Il cibo nell’arte XXXVI e ultima parte

Dalla Pop Art, dal cibo seriale, inscatolato e commerciale della zuppa Campbell’s di Andy Warhol, più o meno negli stessi anni, arriva l’Arte Concettuale, che ritiene l’idea e il concetto primari sul risultato visivo ed estetico di cui Piero Manzoni è l’artista più noto, anche per aver inscatolato la sua Merda d’artista, intendendo che con la pubblicità si possa vendere di tutto sia nel mondo dell’arte che in quello alimentare. Nel 1960 organizzò un evento ‘Achrome marketing delle galline’ dove gli spettatori erano invitati a mangiare delle uova sode timbrate con le impronte digitali di Manzoni, l’artista crea e questa creazione viene mangiata… non solo la visione ma addirittura l’opera viene mangiata… quasi fosse un’ostia sacralizzata dall’imbonitore- pubblicitario-artista.

 

Piero Manzoni-Panini e caolino-Achrome-1962

‘Achrome’, che significa senza colore, sono una serie di opere di Manzoni in cui  la superficie della tela bianca è impregnata soltanto di caolino, un’argilla bianca che solitamente si usa per preparare la tela, quindi un azzeramento della pittura e ricerca di altro, del concetto di assoluto, di qualcosa che non dipendente da nient’altro; inizialmente le opere hanno increspature più o meno in rilievo, successivamente Manzoni realizza una serie di ‘Achrome’ dove sulla tela incolla rosette di pane coprendole completamente col caolino… cosa voleva dire?

Sacralizzare il pane che a noi pare un’ovvietà?

Magari pensando alla rivolta del pane di cui il suo avo più famoso parla nei Promessi sposi?

Forse pensando a quanto è stato importante il pane prima del consumismo, alla sua sacralità di un tempo?

Non si sa, con l’arte concettuale tutto è possibile perché assimila e ingloba più significati.

  

 Mele cadute-1968- Piero Gilardi

Sempre attorno agli Anni Sessanta nasce in Italia il movimento artistico dell’Arte Povera, così chiamata per i materiali umili che gli artisti usavano, come cartapesta, stracci, o materiali riciclati; si opponevano all’arte tradizionale, ricercando l’essenzialità e relazionandola con la società contemporanea.

Dell’Arte Povera fa parte anche quella chiamata Ecologica o Sostenibile, questi artisti realizzano opere d’arte che affrontano il problema climatico e ambientale o creano opere tramite riciclo di materiali inquinanti. Piero Gilardi è un pioniere di questa arte, realizza alla fine degli Anni Sessanta i famosi ‘Tappeti Natura’ in poliuretano espanso riproducendo erba, piante e frutti che oltre che ad essere visivamente realistici lo sono anche al tatto ciononostante non sono naturali ma artificiali.

Il binomio natura-cultura di cui si occupa Gilardi, non solo influisce sull’ambiente ma anche individualmente su ogni individuo. Il cibo che mangiamo oggi è diverso da quello dei nostri nonni, certo abbiamo più varietà, più facilità nella conservazione, ma… patatine fritte, ogni sorta di snack, merendine, bibite gasate, il cosiddetto cibo spazzatura oltre a fare male crea dipendenza, ne mangiamo troppo, senza contare il pranzare in piedi velocemente con un panino che crea stress, che crea tutta una serie disturbi, senza dimenticare l’effetto degli OGM, che se pro o contro lo sapremo solo col tempo.

Daniel Spoerri- tableau-piège

Oggi che il cibo è un mito osannato con decine di programmi televisivi, di riviste, di ricettari di ogni genere da quello della nonna a quello dei grandi chef, sui social un’invasione di cucinieri più o meno esperti… poteva mancare Eat Art?    

Daniel Spoerri è un eclettico (ballerino, coreografo, scenografo, regista di teatro e di cinema, autore, editore, guida turistica, insegnante, ristoratore) artista nato nel 1930 in Romania e naturalizzato in Svizzera, è l’inventore della Eat Art ben prima che scoppiasse il boom culinario, già dal 1967 Spoerri iniziava una riflessione critica sul cibo.

Daniel Spoerri -tableau-piège

Negli anni Sessanta Spoerri cominciò a comporre gli ormai celebri tableau-piège, i quadri-trappola, ovvero incolla degli oggetti così come li trova sul tavolo da pranzo, piatti, bicchieri e avanzi di cibo che eternizzano    il momento del pranzo e della cena, diventano natura morta che viene appesa al muro, nature morte che chiamerà Eat art.

Ciò che importa a Spoerri non è la natura morta in sé stessa, ma l’atto del mangiare che lascia resti che vanno in putrefazione (memento mori) o inquinano: gli avanzi di cibo, lo sporco che l’uomo lascia nella natura, butta la carta per terra, i mozziconi delle sigarette, le bottiglie di plastica (oggi molto meno ma negli Anni Sessanta-Settanta non era così) Spoerri anticipa l’ecologismo e il salutismo, registra il passaggio dell’uomo che si siede a tavola, mangia e lascia i resti di cibo che Spoerri immortala… come noi un giorno saremo nient’altro che resti in decomposizione, come il cibo.

Carl Warner-Foodscapes- Fotografia

Ma non voglio certo chiudere questi quattro passi sulla storia dell’arte del cibo con la relazione di quest’ultimo con la morte, nel senso che oggi si parla molto di cibo, di cucina, ristoranti ecc. perché i tempi incerti ci fanno sentire di più il senso di morte, orribile ma è un dato di fatto, c’è chi per i like testimonia giorno per giorno il digiuno o il mangiar poco o all’opposto grandi abbuffate, rischiando la salute e forse anche la vita, non mi piace lasciare questo messaggio… vi lascio con i Foodscapes.

Carl Warner-Foodscapes- Fotografia

Per sensibilizzare una dieta più sana ed equilibrata, Carl Warner un fotografo inglese contemporaneo realizza i ‘Foodscapes’, cioè crea dei paesaggi gastronomici realizzandoli tramite alimenti freschi che a lavoro ultimato fotografa come testimonianza. (Fine)

Il cibo nell’arte XXXV parte

Lo statunitense Andy Warhol raffigura scatole di ‘Zuppa Campbell’, cibo seriale, commerciale, che se negli Anni Sessanta era ben visto e di moda oggi all’opposto è biasimato da una parte di popolazione che critica la globalizzazione e l’omologazione dei gusti e che ricerca cibo a chilometro zero e produzioni di stagione,   l’altra parte critica ugualmente ma gli è più comodo frequentare i fast-food per evitare di cucinare e per spendere poco.

Andy Warhol- Campbell’s soup – 1962

Il cibo in scatola di Warhol e le sue bottigliette di coca cola ribadiscono il concetto di riproducibilità dell’arte che non è più un’opera unica ma è seriale e meccanica così come è diventato seriale e ripetitivo il gusto alimentare nella cultura di massa… la Pop Art nasce negli Anni cinquanta negli Stati Uniti, nel 1964 arriva alla Biennale di Venezia ed è boom.

Andy Warhol- Coca-Cola – 1962

A questa visione commerciale del cibo inscatolato di Warhol si contrappone ‘Vucciria’ il dipinto che Renato Guttuso realizza nel 1974 raffigurando lo storico mercato di Palermo, uno spazio riempito all’inverosimile di frutta, verdura, salsicce, uova, addirittura un mezzo bue e un coniglio appena scuoiato appesi a dei ganci. Un trionfo alimentare per gli occhi e la gola senza nessuna ideologia vegana o vegetariana. 

    

Renato Guttuso- Vucciria- 1974-Palazzo Chiaramonte-Steri – Palermo

È un dipinto che è lontano da noi di qualche decina d’anni, ma qui non vi è nessun senso di colpa per gli animali uccisi, qui il cibo si mostra nella sua opulenza barocca che ci colpisce per colore e vivacità; d’altronde il mercato è un qualcosa che nasce addirittura nel Neolitico, è un qualcosa che è nel nostro inconscio collettivo… se ci pensate acquistiamo ancora al mercato che a ben vedere non ha le norme igieniche a cui ormai siamo abituati.

Luciano Ventrone-Il dono di Bacco- 2011

Sulla stessa via del trionfo del cibo di Renato Guttuso si affianca Luciano Ventrone il pittore romano che fa parte dell’Iperrealismo che come dice la parola è troppo reale, tanto da diventare astratto, un qualcosa d’altro, la tecnica di Ventrone è sbalorditiva tanto che Federico Zeri lo definì il Caravaggio del XX secolo.

 Luigi Benedicenti- Pasticcini

Luigi Benedicenti altro pittore questa volta torinese, strettamente legato al movimento dell’Iperrealismo, è noto soprattutto per i suoi dipinti di fette di panettone o di pasticcini. Come Ventrone ha una bravura che ci lascia stupiti, i suoi dolci fanno pensare alla mancanza di dolcezza umana, che latita in questo mondo di cattive maniere, più indifferente che maleducato. Il gusto dolce piace più o meno a tutti, il dolce ci fa pensare alla madeleine di Proust, al panettone che si mangiava solo a Natale, alla ciambella della nonna, al latte della madre: i cibi ricchi di zuccheri, aumentano la serotonina, l’ormone del buonumore.

Luigi Benedicenti- Panettone

L’ Iperrealismo di Ventrone e Benedicenti, superano il realismo e quindi vogliono dire qualcosa d’altro, se il primo ci fa pensare col rigore compositivo alla solitudine e il secondo alla dolcezza come mancanza di qualcosa, un altro pittore, Giorgio Morandi questa volta un bolognese, è un’artista che non ha niente a che fare con l’Iperrealismo, tuttavia con pochi tocchi di colori neutri e terrosi, realizza nature morte metafisiche e silenziose… le sue nature morte, in particolare le bottiglie, ci appaiono quasi come gruppi di uomini e donne solitari e arresi all’immensità dell’universo.

Giogio Morandi- Natura morta-1952

(continua)

Il cibo nell’arte XXXIV parte

Dalla metà del Novecento si ha un rapporto col cibo ambivalente, alimenti in quantità in una parte del mondo, fame nell’altra, da una parte problemi di salute causa obesità, dall’altra mortalità e malattie causa insufficienza alimentare, da una parte aumentano i disturbi alimentari legati alla cultura, alla moda dei tempi, anoressia e bulimia. Non mangiare o abbuffarsi sino a morire, perché si è soli dentro, una solitudine in cui non c’è più nessuna certezza che ci aiuti, una solitudine dove non sappiamo più chi siamo… stomaco e cervello, si condizionano a vicenda, due cervelli o meglio due sistemi nervosi che interagiscono, c’è anche l’ipotesi di una relazione tra l’am  legato al cibo, la sillaba con cui si invita il bambino piccolo a mangiare, e l’am radice dei sostantivi amicizia e amore.

Egon Schiele-Autoritratto con alchechengi -1912- Leopold Museum- Vienna

Oggi sappiamo dell’importanza del cibo anche per la nostra psiche, il cibo ci conforta e riempie i vuoti emotivi, eppure nonostante sappiamo questo mangiamo spesso cibo spazzatura e nonostante l’inflazione gastronomica di cuochi, influencer, critici culinari in tv o sui social abbiamo problemi di salute legate alla cattiva o troppo abbondante alimentazione e siamo sempre più infelici.

Egon Schiele-1911- Natura morta con fiori e panni colorati-Gallerie d’Arte Moderna-Praga

Nelle opere degli artisti del Novecento troviamo tutte queste contraddizioni, e spesso le troviamo prima che si diffondano: il pittore austriaco Egon Schiele raffigura uomini e donne scheletriche rattrappite e contorte, la stessa linea tagliente e spiegazzata la usa nelle nature morte. Dai piani alti a quelli bassi, la depressione un tempo male per ricchi oggi attraversa tutti gli strati della popolazione, Oliviero Toscani nel 2007 fotografa una ragazza anoressica nuda, una foto che è come un pugno nello stomaco, la modella morirà qualche anno dopo a soli 28 anni, per contro Fernando Botero, pittore e scultore colombiano, presenta dei tondi e grassi personaggi che richiamano il problema odierno dell’obesità dei paesi occidentali

Fernando Botero- Picnic- 1998

Salvador Dalí icona del Surrealismo, anche se fu cacciato dal gruppo, aveva un’ossessione esagerata per il cibo, a sei anni voleva fare il cuoco, poi cambiò idea ma l’idea fissa del cibo restò, diceva che si sentiva vivo e forte quando mangiava un morto, intendeva una beccaccia o un altro alimento animale, provava piacere nel succhiare i crani e il midollo, quasi andando all’uomo preistorico, quando ancora non era cacciatore ma si cibava di carogne e si cibava di midollo osseo e scarnificava le teste. ‘Les dîners de Gala’ è un libro da lui realizzato dedicato ai piaceri del gusto, in cui scrive le ricette e raffigura i cibi afrodisiaci e fantasiosi   accompagnate dalle sue stravaganti riflessioni, delle favolose cene che organizzava sua moglie Gala.

Salvador Dalì-Uova sul piatto-1932

Gran parte della pittura di Dalì è gastronomica, spermatica, esistenziale, lo diceva lui stesso, vi troviamo telefoni con la cornetta a forma di astice oppure uova fritte al tegamino, Dalì diceva che nella sua mente persisteva il ricordo di quando era nel ventre della madre che coincideva con la visione di due uova fritte, che si muovevano assieme a lui nel liquido amniotico.

Philippe Halsman, un fotografo statunitense assai originale, ascoltando un’intervista di Dalì in cui parlava dei suoi ricordi mentre era nella pancia della madre, gli chiese di posare per una foto… Dalì come un embrione dentro un uovo.

Philippe Halsman- Dalì come uovo-1942

Se per Dalì le uova erano tanto importanti altrettanto lo era il pane che Dalì riteneva ‘rivoluzionario’, voleva elevarlo a oggetto artistico, sovvertire l’dea del pane come sopravvivenza dei poveri, ribaltare il concetto, renderlo eucaristico nel profano, così nel 1934 girò per giorni a New York portando sotto il braccio una baguette di due metri, ma restò deluso dall’indifferenza della gente; nel 1958, sfilò con una baguette lunga 12 metri, accompagnato da fornai tutti coi baffi perché assomigliassero a lui; nel 1971 Dalí  si fece costruire una camera da letto tutta in pane, oggi di questo arredamento  è rimasto soltanto il lampadario, che ogni tanto deve essere restaurato con nuove parti. 

 Salvador Dalì- Casa Teatro con Torre Galatea (dove si trova la sua tomba)-Museo di Figueres-Spagna

In una delle sue opere più famose, ‘Memoria persistente’ raffigura lo scorrere del tempo che, per lui non è quello scandito e misurabile dell’orologio bensì avvicinandosi al pensiero di filosofi come Bergson e scrittori come Proust è in realtà qualcosa che è relativo alla percezione soggettiva, qualcosa che si può dilatare se emoziona e cattura coi sensi, ebbene Dalì immagina gli orologi come dei formaggi Camembert che si sciolgono… il gusto del cibo fa scordare il passare del tempo, porta in un’altra dimensione.

Salvador Dalì – La persistenza della memoria- Museum of Modern Art di New York

(Continua)

Il cibo nell’arte XXIX parte

Nel Settecento vi furono molti cambiamenti nell’alimentazione, in particolare per la popolazione, cibi come il mais e la patata, inizialmente considerati solo per l’alimentazione animale, si diffondono un po’ ovunque anche perché si raccomandava la loro coltivazione per prevenire le carestie, sono cibi alla portata delle classi popolari e assai gustosi, col mais si fanno polente, divenne l’alimento base soprattutto in Italia settentrionale, anche il pomodoro sino ad allora coltivato come pianta ornamentale venne utilizzato come cibo e diffuso in particolar modo nell’Italia meridionale dove grazie alle lunghe giornate di sole si inizia a produrre la pasta essiccata, polenta al Nord e pasta al pomodoro al Sud una tradizione che vale tutt’oggi.

Scuola di Martin van Meytens-L’incoronazione di Giuseppe II a Francoforte-1764

Le patate non solo erano cibo per la gente comune, piacevano un po’ a tutti e nel ‘700, a Parigi divennero di gran moda, come accade anche oggi, venivano vendute in cartocci come cibo da passeggio.

Il caffè era l’altra grande moda, era alla portata di tutti, del resto anche oggi il caffè ha un costo molto abbordabile, diversamente la cioccolata aveva un costo elevato ed era riservata alla sola aristocrazia.

Jean Baptiste Simeon Chardin- Le Bénédicité-1740

Ho già scritto che nel Seicento vi erano una serie di artisti specializzati in nature morte con gli alimenti e il cibo dei ceti inferiori, in particolare della tavola della nascente borghesia, artisti che ritroviamo nei Paesi Bassi, in Spagna e in Italia, molto meno nella corte francese dove la differenza tra la tavola aristocratica e quella borghese si acuisce, un borghese per quanto ricco non avrebbe mai potuto aspirare ad avere la raffinatezza e la nobiltà di maniere di un aristocratico, per vedere un cambiamento occorre aspettare la fine del secolo e la rivoluzione.

Jean-Baptiste Siméon Chardin-Cesto di fragole-1761, olio su tela- Collezione privata

In Francia c’è una corte edonista e frivola e non ritroviamo pittori che si dedicano al tema dei pasti del contadino, il pane col salame, la cipolla e il fiasco di vino, eppure c’è un pittore che al pari dell’olandese Jan Veermer è in grado, tramite un’impalpabile luce soffusa e tremula, di realizzare nature morte con fragole e pani o di riprendere una cuoca o una semplice colazione creando un’aura dignitosa, quasi sacra, assai distante dalle scene di genere e dalle nature morte spagnole, fiamminghe o italiane sempre un poco caricaturali o gradasse… questo pittore è Chardin.

Jean-Baptiste Siméon Chardin – La brioche- 1763-Museo del Louvre

Jean-Baptiste-Siméon Chardin (1699-1779) è famoso soprattutto per le nature morte, create con uno stile leggero ed evanescente, tuttavia scevro dalla frivolezza adulterante del Rococò che era di moda alla corte francese del Settecento. I soggetti di Chardin, scene della vita quotidiana del popolo e nature morte, sono nella classificazione artistica di livello assai inferiore del genere storico ma Chardin raggiunge con la sua bravura livelli talmente alti che è considerato come uno dei maggiori artisti francesi del XVIII secolo.

Jean-Baptiste Siméon Chardin-Natura morta con trancio di salmone- 1730-Musée Granet

Chardin fu apprezzato non solo dalla borghesia, che riconosceva in lui un realismo sincero ma anche dall’aristocrazia, Luigi XV era un suo fervente ammiratore, come lo fu Denis Diderot, come pure fu ammirato dai posteri, da artisti come Cézanne e Morandi, autori di nature morte altrettanto iconiche.

Jean-Baptiste Siméon Chardin- La cuoca-1740- Alte Pinakothek-Monaco

Chardin dipinge con colori terrosi imbevendoli con una luce che fa tremolare il tutto, un qualcosa che a che fare col ricordo, come un piatto che ci ricorda la nonna, un gusto lontano che da olfatto diventa sensazione, emozione, che accende involontariamente la memoria, Proust davanti alla ‘Razza’ di Chardin restò talmente colpito da scrivere… e voi potete ammirare la bellezza della sua architettura delicata e grandiosa, colorata di sangue rosso, di nervature turchine e di muscoli bianchi, come la navata di una cattedrale policroma. (Continua)

Jean-Baptiste Siméon Chardin-La razza-1727- Museo del Louvre

Il cibo nell’arte XXVII parte

Il Settecento è il secolo dei Lumi e della Rivoluzione Francese, vi sono molti cambiamenti culturali anche nella cucina e negli alimenti vi è una trasformazione, la Francia continua a primeggiare ma se nel Seicento vi era la gastronomia aristocratica contrapposta a quella semplice dei popolani, ora si affianca la cucina della borghesia, meno raffinata di quella dei nobili, ma ricca di carne e con la stessa passione per le bevande come caffè, the e cioccolata, continuando l’uso degli alcolici quali il vino, la birra e il sidro.

Pietro Longhi-Il banchetto a Casa Nani, nominato in onore del loro ospite, Clemente Augusto, arcivescovo elettore di Colonia, il 9 settembre 1755

Pietro Longhi (1702 –1785) è un pittore veneziano molto noto per le sue scene di genere assai realistiche, ritrae gli eventi, le occasioni e i modi dell’aristocrazia veneziana ma soprattutto riprende le scene di vita quotidiana del popolo e dei borghesi. Così è possibile mettere a confronto lo svolgimento di un banchetto con quello di un pranzo quotidiano in villa o il momento in cui il nobile era ospite di un suo fittavolo durante un pranzo contadino, i dipinti testimoniano anche l’usanza dell’aristocrazia veneziana che durante l’estate si spostava in campagna, presso le ville che si erano costruiti sul Brenta, oggi Patrimonio Unesco.

Pietro Longhi- Pranzo in villa- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Longhi ritrae principalmente la borghesia veneziana, ma al suo sguardo vorace e curioso non sfugge nulla, con un’attenzione ai particolari assai precisa e meticolosa, dai salotti dei nobili, agli svaghi e ai pranzi dei borghesi, alla gente comune come le lavandaie o ad una tavolata dove si impiatta la polenta, dipinge una cronaca dove i personaggi ci appaiono come figurine di un laico presepe rococò; al Barocco imponente e ridondante, si sostituì l’effimero Rococò, che dalla corte di Re Luigi XV si diffuse in tutta l’Europa del Settecento… Rococò in cui tutto, a partire pure dal nome, appare come un sogno leggero e vezzoso.

Pietro Longhi- Pranzo in campagna- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Longhi ritrae anche tutta una serie di personaggi che arrivavano durante il carnevale, cavadenti, maghi, e ciarlatani e poi i divertimenti, le curiosità e le stranezze, un suo famoso dipinto raffigura un grosso animale, questa volta non come cibo ma come attrazione esotica, un rinoceronte chiamato Clara arrivato dall’India per il carnevale del 1751.

Pietro Longhi- Il rinoceronte- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Le opere del Longhi ci appaiono vive e teatrali, quasi come un film, anzi come scene teatrali, visto che il Settecento è il secolo di Goldoni di cui Longhi era grande amico.

Osservando le scenette di Longhi si intuisce ciò che avviene anche in altri luoghi alla moda, infatti Venezia in questo periodo stava vivendo anni luminosi e influenzava il gusto e la moda con l’arte del lusso, della musica e del teatro, fu un po’ il canto del cigno perché alla fine del secolo con Napoleone e il Trattato di Campoformio si concluse la lunga storia della Serenissima.

Pietro Longhi- La polenta- Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento veneziano

Relazioni e scambi fra Venezia e Parigi furono frequenti, lo stesso Goldoni nel 1762 si trasferisce a Parigi e arriva a Versailles dove riesce a stupire la modaiola corte francese che si aspettava la commedia dell’arte ‘classica’ (zeppa di maschere e di recitazione surreale ed improvvisata) e si trovò di fronte la sua riforma del teatro che riproduceva platealmente la società contemporanea… il teatro verosimile.

Jan Baptist Lambrechts- banchetto e scena di danza- inizio XVIII secolo

Seppur lontani gli ambienti e i riti si assomigliavano, il fiammingo Jan Baptist Lambrechts (1680 -1731) rappresenta le scene di vita quotidiana del Nord Europa e non vi si trovano grosse differenze con le scenette del Longhi, se non che quest’ultimo era dotato di una tecnica più precisa e intrigante.  (Continua)

Il cibo nell’arte XXVI parte

In Spagna la natura morta venne chiamata bodegon e tra gli interpreti più noti troviamo Francisco de Zurbarán e Juan Sánchez Cotán.  Francisco de Zurbarán(1598-1664), è stato uno dei più grandi della pittura spagnola, le sue opere di arte sacra sono piene di luce e di misticismo, le sue Sante sono magnificamente vestite con una bellezza e una grazia che le rendono iconiche: reali e allo stesso tempo astratte, tutto questo lo si ritrova anche nei suoi bodegones dove gli oggetti, i frutti, le verdure e altro appaiono assai reali ma intrisi di una luce strana, irreale e remota che grazie ad una geometria dello spazio assai misurata ci invita ad andare oltre al significato di ciò che vediamo… un qualcosa d’altro che semplici limoni e arance.

Zurbarán – Natura morta con limoni, arance e una rosa-1633- Norton Simon Museum di Pasadena

Juan Sánchez Cotán (1561 1627) anche le nature morte di questo artista spagnolo appaiono strane e spirituali, quasi come quelle di Zurbarán, il suo realismo quasi iperrealista, il suo stile sobrio e austero rende i suoi bodegones come in attesa, forse perché Cotán molto spesso sospende i frutti, le verdure o i volatili con dei sottili fili quasi fossero marionette, ma in attesa di cosa? Nel 1603 Cotán sebbene fosse un artista assai noto e ben quotato decise di diventare monaco entrando nella Certosa di Granada.

Juan Sánchez Cotán-  Mela cotogna, cavolo, melone e cetriolo-1602- San Diego Timken Museum of Art

Dopo la supremazia rinascimentale italiana nei banchetti e nelle raffinatezze della tavola, nel Seicento, secolo del barocco trionfale e dell’esagerazione delle forme, il primato passò alla grande cucina francese, dove si diffondono i prodotti giunti dal nuovo mondo come il cacao e il caffè, si elaborano salse e si preparano dessert e dolci, ciò fu possibile anche grazie a Caterina de’ Medici che sposa del futuro re di Francia Enrico II, portò con sé cuochi, pasticceri e tutta una serie di artisti della tavola.

Esteban Murillo-Ragazzi con meloni e grappoli d’uva-1645-/1655 circa – Pinacoteca di Monaco

Certo c’è un’enorme differenza fra la tavola aristocratica con cibi raffinati ed elaborati e quella della gente comune costituita da alimenti semplici come zuppe, farinate, polenta, fagioli, uova e pane scuro di segale, ma tale differenza ebbe una forbice più ampia in Spagna.

Il Seicento fu detto secolo d’oro non solo in Olanda ma anche in Spagna dove l’aristocrazia abbondava di ricchi banchetti, ma i ceti bassi erano alla fame, tanto che fu proprio in Spagna che nacque il romanzo picaresco dove il pícaro è un mendicante, un popolano che si ingegna in tutti i modi per raccattare qualcosa da mangiare e per sopravvivere diventando una specie di antieroe, una simpatica canaglia. In Spagna vi era una precarietà e una miseria che il pane di segale, veniva a volte impastato con delle erbe, che a volte non erano commestibili e il vino, di cui si abusava, veniva allungato con acqua che non era potabile con tutte le conseguenze del caso.  Bodegon è chiamata anche la scena di genere, pittori famosissimi come Esteban Pérez Murillo (1618 -1682) e Diego Velázquez (1599-1660), sono tra le figure più rappresentative della pittura barocca spagnola del Seicento, hanno raffigurato la vita quotidiana di questi pícari, zingarelli o mendicanti. Murillo sebbene si sia dedicato maggiormente nella realizzazione di soggetti sacri, i suoi dipinti sono tutt’oggi raffigurati sui santini religiosi, è famoso per le scene di genere in cui rappresenta in modo naturalistico, quasi fotografico, i bambini che in quegli anni giravano per Siviglia, li raffigura vestiti di stracci, sporchi e a piedi nudi mentre mangiano l’uva o il melone che probabilmente hanno rubacchiato in qualche mercato. 

Acquaiolo di Siviglia-1620- Wellington Collection Apsley House-Londra

Velázquez sebbene pittore reale e ritrattista ufficiale della corte spagnola, nelle sue prime opere dipinge scene di vita quotidiana con la stessa perizia, lo stesso naturalismo, la stessa dignità che userà per i nobili, raffigurando i piccoli lavori con la quale il popolo sbarcava il lunario. I poveretti si ingegnavano per racimolare qualcosa: nel dipinto l’“Acquaiolo di Siviglia” un uomo anziano, seppur vestito miseramente, appare rispettabile, sta vendendo un bicchieredi acqua ad un fanciullo mentre  in “Vecchia che frigge le uova” è possibile immaginare nelle due uova il pranzo che l’anziana sta preparando per il medesimo fanciullo… a ben guardare il ragazzo dell’acquaiolo è il medesimo delle uova fritte. 

 Diego Velázquez -Vecchia che frigge le uova- 1618-Scottish National Gallery-Edimburgo

                                                                                                                                                               (Continua)

Il cibo nell’arte XXV parte

Ci sono certe nature morte-vanitas che appaiono assai cupe e minacciose nel loro inquietante realismo, se le pensiamo appese in sala da pranzo penso che tolgano se non la fame di sicuro il piacere della tavola, come ad esempio quelle dipinte da Harmen Steenwijck, (1612 -1656) un pittore del secolo d’oro olandese che si è concentrato principalmente su nature morte-vanitas.  

Harmen Steenwijck- Natura morta- vanitas con teschio, libri e frutta

Non si capisce bene il mostrare da parte degli olandesi questa profusione di nature morte-vanitas raffiguranti tavolate con tovaglie damascate, ricche di stoviglie preziose e di ogni ben di dio di cibo, con ovvio riferimento alla loro ricchezza benvoluta dal Signore, ma con questo sentimento della caducità della fortuna, quasi una premonizione. Gli olandesi li potremmo anche chiamare i primi capitalisti, visto che la coltivazione dei tulipani in Olanda causò la prima bolla speculativa: tutti convinti che i prezzi dei bulbi avrebbero continuato la salita all’infinito: nei primi anni del Seicento un bulbo di tulipano di una varietà pregiata poteva costare come un palazzo signorile, tutti pazzi, tutti investitori, poi ci fu il crollo nel 1637, i bulbi come una bolla punta da uno spillo sgonfiarono di valore d’un botto, fu una catastrofe finanziaria ed economica terribile.

Floris van Dyck- Parte di banchetto- 1622

In contrapposizione alle vanitas coi teschi e coi rimandi alla caducità della vita, ci sono i pittori specializzati in  banchetti o le cosiddette piccole colazioni, che sono come dei ricchi buffet o tavole imbandite, tanto realistiche da far aumentare la saliva in bocca per l’acquolina, trionfi per gli  occhi che solleticano i trionfi per lo stomaco e che ci fanno pensare alla ricchezza della borghesia protestante, la cui etica era fondata sul lavoro come vocazione religiosa, il successo e la ricchezza significavano essere apprezzati da Dio.

Pieter Claesz- Natura morta con torta e tacchino- 1627

Il Seicento per l’Olanda fu un periodo florido, il commercio, le scienze e le arti olandesi primeggiavano in Europa, non solo il ricco viveva bene, ma tramite le opere che ci ha lasciato Jan Steen (1626 -1679) un pittore olandese che mostra un’insolita ironia, possiamo notare che anche le classi medie e basse della società se la passavano bene, tanto che una sua opera è intitolata ‘La famiglia felice’… tuttavia Steen  lascia intendere che il troppo riempirsi la pancia porti al vizio, invitando piuttosto alla moderazione che a copiare questi atteggiamenti.

Jan Steen- La famiglia felice-1668

Una delle scene di genere più famose, luminose e palpitanti è il dipinto ‘La lattaia’ di Jan Vermeer (1632 – 1675) un pittore arcinoto in grado di ottenere colori trasparenti e luminosi, quasi brulicanti, con un impianto geometrico tale da rendere la lattaia quasi mistica, avvolta dal sontuoso grembiule blu egizio, mentre tranquilla e assorta versa a filo il latte nell’orcio preparando una sana colazione, quel pane e quel latte che ci ricorda la nostra infanzia. 

  

  (Continua)   

Jan Vermeer -La Lattaia- Rijksmuseum-Amsterdam

Il cibo nell’arte XXIV parte

Evaristo Baschenis (1617 -1677), pittore bergamasco, è conosciuto soprattutto per le nature morte con strumenti musicali, era infatti anche un musicista, tuttavia raffigurò con maestria tavole imbandite con frutta e cacciagione. In Baschenis spesso la natura morta è allegoria della vita e della sua caducità, della vanità dei beni terreni e dell’insensatezza di coloro che s’affannano a ottenerli, richiamando la frase biblica ‘Vanitas vanitatum et omnia vanitas’, ovvero… vanità delle vanità, tutto è vanità.

Evaristo Baschenis-Cucina-1660 ca- Collezione privata

Così appaiono teschi e candele spente con ovvio riferimento alla morte, orologi e clessidre per lo scorrere del tempo, bolle di sapone e calici di vetro significando la fragilità delle cose terrene, strumenti musicali e oggetti preziosi rappresentano i piaceri e le ricchezze terrene che sono effimere, i fiori e i frutti la caducità, l’opulenza che si decompone e imputridisce.

Evaristo Baschenis- Natura morta di Strumenti Musicali- 1670 ca- Musées royaux des Beaux-Arts- Bruxelles 

I cibi in genere hanno un significato allegorico, spesso religioso: vino, pane, pesci e uva rimandano a Cristo, la mela e il fico rammentano il peccato originale, burro e formaggio alludono all’opulenza, il melograno all’abbondanza, le arance alla fecondità e all’amore, il limone all’inganno in quanto bello e luminoso fuori e aspro dentro, le ostriche alla voluttà e via così. Tuttavia anche un’alzata con succose e vellutate pesche, incoronate da fiori di gelsomino e pere cotogne può nascondere un messaggio poco simpatico. Fede Galizia (1578-1630) pittrice milanese autrice non solo di nature morte, ma anche di ritratti e di pale religiose ci presenta un’opera all’apparenza piacevole e rilassante, ma la presenza in primo piano della piccola e innocua locusta è simbolo di devastazione e di morte, nonché di invidia e di superbia.

Fede Galizia-Alzata in vetro con pesche, gelsomino, mele cotogne e una locusta-1607  

Particolari sono le nature morte di Sebastian Stoskopff (1597-1657) un pittore tedesco che insiste sulla fragilità della vita proponendosi con diverse rappresentazioni di bicchieri e bottiglie, spesso in primo piano vi inserisce un calice in frantumi.  

 

Sebastian Stosskopff- Natura morta con cesto di oggetti di vetro -1644

Georg Flegel (1566 -1638) altro pittore tedesco uno tra i primi nel suo Paese a dedicarsi alla pittura di nature morte, le sue opere si propongono certune assai raffinate, luminose ed eleganti, altre più semplici e rustiche altre delle vanitas alquanto particolari, come in “Natura morta con pane, brocca, calice e topo”, il dolce in questo caso frutta e fichi, non ci alletta per niente. 

Georg Flegel- Natura morta con biscotti e dolci

il topo e gli insetti ci ricordano con triste ineluttabilità la fine che faremo e Flegel non è delicato come Fede Galizia, il topo sembra sinistramente osservarci, mentre gli insetti sembrano quasi correre, creando l’allegoria di una morte che può essere vicina. 

 

Georg Flegel – sec. XVI/ XVII – Natura morta con pane, brocca, calice e topo

                                                                                                                                                     (Continua)

Il gatto in macelleria. Bufala? In realtà era un “E.S.”

Nuova immagine (63)Il gatto intero nel reparto macelleria Conad. Bufala? In realtà in questo caso un “E.S.”. L’autore del post originale lo chiariva in modo molto limpido, in quanto l’articolo iniziava con la scritta E.S.=Esperimento Sociale. Che cosa è questo E.S.? È un fake-post, una bufala, ma con l’intenzione di indurre una riflessione sul nostro sentire. Una notizia completamente falsa ma che, spacciata per autentica, è in grado di influenzare una parte dell’opinione pubblica, divenendo di fatto un argomento reale, dotato di un apparente senso logico.

E’ facile intuire che queste false notizie, al di là del fenomeno dei “burloni”, servono per “tastare” il polso.

Per avere l’idea di come le persone siano pronte a saltare un ulteriore fosso.

Verso la disumanizzazione che si crea sempre più, in nome del consumismo più sfrenato.

Di cui non si vuole rendere conto che è matematicamente finito.

E’ possibile che qualcuno si stia sfregando le mani al possibile nuovo mercato di carne di gatto e cane, visto l’aumento della popolazione cinese in Italia.

Possibile che ogni tanto si sovvenzioni qualche fake-post per saggiare il terreno?

In fin dei conti una tradizione giapponese, come mangiare il pesce crudo è passata e divenuta alla moda anche in Italia.

Se pensate con quanta fatica l’uomo è giunto alla cottura, vien quasi da ridere.

La cottura non è un optional, neutralizza i microbi.

In quanto le alte temperature rendono difficile la diffusione di tossinfezioni.

Torniamo al fake-post sulla vendita di carne di gatto, creato per un esperimento sociale.

Secondo l’autore una riflessione sulla nostra percezione, costituita da abitudini e tradizioni.

Le stesse tecniche sono utilizzate anche per diffondere notizie false ben più dannose.

Comunque, l’E.S. in questo caso, come spiega l’autore era volto verso una domanda precisa.

“Se il vedere questa immagine ha portato a rabbia ed indignazione, allora è arrivata l’ora di porsi nuove domande. Perché ci si indigna di fronte all’uccisione di un animale come il gatto o il cane, che è usuale cibo in Cina e si accetta come “normale” l’uccisione di animali come il maiale, il vitello, il coniglio?”

Quest’ultimo assolutamente non si mangia in Cina, ma neanche negli USA. In Italia gli animalisti spingono per fare in modo di vietare il consumo di questa carne, dal momento che ritengono che il coniglio sia un animale da compagnia.

In Cina, un piatto a base di gatto, serpente e pollo viene chiamato “dragone, tigre e fenice” è successo che casi di vendita di questo piatto a base di gatto siano stati segnalati anche in Europa, precisamente in Belgio e in Svizzera.  

Noi occidentali, non mangiamo carne di gatto o cane per una questione morale.

Ci identifichiamo con i nostri animali da compagnia.

Ma è anche proibito dalla legge, in quanto è vietato allevare o mangiare animali fuori dal controllo sanitario delle ASL.

Vero o leggenda non si sa bene, ma i gatti spariscono sempre di più, pure il mio.

Vi sono state addirittura denunce di sparizione di gatti, guarda caso, nel Veneto, territorio in cui il gatto era un piatto tradizionale servito con la polenta. E i cinesi, abituati a gustarlo, credete che abbiano remore a gustarsi un piatto prelibato per loro, pensando a quanto siamo fessi noi a non mangiare una squisitezza?

Volutamente non si è postato nessuna foto macabra.

Lasciando libera scelta di guardare o meno in Internet l’orrore dei nostri amici animali pronti per diventare cibo.

Non è con l’orrore che si possono vincere le battaglie, ma con l’amore si vince la guerra.

 

                                                                                                   Paola Tassinari