti, una solitudine dove non sappiamo più chi siamo… stomaco e cervello, si condizionano a vicenda, due cervelli o meglio due sistemi nervosi che interagiscono, c’è anche l’ipotesi di una relazione tra l’am  legato al cibo, la sillaba con cui si invita il bambino piccolo a mangiare, e l’am radice dei sostantivi amicizia e amore.

Egon Schiele-Autoritratto con alchechengi -1912- Leopold Museum- Vienna

Oggi sappiamo dell’importanza del cibo anche per la nostra psiche, il cibo ci conforta e riempie i vuoti emotivi, eppure nonostante sappiamo questo mangiamo spesso cibo spazzatura e nonostante l’inflazione gastronomica di cuochi, influencer, critici culinari in tv o sui social abbiamo problemi di salute legate alla cattiva o troppo abbondante alimentazione e siamo sempre più infelici.

Egon Schiele-1911- Natura morta con fiori e panni colorati-Gallerie d’Arte Moderna-Praga

Nelle opere degli artisti del Novecento troviamo tutte queste contraddizioni, e spesso le troviamo prima che si diffondano: il pittore austriaco Egon Schiele raffigura uomini e donne scheletriche rattrappite e contorte, la stessa linea tagliente e spiegazzata la usa nelle nature morte. Dai piani alti a quelli bassi, la depressione un tempo male per ricchi oggi attraversa tutti gli strati della popolazione, Oliviero Toscani nel 2007 fotografa una ragazza anoressica nuda, una foto che è come un pugno nello stomaco, la modella morirà qualche anno dopo a soli 28 anni, per contro Fernando Botero, pittore e scultore colombiano, presenta dei tondi e grassi personaggi che richiamano il problema odierno dell’obesità dei paesi occidentali

Fernando Botero- Picnic- 1998

Salvador Dalí icona del Surrealismo, anche se fu cacciato dal gruppo, aveva un’ossessione esagerata per il cibo, a sei anni voleva fare il cuoco, poi cambiò idea ma l’idea fissa del cibo restò, diceva che si sentiva vivo e forte quando mangiava un morto, intendeva una beccaccia o un altro alimento animale, provava piacere nel succhiare i crani e il midollo, quasi andando all’uomo preistorico, quando ancora non era cacciatore ma si cibava di carogne e si cibava di midollo osseo e scarnificava le teste. ‘Les dîners de Gala’ è un libro da lui realizzato dedicato ai piaceri del gusto, in cui scrive le ricette e raffigura i cibi afrodisiaci e fantasiosi   accompagnate dalle sue stravaganti riflessioni, delle favolose cene che organizzava sua moglie Gala.

Salvador Dalì-Uova sul piatto-1932

Gran parte della pittura di Dalì è gastronomica, spermatica, esistenziale, lo diceva lui stesso, vi troviamo telefoni con la cornetta a forma di astice oppure uova fritte al tegamino, Dalì diceva che nella sua mente persisteva il ricordo di quando era nel ventre della madre che coincideva con la visione di due uova fritte, che si muovevano assieme a lui nel liquido amniotico.

Philippe Halsman, un fotografo statunitense assai originale, ascoltando un’intervista di Dalì in cui parlava dei suoi ricordi mentre era nella pancia della madre, gli chiese di posare per una foto… Dalì come un embrione dentro un uovo.

Philippe Halsman- Dalì come uovo-1942

Se per Dalì le uova erano tanto importanti altrettanto lo era il pane che Dalì riteneva ‘rivoluzionario’, voleva elevarlo a oggetto artistico, sovvertire l’dea del pane come sopravvivenza dei poveri, ribaltare il concetto, renderlo eucaristico nel profano, così nel 1934 girò per giorni a New York portando sotto il braccio una baguette di due metri, ma restò deluso dall’indifferenza della gente; nel 1958, sfilò con una baguette lunga 12 metri, accompagnato da fornai tutti coi baffi perché assomigliassero a lui; nel 1971 Dalí  si fece costruire una camera da letto tutta in pane, oggi di questo arredamento  è rimasto soltanto il lampadario, che ogni tanto deve essere restaurato con nuove parti. 

 Salvador Dalì- Casa Teatro con Torre Galatea (dove si trova la sua tomba)-Museo di Figueres-Spagna

In una delle sue opere più famose, ‘Memoria persistente’ raffigura lo scorrere del tempo che, per lui non è quello scandito e misurabile dell’orologio bensì avvicinandosi al pensiero di filosofi come Bergson e scrittori come Proust è in realtà qualcosa che è relativo alla percezione soggettiva, qualcosa che si può dilatare se emoziona e cattura coi sensi, ebbene Dalì immagina gli orologi come dei formaggi Camembert che si sciolgono… il gusto del cibo fa scordare il passare del tempo, porta in un’altra dimensione.

Salvador Dalì – La persistenza della memoria- Museum of Modern Art di New York

(Continua)

Il cibo nell’arte XXXIII parte

Il Novecento si apre con grandi mutamenti, con un alto sviluppo tecnologico e scientifico, che porta a un cambiamento anche sociale e culturale, le invenzioni come l’elettricità, la radio, la televisione, la penicillina, gli antibiotici, l’auto, l’aereo e molto altro, portano all’umanità l’idea che al progresso non ci sia mai fine, che la scienza potrà un giorno renderci immortali. Il pensiero scientifico guida e trasforma quello estetico, filosofico e letterario; gli artisti registrano in anticipo le idee che circolano, se una natura morta ottocentesca è simile a quella rinascimentale, la natura morta di Picasso sembra lontana da qualsiasi riferimento. Picasso e gli altri cubisti frantumano la realtà e la ricompongono attraverso la sovrapposizione di più vedute. Il Cubismo introduce nella pittura la quarta dimensione, il tempo e lo spazio, più si va veloci nello spazio e più si rallenta nel tempo e viceversa: Einstein ci ha reso quello che siamo oggi sempre di corsa con la sensazione errata di poter fermare il tempo.  

Pablo Picasso-Natura morta con pane e fruttiera- 1090-Kunstmuseum-Basilea

Anche il rapporto col cibo, anche la gastronomia cambia velocemente, dopo i primi grandi ristoranti d’eccellenza, a fine Ottocento nasce la Guida Michelin che seleziona sul territorio i ristoranti migliori segnalandoli con una stella, la Guida ovviamente esce in Francia, da un’idea dei due fratelli fondatori dell’omonima fabbrica di pneumatici, per invogliare gli automobilisti ad usare l’auto per turismo, per aumentare così la vendita di gomme per auto… l’auto è più della Nike di Samotracia, così dicevano i futuristi. Il Futurismo esalta la bellezza della tecnica, del movimento, apparentemente le loro opere sono simili a quelle Cubismo, ma lo scopo è diverso, i futuristi indagano il rapporto tra spazio e tempo… la velocità.

Georges Braque-Natura morta-1927- Philips Collection-Washington

Anche la cucina italiana è in fermento escono pubblicazioni con le ricette regionali, ma viene anche pubblicato da Tommaso Marinetti il ‘Manifesto della Cucina Futurista’, che a dir la verità servì più come provocazione, come idea rivoluzionaria, che gastronomia pratica e reale. I futuristi contestavano la tradizione culinaria in particolare la pastasciutta, propendevano per nuovi abbinamenti di sapori, per una cucina veloce, i nomi dei piatti erano fantasiosi e ispirati alla velocità e alla tecnica, un’attenzione particolare era per la presentazione del cibo che doveva essere come un’opera d’arte, inoltre osannavano la chimica perché creasse cibo e vitamine in pillole in modo di velocizzare i pasti.

Gino Severini- Grande natura morta con la zucca-1917- Pinacoteca di Brera

La cucina futurista fallì, fu stroncata da numerose critiche negative… a posteriori possiamo dire che la cucina futurista era solo in anticipo sui tempi, si pensi ad oggi, a tutti quegli integratori che prendiamo o alla Nouvelle Cuisine che si affermò sempre nella solita Francia e che è per l’adozione delle più moderne tecniche, per la riduzione dei tempi di preparazione e di cottura, per nuove ricette fantasiose, per la sperimentazione di nuovi ingredienti e di nuovi accostamenti e per una presentazione decorativa e artistica.

Gino Severini-Natura morta con bottiglia di vino, brocca e pere-1920- Collezione privata

Negli Anni Venti per gli artisti ci fu un ritorno all’ordine, un rinnovato interesse per la tradizione segnato in Italia dall’avvento del fascismo: confrontando due nature morte di Gino Severini, una del 1917, ‘Grande natura morta con la zucca’ in cui Severini è nel periodo del Cubismo sintetico, una realizzata nel 1920 ‘Natura morta con bottiglia di vino, brocca e pere’ si può comprendere l’incertezza ideologica del tempo e i relativi cambiamenti veloci. (Continua)

Il cibo nell’arte XXXII parte

All’inizio dell’Ottocento pochi si rimpinzavano, circa il 20%, con varietà di cibo, mentre il resto si riempiva la pancia con minestroni, cereali e soprattutto in certe zone solo con la polenta, si diffuse così la pellagra una malattia che causava dermatite, diarrea e demenza e che era la conseguenza del cibarsi solo di polenta.

Luigi Monteverde- Natura morta con biscotti

Diventa invece usuale la frutta e il dolce, grazie anche all’introduzione della barbabietola da zucchero, per i ricchi e gli agiati non c’erano problemi consumavano cioccolata e i nuovi prodotti dolciari che i pasticceri francesi avevano creato come ad esempio il savarin una specie di pan di spagna imbevuto di liquore, simile al babà, una ciambella rotonda col buco riempito con crema chantilly frutta fresca oppure i fondant, caramelle candite o marron glacé e poi si creò il primo stampo rotondo per torte e arrivò il pan di spagna e la famosa, tutt’oggi una garanzia di bontà, la Saint-Honoré.

Luigi Monteverde- Natura morta con uva e fiasco di vino

Luigi Monteverde (1843-1923) nacque a Lugano, è stato un pittore famoso per la sua tecnica ispirata alla fotografia, dotato di un meticoloso realismo; nella prima immagine ci offre una natura morta ricca di fondant, biscotti, dolci, liquori e frutta sciroppata, dandoci un’idea della pasticceria ottocentesca, nella seconda ci sbalordisce… fu chiamato il Raffaello dell’uva. 

Auguste Renoir-Natura morta con pesche- 1881- MET museum- New York

La frutta piace molto e i ceti agiati possono avere più varietà, il ceto povero si accontenta di quella stagionale, se abita nel Sud Italia avrà arance e limoni se al Nord pesche, mele, pere, uva… la frutta trionfa nelle nature morte degli impressionisti e dei post-impressionisti.

Paul Gauguin-Natura morta con pesche-1889-Fogg Museum-Cambridge-USA

Una carrellata di immagini in cui per Renoir e per Gauguin conta il rinfrangersi della luce, con rapide pennellate di colore vivo, evitando di mescolarlo ma accostando i toni vivaci l’uno accanto all’altro, rendono la rotondità dei frutti con l’intensità del colore. In queste nature morte Gauguin è ancora vicino all’impressionismo tuttavia già si nota il suo senso innato di libertà nell’uso del colore e la solidità delle forme.

Paul Gauguin- Natura morta con arance- 1881

Diversamente da Gauguin che usa principalmente il colore, Paul Cézanne, altro grande post-impressionista che influenzerà il cubismo, cerca di geometrizzare le forme, Cezanne è convinto che ogni oggetto corrisponda a una forma geometrica… si parte da un cono, da un cilindro o da una sfera.

 

Paul Cézanne-Natura morta con mele e arance-1895-Musée d’Orsay, Parigi

William Joseph McCloskey (1859-1941) è un pittore americano noto per il suo realismo, si potrebbe definire copiando il soprannome di Luigi Monteverde, il Raffaello delle arance, l’artista dipinge le arance dandoci quasi la sensazione di toccare la loro buccia granulosa, il piano è poi talmente lucido che i frutti vi si specchiano inoltre si diverte a mostrare la sua bravura nelle increspature della carta. 

William J. McCloskey-Arance incartate-1889- Amon Carter Museum of American Art

La carta gli serviva come espediente per dare più volume e realismo mentre io pensavo che ritraesse le arance così incartate come le comprava, questo perché, un tempo e sino a non molti anni fa, le arance erano vendute confezionate, si utilizzavano dei fogli quadrati di carta velina allegramente decorati che avvolgevano le arance per proteggerle durante la spedizione nei mercati.  (Continua)

Il cibo nell’arte XXXI parte

Alla fine dell’Ottocento vi è un grande passo, grazie al medico Pasteur si realizza la pastorizzazione del latte di cui si avvantaggiò anche la produzione casearia.

La Francia continua il suo ruolo di regina della gastronomia, Marie-Antoine Carême uno dei più importanti cuochi francesi, inventa l’Alta cucina. Carême scrive ricettari e manuali e definisce i principi base dell’Alta cucina, il cibo incontra nuovi sapori, porzioni equilibrate e gusto sopraffino, piatti presentati con arte perché anche l’occhio vuole la sua parte.

Carême crea l’Alta cucina, ora la cucina è democratica, non più riservata alla nobiltà tutti possono averla basta avere il denaro e qualcosa di nuovo bisogna pure inventarsi per giustificare il prezzo elevato.

Henri Matisse- Il tavolo da pranzo-1896-1897- Collezione privata

Infatti Auguste Escoffier, un altro grande chef francese, realizzò assieme all’imprenditore Cesar Ritz, la nuova moda per i super-ricchi, i lussuosi grand’hotel, come il Savoy e il Carlton di Londra e il Ritz di Parigi e i loro sciccosi ristoranti e poi la novità delle crociere sui transatlantici, dei viaggi su treni mitici quali l’Orient Express, ma siamo già all’inizio del Novecento che fermerà tragicamente con la prima guerra mondiale, una corsa positivista del sempre più avanti, della fede nel progresso che aveva caratterizzato l’Ottocento.

L’arte ci mostra il trionfo dell’alta borghesia, ma anche la piccola e media ci è mostrata, in particolar modo dagli impressionisti, opere luminose, allegre, dove non c’è posto per tristezze e malinconie, opere che ho presentato nell’articolo precedente.

L’Ottocento è anche il secolo della barbabietola da zucchero, la costosa spezia-zucchero del secolo prima ora è alla portata di tutti… lo zucchero di un’epoca che finisce con l’amaro.

Henry Matisse (1869-1954) è un grande artista francese e coglie il passaggio dallo zucchero all’amaro con due dipinti che raffigurano la stessa sala da pranzo.

Nel primo lavoro, creato nel 1896-97 vi è raffigurato una tavola ben apparecchiata con alzate di frutta, ampolle di vino rosso mentre una cameriera sta sistemando al centro un mazzo di fiori, un’immagine luminosa che ci fa pensare ad armonia e serenità.

La luce entra dalla finestra illuminando la tavola e possiamo immaginarci di sederci con piacere a questo banchetto.

Henri Matisse- La stanza rossa-1908/1909- Museo dell’Ermitage- San Pietroburgo

Dieci anni dopo, nel 1908 Matisse realizza ‘La stanza rossa’, una visione mentale completamente opposta della precedente tavola imbandita. In un tutto rosso, la carta da parati sembra farsi tovaglia o viceversa, non c’è profondità ma bidimensionalità, è uno spazio emotivo che sebbene alleggerito con motivi decorativi appare selvaggio, è infatti il periodo Fauves per Matisse; anche la veduta dalla finestra non è naturale e appare poco luminosa. Quest’opera è considerata un’armonia-sinfonia di vivacità, personalmente mi riecheggia il caos, quello che avverrà da lì poco. Basta poco, per capire che fra le due opere che ritraggono la stessa stanza, vi è un abisso sulla percezione della realtà, una tranquilla e l’altra inquietante… provate ad immaginarvi di pranzare in questo luogo.

Ma già prima, altri artisti, avevano scorto l’amaro nello zucchero, ‘La colazione sull’erba’ di Manet, svela gli altarini di questa borghesia ipocrita, che vuole apparire godereccia ma intrisa di sani principi. I ricchi borghesi sfruttavano gli operai, ma alle operaie carine, alle sartine, alle ballerine dell’Opera di Parigi offrivano protezione in cambio di favori sessuali… ma non si dice, si fa, ma non si dice, questo è lo scandalo creato da Manet. 

Édouard Manet- Colazione sull’erba-1863- Museo d’Orsay- Parigi 

Altri artisti colgono le incongruenze, le ingiustizie e ci dicono che l’Ottocento è sì il secolo della patata che diventa sempre più importante per risolvere i problemi della scarsità di cibo, in particolare per gli irlandesi e i tedeschi, ma in ‘I mangiatori di patate’, un dipinto del pittore olandese Vincent van Gogh, questi mangiatori si trovano in un interno oscuro e fatiscente dove persone abbruttite dal lavoro hanno al centro della tavola solo un gran piatto di patate… non manca il caffè, ho già scritto che questa bevanda costava poco ed era accessibile a tutti.

Vincent Van Gogh-I mangiatori di patate- 1885- Van Gogh Museum

E Degas ci mostra che la società ideale e felice non esiste, dietro a tanti sorrisi vi è anche il non senso della vita di corsa, dell’avere sempre di più, quasi che tutta questa energia ottocentesca non servisse ad altro che a riempire un vuoto interiore, l’horror vacui, il terrore del vuoto… la bevitrice d’assenzio ha lo sguardo assente, sembra assai depressa, così si beve un bicchiere di liquore verde, l’assenzio, alcol a basso costo che divenne una piaga tanto che nel 1915 venne proibita la vendita… sembra quasi non ci sia scampo, il benessere economico senza virtù morale o sentimento genuino del sacro scivola nel vizio-depressione-horror vacui. (Continua)

Edgar Degas-L’assenzio-1875-Museo d’Orsay, Parigi

Il cibo nell’arte XXIX parte

Nel Settecento vi furono molti cambiamenti nell’alimentazione, in particolare per la popolazione, cibi come il mais e la patata, inizialmente considerati solo per l’alimentazione animale, si diffondono un po’ ovunque anche perché si raccomandava la loro coltivazione per prevenire le carestie, sono cibi alla portata delle classi popolari e assai gustosi, col mais si fanno polente, divenne l’alimento base soprattutto in Italia settentrionale, anche il pomodoro sino ad allora coltivato come pianta ornamentale venne utilizzato come cibo e diffuso in particolar modo nell’Italia meridionale dove grazie alle lunghe giornate di sole si inizia a produrre la pasta essiccata, polenta al Nord e pasta al pomodoro al Sud una tradizione che vale tutt’oggi.

Scuola di Martin van Meytens-L’incoronazione di Giuseppe II a Francoforte-1764

Le patate non solo erano cibo per la gente comune, piacevano un po’ a tutti e nel ‘700, a Parigi divennero di gran moda, come accade anche oggi, venivano vendute in cartocci come cibo da passeggio.

Il caffè era l’altra grande moda, era alla portata di tutti, del resto anche oggi il caffè ha un costo molto abbordabile, diversamente la cioccolata aveva un costo elevato ed era riservata alla sola aristocrazia.

Jean Baptiste Simeon Chardin- Le Bénédicité-1740

Ho già scritto che nel Seicento vi erano una serie di artisti specializzati in nature morte con gli alimenti e il cibo dei ceti inferiori, in particolare della tavola della nascente borghesia, artisti che ritroviamo nei Paesi Bassi, in Spagna e in Italia, molto meno nella corte francese dove la differenza tra la tavola aristocratica e quella borghese si acuisce, un borghese per quanto ricco non avrebbe mai potuto aspirare ad avere la raffinatezza e la nobiltà di maniere di un aristocratico, per vedere un cambiamento occorre aspettare la fine del secolo e la rivoluzione.

Jean-Baptiste Siméon Chardin-Cesto di fragole-1761, olio su tela- Collezione privata

In Francia c’è una corte edonista e frivola e non ritroviamo pittori che si dedicano al tema dei pasti del contadino, il pane col salame, la cipolla e il fiasco di vino, eppure c’è un pittore che al pari dell’olandese Jan Veermer è in grado, tramite un’impalpabile luce soffusa e tremula, di realizzare nature morte con fragole e pani o di riprendere una cuoca o una semplice colazione creando un’aura dignitosa, quasi sacra, assai distante dalle scene di genere e dalle nature morte spagnole, fiamminghe o italiane sempre un poco caricaturali o gradasse… questo pittore è Chardin.

Jean-Baptiste Siméon Chardin – La brioche- 1763-Museo del Louvre

Jean-Baptiste-Siméon Chardin (1699-1779) è famoso soprattutto per le nature morte, create con uno stile leggero ed evanescente, tuttavia scevro dalla frivolezza adulterante del Rococò che era di moda alla corte francese del Settecento. I soggetti di Chardin, scene della vita quotidiana del popolo e nature morte, sono nella classificazione artistica di livello assai inferiore del genere storico ma Chardin raggiunge con la sua bravura livelli talmente alti che è considerato come uno dei maggiori artisti francesi del XVIII secolo.

Jean-Baptiste Siméon Chardin-Natura morta con trancio di salmone- 1730-Musée Granet

Chardin fu apprezzato non solo dalla borghesia, che riconosceva in lui un realismo sincero ma anche dall’aristocrazia, Luigi XV era un suo fervente ammiratore, come lo fu Denis Diderot, come pure fu ammirato dai posteri, da artisti come Cézanne e Morandi, autori di nature morte altrettanto iconiche.

Jean-Baptiste Siméon Chardin- La cuoca-1740- Alte Pinakothek-Monaco

Chardin dipinge con colori terrosi imbevendoli con una luce che fa tremolare il tutto, un qualcosa che a che fare col ricordo, come un piatto che ci ricorda la nonna, un gusto lontano che da olfatto diventa sensazione, emozione, che accende involontariamente la memoria, Proust davanti alla ‘Razza’ di Chardin restò talmente colpito da scrivere… e voi potete ammirare la bellezza della sua architettura delicata e grandiosa, colorata di sangue rosso, di nervature turchine e di muscoli bianchi, come la navata di una cattedrale policroma. (Continua)

Jean-Baptiste Siméon Chardin-La razza-1727- Museo del Louvre

Il cibo nell’arte XXVIII parte

Se nel Seicento fu il cuoco francese La Varenne che col suo libro di ricette ‘Le cuisinier François’ influenzò tutta la gastronomia europea delle grandi corti, nel XVIII secolo un altro chef francese, Manon scrive un ricettario dedicato alla cucina dei borghesi ‘La cuisinière bourgeoise’ che ebbe un grande successo. Questo cuoco di cui non si conosce che il soprannome Manon, recuperò e reinventò piatti della tradizione regionale e popolare, cercando di qualificarli in alta cucina. Un manuale di ricette rivolto alle cuoche, alle massaie con un occhio anche alla spesa, ristampato più volte.  

Nelle tavole aristocratiche entrano i cibi afrodisiaci come le ostriche accompagnate da champagne, ma ci sono pittori come Giacomo Ceruti (1698-1777) conosciuto come il Pitocchetto appunto perché raffigura i pitocchi ovvero i poveri e i mendicanti che rappresenta il cibo di tutti i giorni, quello della gente comune.

Giacomo Ceruti- Natura morta con pane, salame e noci-Pinacoteca di Brera -Milano

La sua ‘Natura morta con pane, salame e noci’ rappresenta un pasto frugale ma che doveva essere assai gustoso per i miseri anche perché accompagnato da una brocca di vino rosso, bevanda che piace assai anche al pitocco che magari così dimentica per un poco la sua triste condizione… le noci, i fichi, le castagne erano per i poveri il cibo della provvidenza perché aiutavano a passare le ristrettezze dell’inverno, quest’idea è pervenuta sino a noi, in quanto tutt’oggi si ricordano le castagne come il pane dei poveri e ben si conosce l’apporto di energia che hanno fichi e noci.

Giacomo Ceruti- Natura morta con testa di maiale-anatra-volatili- cavolo e frattaglie

Seppur più noto per i ritratti della gente umile, dei poveri e dei mendicanti, Ceruti eccelse anche con le nature morte, le sue composizioni alimentari ci mostrano che la cucina povera, era sì assai grassa, testine di maiale e frattaglie, che al tempo erano considerati scarti, ma era assai gustosa, non mancano i salumi e le grandi porzioni di formaggio stagionato, frutta e succosi meloni maturi, talmente succosi che quasi paiono sbocciare e poi vino in bottiglia e in fiaschi panciuti. 

Giacomo Ceruti- Cesto con fiaschi di vino, melone e pane

Eh sì il vino piaceva molto come possiamo vedere dall’opera di Vittore Ghislandi (1655-1743), meglio noto come Fra Galgario, un pittore bergamasco che poi si spostò Venezia dove si fece frate, il soprannome gli fu dato perché morì nel Convento del Galgario di Bergamo. Fra Galgario è noto soprattutto per i ritratti assai naturalistici, nell’opera, ‘Ritratto con il bicchiere di vino’ il ragazzo effigiato appare assai felice di bersi il bicchiere di vino e contento del suo povero pasto, un pezzo di pane e una cipolla… comunque lo vediamo bene in carne, certamente era solito mangiare più abbondantemente.

Vittore Ghislandi detto Fra Galgario- Ritratto con il bicchiere di vino

Giuseppe Recco (1634-1695) fu l’esponente più famoso di una famiglia di pittori napoletani, realizzò molte nature morte e lavorò sia a Napoli che in Spagna dove fu chiamato da Filippo IV e poi da Carlo II. Sebbene sia ricordato come specializzato nelle nature morte di cacciagioni, uccellami, pesci tuttavia pare che sia l’autore anche della prima testimonianza del casatiello.

Giuseppe Recco- Pani, prosciutto, casatiello e ghiacciata- Collezione privata 

Il casatiello è una torta salata che fa il paio, come tradizione napoletana, con la pastiera, entrambi sono preparazioni culinarie del periodo pasquale. Da questo dipinto possiamo ipotizzare che anche la popolazione mangiasse sostanziosamente e gustosamente, pane, prosciutto e il casatiello: una torta ripiena di formaggio, salame, ciccioli e uova. (Continua)     

Il cibo nell’arte XXVII parte

Il Settecento è il secolo dei Lumi e della Rivoluzione Francese, vi sono molti cambiamenti culturali anche nella cucina e negli alimenti vi è una trasformazione, la Francia continua a primeggiare ma se nel Seicento vi era la gastronomia aristocratica contrapposta a quella semplice dei popolani, ora si affianca la cucina della borghesia, meno raffinata di quella dei nobili, ma ricca di carne e con la stessa passione per le bevande come caffè, the e cioccolata, continuando l’uso degli alcolici quali il vino, la birra e il sidro.

Pietro Longhi-Il banchetto a Casa Nani, nominato in onore del loro ospite, Clemente Augusto, arcivescovo elettore di Colonia, il 9 settembre 1755

Pietro Longhi (1702 –1785) è un pittore veneziano molto noto per le sue scene di genere assai realistiche, ritrae gli eventi, le occasioni e i modi dell’aristocrazia veneziana ma soprattutto riprende le scene di vita quotidiana del popolo e dei borghesi. Così è possibile mettere a confronto lo svolgimento di un banchetto con quello di un pranzo quotidiano in villa o il momento in cui il nobile era ospite di un suo fittavolo durante un pranzo contadino, i dipinti testimoniano anche l’usanza dell’aristocrazia veneziana che durante l’estate si spostava in campagna, presso le ville che si erano costruiti sul Brenta, oggi Patrimonio Unesco.

Pietro Longhi- Pranzo in villa- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Longhi ritrae principalmente la borghesia veneziana, ma al suo sguardo vorace e curioso non sfugge nulla, con un’attenzione ai particolari assai precisa e meticolosa, dai salotti dei nobili, agli svaghi e ai pranzi dei borghesi, alla gente comune come le lavandaie o ad una tavolata dove si impiatta la polenta, dipinge una cronaca dove i personaggi ci appaiono come figurine di un laico presepe rococò; al Barocco imponente e ridondante, si sostituì l’effimero Rococò, che dalla corte di Re Luigi XV si diffuse in tutta l’Europa del Settecento… Rococò in cui tutto, a partire pure dal nome, appare come un sogno leggero e vezzoso.

Pietro Longhi- Pranzo in campagna- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Longhi ritrae anche tutta una serie di personaggi che arrivavano durante il carnevale, cavadenti, maghi, e ciarlatani e poi i divertimenti, le curiosità e le stranezze, un suo famoso dipinto raffigura un grosso animale, questa volta non come cibo ma come attrazione esotica, un rinoceronte chiamato Clara arrivato dall’India per il carnevale del 1751.

Pietro Longhi- Il rinoceronte- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Le opere del Longhi ci appaiono vive e teatrali, quasi come un film, anzi come scene teatrali, visto che il Settecento è il secolo di Goldoni di cui Longhi era grande amico.

Osservando le scenette di Longhi si intuisce ciò che avviene anche in altri luoghi alla moda, infatti Venezia in questo periodo stava vivendo anni luminosi e influenzava il gusto e la moda con l’arte del lusso, della musica e del teatro, fu un po’ il canto del cigno perché alla fine del secolo con Napoleone e il Trattato di Campoformio si concluse la lunga storia della Serenissima.

Pietro Longhi- La polenta- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Relazioni e scambi fra Venezia e Parigi furono frequenti, lo stesso Goldoni nel 1762 si trasferisce a Parigi e arriva a Versailles dove riesce a stupire la modaiola corte francese che si aspettava la commedia dell’arte ‘classica’ (zeppa di maschere e di recitazione surreale ed improvvisata) e si trovò di fronte la sua riforma del teatro che riproduceva platealmente la società contemporanea… il teatro verosimile.

Jan Baptist Lambrechts- banchetto e scena di danza- inizio XVIII secolo

Seppur lontani gli ambienti e i riti si assomigliavano, il fiammingo Jan Baptist Lambrechts (1680 -1731) rappresenta le scene di vita quotidiana del Nord Europa e non vi si trovano grosse differenze con le scenette del Longhi, se non che quest’ultimo era dotato di una tecnica più precisa e intrigante.  (Continua)

Il cibo nell’arte XXV parte

Ci sono certe nature morte-vanitas che appaiono assai cupe e minacciose nel loro inquietante realismo, se le pensiamo appese in sala da pranzo penso che tolgano se non la fame di sicuro il piacere della tavola, come ad esempio quelle dipinte da Harmen Steenwijck, (1612 -1656) un pittore del secolo d’oro olandese che si è concentrato principalmente su nature morte-vanitas.  

Harmen Steenwijck- Natura morta- vanitas con teschio, libri e frutta

Non si capisce bene il mostrare da parte degli olandesi questa profusione di nature morte-vanitas raffiguranti tavolate con tovaglie damascate, ricche di stoviglie preziose e di ogni ben di dio di cibo, con ovvio riferimento alla loro ricchezza benvoluta dal Signore, ma con questo sentimento della caducità della fortuna, quasi una premonizione. Gli olandesi li potremmo anche chiamare i primi capitalisti, visto che la coltivazione dei tulipani in Olanda causò la prima bolla speculativa: tutti convinti che i prezzi dei bulbi avrebbero continuato la salita all’infinito: nei primi anni del Seicento un bulbo di tulipano di una varietà pregiata poteva costare come un palazzo signorile, tutti pazzi, tutti investitori, poi ci fu il crollo nel 1637, i bulbi come una bolla punta da uno spillo sgonfiarono di valore d’un botto, fu una catastrofe finanziaria ed economica terribile.

Floris van Dyck- Parte di banchetto- 1622

In contrapposizione alle vanitas coi teschi e coi rimandi alla caducità della vita, ci sono i pittori specializzati in  banchetti o le cosiddette piccole colazioni, che sono come dei ricchi buffet o tavole imbandite, tanto realistiche da far aumentare la saliva in bocca per l’acquolina, trionfi per gli  occhi che solleticano i trionfi per lo stomaco e che ci fanno pensare alla ricchezza della borghesia protestante, la cui etica era fondata sul lavoro come vocazione religiosa, il successo e la ricchezza significavano essere apprezzati da Dio.

Pieter Claesz- Natura morta con torta e tacchino- 1627

Il Seicento per l’Olanda fu un periodo florido, il commercio, le scienze e le arti olandesi primeggiavano in Europa, non solo il ricco viveva bene, ma tramite le opere che ci ha lasciato Jan Steen (1626 -1679) un pittore olandese che mostra un’insolita ironia, possiamo notare che anche le classi medie e basse della società se la passavano bene, tanto che una sua opera è intitolata ‘La famiglia felice’… tuttavia Steen  lascia intendere che il troppo riempirsi la pancia porti al vizio, invitando piuttosto alla moderazione che a copiare questi atteggiamenti.

Jan Steen- La famiglia felice-1668

Una delle scene di genere più famose, luminose e palpitanti è il dipinto ‘La lattaia’ di Jan Vermeer (1632 – 1675) un pittore arcinoto in grado di ottenere colori trasparenti e luminosi, quasi brulicanti, con un impianto geometrico tale da rendere la lattaia quasi mistica, avvolta dal sontuoso grembiule blu egizio, mentre tranquilla e assorta versa a filo il latte nell’orcio preparando una sana colazione, quel pane e quel latte che ci ricorda la nostra infanzia. 

  

  (Continua)   

Jan Vermeer -La Lattaia- Rijksmuseum-Amsterdam