Kenneth Clark e la difesa dell’Occidente

Kenneth Clark, Barone di Clark, (Londra 13 luglio 1903-21 maggio 1983) è stato un autore britannico, direttore di musei, uno dei più noti storici dell’arte della sua generazione. Unico figlio di una ricca famiglia scozzese, con radici nel commercio tessile.

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Kenneth Clark frequentò la scuola di Wixenford, il “Winchester College” e il “Trinity College” di Oxford, dove studiò storia dell’arte.

Fortemente influenzato da John Ruskin, il critico d’arte, poeta e scrittore inglese del Romanticismo

Protetto da uno dei più influenti critici d’arte del tempo, Bernard Berenson.

Diventò rapidamente uno dei più autorevoli critici dell’arte britannica.

Nel 1933 all’età di 30 anni, fu nominato Direttore della National Gallery.

Il più giovane a ricoprire questa carica.

Un Barone che vestiva sempre in modo impeccabile, che non solo aveva ereditato una fortuna, ma l’aveva sempre accresciuta comprando e vendendo opere d’arte.

 

Venne nominato Sir e poi Lord, pochi storici dell’arte sono stati così omaggiati e allo stesso tempo invisi come lui.

Kenneth Clark sapeva capire e soprattutto sapeva trasmettere la sua conoscenza in modo semplice.

Aveva capacità di giudizio, non solo sull’arte, ma anche sulla vita e sull’individuo, di cui aveva punti fermi.

Senza nessun dubbio, per questo era poco amato, perché in un mondo relativo dove non ci sono più punti fermi, Kenneth Clark, calmo, eutrapelico, sicuro di sé ti snocciolava l’etica e da vero moralista ti diceva chiaro e tondo…è così!

Clark fu un docente infaticabile sia in ambienti accademici che in trasmissioni televisive.

La sua competenza fu quella di rendere accessibile una materia complessa e profonda, in modo tale che fosse apprezzata da un pubblico più ampio.

Nel 1969, presentò per la BBC, Civilisation: A Personal View.

Una serie di video conferenze, sulla storia della civiltà occidentale vista attraverso la storia dell’arte.

Civilisation è stata trasmessa, oltre che in Italia, anche negli Stati Uniti, ottenendo grande successo.

Ritagliando a Clark un profilo internazionale.

Civilisation fu ideata in contrappunto alle crescenti critiche della Civiltà Occidentale, al suo sistema di valori e ai suoi eroi.

Nell’esordio, Clark riferisce una citazione di Ruskin.

“Le grandi nazioni scrivono la loro storia in tre libri, quello delle loro azioni, quello delle loro parole e quello della loro arte, non uno di questi libri può essere compreso se non abbiamo letto gli altri due, ma dei tre l’unico affidabile è l’ultimo”.

Nel 1955, Clark acquistò il Castello di Saltwood nel Kent.

Barone di Saltwood, che in inglese si può tradurre con “legna/salata”.

Ciò fa pensare al fuoco per riscaldare ma anche a quello della passione e, pure alla legna come materia prima per l’artigiano, legna legata alla conoscenza teorica e pratica.

Esiste una forte somiglianza tra il sostantivo “scienza” e “legna”, in tutte le lingue celtiche.

Il significato di legna si può metaforicamente traslare al legnare, con senso di bastonare.

Non sto poi a lucrare sui significati molteplici del sale, “avere sale in zucca”, significa avere saggezza e buon senso, quindi il titolo di barone di Saltwood si può simpaticamente tradurre, adattandolo a Clark: la scienza e la passione del legno, che uniti alla saggezza e al buon senso del sale, legnano il nichilismo e il relativismo.

L’autorevolezza di Kenneth Clark, noto critico dell’arte inglese, è definita dalle sue onorificenze.

Nel 1938 fu ordinato Cavaliere Commendatore del Molto Onorevole Ordine del Bagno (KCB), ordine cavalleresco britannico.

Nel 1959, Kenneth fu insignito dell’Ordine dei Compagni d’Onore. 

Ordine Cavalleresco vigente nel Regno Unito e nel “Commonwealth”, di cui fa parte anche la sovrana Elisabetta.

Nel 1976 Kenneth fu nominato per l’Ordine al Merito.

Un’Ordine che dà riconoscimento per meriti speciali nel campo scientifico, artistico, letterario, militare e culturale.

Oggi, oltre alla regina Elisabetta II, solo ventiquattro membri viventi sono insigniti del titolo.

Nel 1959, Kenneth ricevette L’Ordine al Merito della Repubblica Austriaca o Gran Decorazione d’Onore.
                                                                                                                                     Paola Tassinari

TERRA DEL SOLE COSI’ MEDICEA

Simone_SassoCosimo de’ Medici, primo Granduca di Toscana, figlio di Giovanni dalle Bande Nere, quest’ultimo figlio di Caterina Sforza, aveva “il pallino” per il tema della città ideale, cioè il concetto di un centro edificato con criteri scientifici e matematici, uniti a un ideale filosofico e a una forte carica utopica; tale idea, di una città in cui l’uomo possa vivere al meglio, un microcosmo rispecchiante la perfezione e l’armonia del macrocosmo, ha percorso l’intera storia dell’umanità, fino ai giorni nostri, si pensi al Modulor inventato dall’architetto svizzero-francese Le Corbusier nel 1948, scala di proporzioni basate sulle misure dell’uomo, come linee guida di un’architettura armonica. Cosimo realizzò la sua aspirazione in ben due luoghi: Terra del Sole o Eliopoli, a pochi chilometri da Forlì e la Città del Sole nel Montefeltro, a Sasso Simone, chiamate così perché nel Rinascimento il sole era un simbolo propiziatorio e di razionalità. Terra del Sole è un centro storico rinascimentale, una “città fortezza”, un rettangolo con le mura, con al centro un abitato civile e militare, fu progettata e costruita dai migliori architetti del tempo e ancora oggi attraversandola si rimane stupiti per l’armonia e per il luogo inondato dal sole. Sasso Simone, durante la seconda metà del Cinquecento, venne scelto da Cosimo per diventare il luogo sul quale far sorgere la sua città utopica e inespugnabile. Il Sasso in epoca antica fu senz’altro luogo di culti pagani dediti alle divinità dei boschi, successivamente si insediarono i longobardi e poi, intorno all’anno Mille, i monaci Benedettini, ma, a causa dell’asprezza del territorio e la difficoltà di salire sulla cima, il luogo fu abbandonato. Si favoleggiava che dall’alto dei Sassi, accanto al Simone, vi è un altro monte chiamato Simoncello, si potessero vedere alcuni territori della Dalmazia, oltre l’Adriatico. Si legge nelle cronache dell’epoca: Il Sasso è luogo della massima importanza perché è elevatissimo e inespugnabile, e perché sta sui confini del piviere di Sestino, del duca d’Urbino, dei conti Giovanni e Ugo di Carpegna, del conte Carlo di Piagnano, della Chiesa e di Rimini e perché chi vi edificasse un castello, come un leone fortissimo potrebbe annientare tutti gli altri castelli e luoghi circostanti senza timore di attacchi. In caso di timor di guerra è possibile specialmente di notte far segnali a Montauto di Perugia, al monte di Assisi, a Recanati, a Sassoferrato e a molte altre terre della Chiesa: in una notte si arriva di rocca in rocca a trasmettere il segnale fino a Roma e di lassù è anche possibile vedere molti luoghi della Dalmazia. Il nomedi Sasso Simone è di origine incerta, si pensa sia dovuto alla memoria di un eremita venuto dall’Oriente che qui si stabilì, altri ipotizzano alle invocazioni, dei sacerdoti romani, ai Semoni, che erano Dei, speciali custodi delle campagne. Questo Sasso è un enorme masso che viene dal mar Tirreno, in fondo al quale si trovava prima che le mutazioni della crosta terrestre lo facessero emergere per poi farlo scivolare sino all’Adriatico. Fu proprio sulla vetta di questo masso forestiero cheCosimo dette l’ordine di iniziare i lavori per costruire la sua città perfetta. Il lavoro fu arduo, il monte ha le pareti verticali su tutti i lati, al punto che il sentiero per arrivare in cima fu ricavato con mazza e scalpello dalla roccia viva, ed è tuttora l’unico modo per arrivare sulla sommità del monte; occorsero dieci anni di sudore e di impegno e quando fu finita, solo pochi abitanti vi si trasferirono, perché troppo disagiate le condizioni di vita. Alla fine del 1500, le difficoltà nella coltivazione della terra, di raggiungimento e approvvigionamento, la natura selvaggia e il gelo e le intemperie, resero la sopravvivenza così difficile che la città venne abbandonata, nel 1674 la città era già totalmente diroccata, tanto che ne fu decretato lo smantellamento per il recupero dei materiali superstiti. Nonostante ciò ancora oggi è possibile ammirare qualche resto fra la vegetazione del Parco Naturale Simone e Simoncello, pochi ruderi rimasti, come sentinelle, testimoni del sogno sempre rincorso e mai realizzato della città ideale.

immagine: Sasso Simone

articolo già pubblicato sul quotidiano “La  Voce di Romagna” il giorno 23/05/2016

I Re Magi nella storia

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I Magi sono realmente vissuti o no? L’Evangelista Matteo racconta che Gesù nacque a Betlemme, al tempo del re Erode e che alcuni Magi giunsero da Oriente cercando il re dei Giudei per adorarlo e offrigli oro, incenso e mirra. Una stella li precedeva. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, fecero ritorno per un’altra via. Matteo non è l’unico che parla dei Magi, vi sono i vangeli apocrifi, cioè non riconosciuti dalla Chiesa che ne parlano in modo analogo. Arrivano i re Magi a Betlemme indirizzati da Erode, portando i loro doni al seguito di una stella, scatenano l’invidia di Erode che ordina l’uccisione dei bambini. Nel Libro della Caverna dei Tesori, uno scritto siriaco che raccoglie leggende, si racconta appunto dei Magi. Si dice che erano tre, re e figli di re, e che scrutando le stelle appresero che il Messia stava per nascere in terra di Giudea. Si dice che l’origine di questi Magi era la Caldea. Il termine Caldei sembra significhi: “conoscitori delle stelle”, erano comunque famosi per lo studio dell’astronomia. Il Vangelo Arabo dell’Infanzia su Gesù fa riferimento ai Magi, cui Maria dona una fascia, i Magi sarebbero stati tre fratelli; Melchiorre che regnava sui Persiani, Baldassarre che governava sugli Indiani e Gaspare che dominava gli Arabi. I loro tre doni consistevano in oro (dono per i re), incenso (per le adorazioni sull’altare, quindi Gesù è anche sacerdote), mirra (considerato un balsamo per i defunti, perciò prefigurazione della sua morte). La stella cometa sarebbe un equivoco. Tutta la storia nasce da un quadro di Giotto del 1301 alla Cappella degli Scrovegni; il pittore, accanto alla Natività, dipinse l’Epifania e inserì una cometa, probabilmente perché nel 1301 a dicembre, apparve in cielo la famosa cometa di Halley. Il fenomeno luminoso, di cui fanno riferimento i testi, sarebbe la tripla congiunzione di Giove e Saturno e Marte il 13 novembre del 7 a.C., nella costellazione dei Pesci, che si verificò per tre volte, e che gli astronomi caldei conoscevano, lo avevano previsto sin dall’anno precedente. Astrologicamente questo transito spesso coincide con un periodo in cui avverrà qualche doloroso sforzo, che inizierà poi col tempo a portare i frutti. Il primo simbolo legato a Gesù fu quello del pesce, legato al suo nome in greco, ma potrebbe pure indicare che era nato sotto al segno dei Pesci. A questo punto occorre rimarcare anche la presenza assidua del numero tre. Il numero 3 rappresenta il numero perfetto, il numero sacro per eccellenza, Dio è definito Uno e Trino (Padre, ma anche Figlio e Spirito Santo). Nell’Induismo le divinità sono raffigurate con la Trimurti (Brahma, Siva e Visnù); per gli antichi Romani la Triade capitolina era composta da Giove, Giunone e Minerva. Il numero 3 è abbinato alla figura del triangolo equilatero, simbolo di armonia, di proporzione, di perfezione. Molte antiche cerimonie si fondano su gesti ripetuti tre volte. I Magi sono un po’ fiabeschi, a tal punto che lo sono pure le loro reliquie. Fonti certe non ci sono. Si racconta che alla loro morte furono seppelliti, in un’unica tomba, in Persia, successivamente l’imperatrice Elena, madre di Costantino, trovati i loro corpi li avrebbe fatti trasportare a Costantinopoli, da qui passarono a Milano dall’allora Vescovo Eustorgio, dove tutt’oggi nella basilica a lui dedicata esiste un sarcofago chiamato “Arca dei Magi”. Nel 1162 il Barbarossa, entrato a Milano, si impossessò delle reliquie che furono trasportate a Colonia in Germania, dove oggi si trovano nella cattedrale di questa città. Quella delle reliquie dei Magi è anche una delle cause legali più lunghe della storia: oltre 740 anni! I Milanesi rivolevano le presunte salme dei Magi trafugate dai tedeschi, intervennero ben tre papi per sanare la controversia e pure San Carlo Borromeo e il re di Spagna Filippo II. Piccoli ossicini    arrivarono a Milano solo nel 1904. Milano ricorda l’adorazione dei Magi, con un corteo di figuranti che da piazza Duomo arriva a Sant’Eustorgio portando i doni alla Natività. Questa manifestazione è attestata almeno dal Medioevo ed è uno degli eventi più amati dai milanesi, che vi assistono disponendosi lungo tutto il percorso.

immagine: Adorazione dei Magi, sant’Apollinare Nuovo, Ravenna

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 05/01/2015

Michele da Cesena e la disputa sulla povertà

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Michele da Cesena nacque a Cesena nel 1270, morì a Monaco di Baviera nel 1342. Fu un religioso, teologo e filosofo. Nel 1316 fu eletto generale dell’Ordine francescano, fu un personaggio di grande rilievo nelle vicende politiche ed ecclesiastiche del XIV secolo. Sostenitore di papa Giovanni XXII, lo avversò quando questi condannò come eretiche le tesi sulla povertà della Chiesa. Michele si inserisce come conciliatore nella cosiddetta disputa sulla povertà e nella lotta delle investiture fra il papa e l’imperatore. Intorno al concetto di povertà divamparono aspri dibattiti e confronti, soprattutto quando papa Giovanni XXII si espresse con varie bolle pontificie, sulla falsità della povertà di Cristo e degli apostoli. Ponendo in discussione la povertà di Gesù, il papa non entrava in aperta contesa solo con i francescani spirituali, che si riconoscevano come gli unici fedeli allo stile di vita di San Francesco, che aveva già scomunicato nel 1317, ma con l’intero Ordine francescano. Una polemica aspra che durò vent’anni e che coinvolse anche il   successore di Giovanni XXII, coi francescani che difendevano la dottrina dell’assoluta povertà di Cristo, condannata come eretica dal pontefice. Nel 1322 Michele da Cesena, con altri esponenti di prestigio tra cui Guglielmo di Ockham si pronunciarono a favore dell’assoluta povertà di Gesù Cristo e degli apostoli. Giovanni XXII dichiarò eretica la loro posizione, Michele si rifugiò alla corte dell’imperatore Ludovico. La vicenda di Michele si inserì così nella lotta per l’investitura tra Giovanni XXII e Ludovico il Bavaro, che era riuscito ad avere la meglio su Federico d’Austria, e che aveva manifestato l’intenzione di scendere in Italia, in aperto contrasto con il papa che lo scomunicò. Il Bavaro, si infuriò e con un concilio dichiarò eretico Giovanni XXII. Michele si schierò con l’imperatore ed entrò a Roma al seguito di Ludovico, che venne incoronato imperatore. Il papa non lo riconobbe e scomunicò Michele. Ludovico nominò un antipapa, e se ne tornò in Germania con Michele. L’antipapa senza protezione si recò ad  Avignone a chiedere perdono a Giovanni XXII. La chiesa avigno­nese, venne bollata come la grande meretrice dell’Apocalisse, e Giovanni XXII come l’An­ticristo. Guglielmo di Ockham è il protagonista del famoso romanzo e film “Il nome della rosa” in cui figura anche Michele da Cesena.

 

 

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 13/07/2015

Il Regisole, teoderico a cavallo… fino a Pavia

a3666f9065cf96fbc7f58f7c8a8eeb00Cosa è il Regisole e quale l’origine di tale strano nome? Doveva trattarsi di un’opera tardo antica in bronzo dorato, eseguita con la tecnica a cera persa, come i Bronzi di Riace per intenderci; quasi certamente si trovava a Ravenna e rappresentava Teodorico a cavallo, probabilmente in posa trionfale, forse echeggiava il mosaico, asportato per damnatio memoriae, ma ancora se ne intravede l’ombra, di Sant’Apollinare Nuovo. Fu uno dei modelli a cui attinsero gli scultori del Rinascimento per far rinascere l’arte del monumento equestre. La statua aveva una mano innalzata come il Marc’Aurelio e il cavallo teneva una zampa sollevata per evidenziare il dinamismo. Per quanto riguarda il nome, tre sono le ipotesi più accreditate: alcuni sostengono che la parola sia legata al personaggio con la mano alzata intento a “reggere” il sole, altri all’effetto del bronzo dorato che riflette i raggi del sole, mentre qualcuno pensa che Regisole significhi “regisolio” cioè trono regale. Molto più intricato sapere come la statua equestre sia finita a Pavia, collocata davanti alla cattedrale, diventando uno dei simboli della città, emblema pure sul sigillo d’argento del Comune; da Ravenna si è spostata a Pavia… ma come ci sia arrivata nessuno lo sa. Numerose e controverse sono le ipotesi avanzate dagli studiosi, alcuni ritengono che i pavesi in lotta coi bizantini sottrassero a quest’ultimi il Regisole, altri credono che la statua equestre fosse sempre appartenuta a Pavia, ma potrebbe essere anche la statua di Teodorico a cavallo che Carlo Magno si portò a Aquisgrana e che scomparse subito dopo. Viene da pensare che la città di Ravenna, dopo la morte di Carlo Magno, si sia riappropriata del manufatto e poi l’abbia perso di nuovo guerreggiando coi pavesi. Quello che è fuori da ogni dubbio è che il Regisole a Pavia colpì l’immaginazione di illustri ospiti della corte viscontea: Francesco Petrarca ne parla in una lettera al Boccaccio, Leonardo Da Vinci l’ammira nel 1490, durante un viaggio a Pavia in compagnia di Francesco di Giorgio Martini. Nel 1796 il Regisole fu distrutto dai giacobini pavesi che riconobbero in esso uno dei simboli della monarchia. Sparì quindi dal contesto urbanistico e storico di Pavia fino a quando il Comune commissionò allo scultore Francesco Messina, verso la metà degli anni ’30, una nuova statua equestre basata su raffigurazioni antiche.

immagine: Regisole di Francesco Messina

articolo già pubblicato sul quotidiano “la Voce di Romagna” il giorno 09/02/2015

 

 

Storie attorno a Mondaino

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La Valconca  è un luogo di dolci colline e di ubertose campagne, è ricca di castelli essendo luogo di confine fra due grandi Signorie: i Montefeltro e i Malatesta, ovviamente i castelli servivano per difesa, uno di questi è Mondaino. Il borgo  è a pochi chilometri dalla spiaggia, raccolto nella Rocca, con un’elegante piazza semicircolare, che gli abitanti chiamano“Padella”. L’etimologia del suo nome sembra legata a Diana, dea della caccia che sembra fosse venerata in questi colli. I Romani quando conquistavano nuovi  territori  davano il nome di Diana alla divinità legata alla dea Madre. Col tempo i luoghi della dea Madre diventarono molto spesso i Santuari delle Madonne nere, sovente accompagnati da chiese dedicate a San Michele Arcangelo (Mondaino ha una chiesa dedicata a San Michele). Qui troviamo  una religiosità atavica continuativa, considerate che qui soggiornò San Francesco e nel convento dei Francescani vestì il saio Papa Clemente XIV inoltre il paese ospita il convento delle Clarisse. Nella Rocca è conservata una rinascimentale  dolce Madonna del Latte dai colori soffici e pastosi propri dell’affresco, è immagine universale di tenerezza. Alle spalle della Vergine è rappresentata, in modo velato, una scimmia che fa la lingua. Forse il diavolo che sbeffeggia la Vergine? La Madonna del latte è legata al simbolismo della Vergine nera, la quale  è allacciata alla dea Diana il cui emblema è la luna, la scimmia era anticamente in Egitto legata al dio della luna, forse l’artista ha voluto ricordare la densa simbologia di questa Madonna. Ma si narra anche che la scimmia partorisca sempre due piccoli, gettandosi sulle spalle quello che gli è antipatico, mentre porta davanti a sé  abbracciandolo il preferito, ma le può accadere di dover fuggire e di correre così su quattro zampe,   costretta per forza a perdere il prediletto  e a conservare quello che aveva scartato. Forse l’autore ha tolto all’antica dea Madre l’aspetto crudele trasformandola in Madonna del latte e la scimmia sarebbe dunque  l’effigie di questo lato oscuro che non c’è più. Mondaino è famoso per il Palio del Daino, si svolge attorno al 20 agosto di ogni anno, rievoca l’accordo di pace siglato nel 1459 tra Pandolfo Malatesta e Federico da Montefeltro. La pace fu accolta con gioia dalla popolazione che festeggiò con giochi e libagioni, ma questo Palio così sentito ancora oggi dalla popolazione è possibile che in qualche modo nasconda una religiosità ancestrale, il 15 agosto è la Festa dell’Assunta, festa assai vicina ad antichi culti. Il borgo merita di essere visitato non solo durante il Palio, la bellezza naturale del luogo e la ricchezza del suo patrimonio storico e artistico è assai diversificata, comprende la Rocca Malatestiana, Piazza Maggiore, il Convento delle Clarisse, la Chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo, i Musei, Porta Marina. La Rocca ha numerosi passaggi segreti e camminamenti sotterranei, dal terrazzo si gode una vista mozzafiato, all’interno ha sede il Museo Paleontologico e di notevole interesse è la raccolta di maioliche. Ma andiamo in cerca del fantasma, perché come in ogni castello che si rispetti Mondaino ne ha uno. Nei primi anni del XVI secolo fu nominato quale governatore di Mondaino il poeta Giovanni Muzzarelli (1486/1516), amico del Bembo e dell’Ariosto, il quale dopo pochi anni scomparve in circostanze misteriose. Si narra che Giovanni sia stato assassinato da un marito infuriato per il tradimento subito, gettato in un pozzo col suo mulo e il garzone. Tale teoria pare avvalorata dal fatto che, in una parete del pozzo del castello, si sia trovato scritto il nome“Giustina”, una delle amanti del governatore. Ma esiste anche un’altra teoria: la nomina a governatore di Muzzarelli  avrebbe scatenato molta invidia e risentimento, a tal punto da sopprimerlo. In entrambi i casi, il fantasma del poeta vaga nel castello per ricordare ai visitatori la sua morte e facendo ogni tanto qualche dispettuccio…  nel 1987 alcuni carabinieri che presidiavano i seggi elettorali denunciarono che una notte  le urne erano state violate senza che nessuno entrasse nelle sale e dopo aver udito frastuoni e suoni alquanto sinistri.

immagine: Mondaino

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 01/09/2014
 

Nella casa Diedi l’eccidio di Girolamo Rasponi

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A Ravenna, lungo la via Raul Gardini, vi è una bella palazzina veneziana dall’ameno balcone: è la Casa Diedi, tristemente famosa per l’eccidio eseguito da Girolamo Rasponi ai danni dell’intera famiglia Diedi. Nel 1570 circa, Bernardino Diedi, figlio di Francesco, aveva chiesto in sposa Susanna, figlia di Bernardino Rasponi, nonostante una precedente promessa di nozze a un’altra sorella di Girolamo Rasponi. Susanna, rinchiusa in casa ma decisa a sposare Bernardino, fu martoriata dal fratello con 14 ferite di stiletto. Si salvò e riuscì a convivere con Bernardino. Dopo che ella ebbe dato alla luce una bambina e fu di nuovo incinta Girolamo Rasponi impazzito di rabbia, decise di vendicarsi: partì dal suo palazzo con 50 banditi alla volta di Casa Diedi, vi entrò alle 3 di notte. A colpi di archibugio e coltellate, uccisero il vecchio Francesco Diedi e il fratello canonico, madonna Giulia e la gestante Susanna. Bernardino si gettò dalla finestra e fu finito a pugnalate dai sicari per strada. Scampano all’eccidio il fratello di Bernardino: Antonio che si copre con un cadavere. Un altro fratello: Bellino fugge, ferito, con la figlioletta della povera Susanna. Insomma una vera strage di altri tempi in nome della gelosia, dell’onore e dell’arroganza. Il palazzo di Girolamo Rasponi, il crudele assassino, fu fatto abbattere in pochi giorni dal Presidente di Romagna (anno 1576) il quale fece spargere il sale sull’area scoperta per significare che mai più su di essa si dovesse rifabbricare a riprovazione perpetua dell’atroce misfatto perpetrato contro la famiglia Diedi. I Rasponi di Ravenna provenivano dalla Sassonia, venuti in Italia al seguito di Carlo Magno. Un Rasponi  nel 1050 stabilì la sede della sua famiglia a Ravenna, dove divenne ben presto potente ed autorevole. Nonostante fosse di parte ghibellina, non mancò di favorire spesso gli interessi della Santa Sede, ricevendone in cambio cariche ed onori. Ma i benefici papali non impedirono a Ostasio Rasponi  d’impadronirsi nel 1522 del potere assoluto, dopo aver trucidato in pubblico chi ne reggeva per la Santa Sede il governo; quindi lotte, discordie, ed infine come ho già scritto all’inizio, l’uccisione  dell’intera famiglia Diedi. Ci furono anche Rasponi illustri, capitani  valorosi  e poi governatori, ambasciatori, vescovi ed un cardinale. Nel 1705 i Rasponi diventano marchesi.       
 

 immagine: Casa Diedi Ravenna

articolo già pubblicato sul quotdiano “La Voce di Ravenna” il giorno 23/06/2014

LA ROMAGNA E’ UN PO’ CELTICA

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 I Celti erano una popolazione indoeuropea formata da varie tribù, chiamati in modo diverso secondo il luogo in cui si stanziarono, i Romani li chiamavano Galli. Nel IV secolo a. C. i Galli Senoni occuparono Rimini costruendoci l‘unica loro zecca; da Rimini marciarono su Roma, la misero a sacco e la umiliarono pretendendo molto oro e rispondendo alle proteste dei Romani con le fatidiche parole “Vae Victis” (Guai ai Vinti). Il loro capo era Brenno, che significa corvo, in quanto era in uso presso i Celti, darsi il nome di un animale che li rappresentasse. Nell‘antichità si era formata una leggenda secondo la quale la sepoltura di Romolo fosse divenuta un “luogo funesto“, a causa della profanazione della  tomba da parte dei Galli durante il saccheggio del 390 a.C., l‘area venne sepolta e recintata nella tarda età repubblicana, coperta da un pavimento di marmo nero (da cui il nome Lapis Niger) il cui mistero non è stato ancora risolto. Nel 295 a. C. arrivarono a Rimini i Romani scacciando i Senoni. Del periodo romano Rimini  avanza una ricca eredità, tra i quali il Ponte di Tiberio, l’Arco di Augusto e la centuriazione del territorio. Sembrerebbe che nulla sia avanzato della cultura celtica, ma non è così, attorno a Rimini vi sono toponimi che ricordano molto bene i Galli. Inoltre Rimini, di fatto era ed è l’unica città italiana ad avere una cattedrale che porta la suggestiva dedica a Santa Colomba di Sens, martire del popolo dei Senoni. Non solo, ad Onferno , vicino alle famose grotte, in un’area di religiosità ancestrale vi è anche una pieve intitolata a Santa Colomba. Colomba di Sens (Sens era l’antica capitale dei Galli Senoni) vergine e  martire era di una nobile e pagana famiglia di Saragozza, fuggì a Vienne e si fece battezzare col nome di Colomba: proseguì per Sens dove subì il martirio. L’imperatore romano Aureliano, nel 273, voleva farle sposare suo figlio ma Colomba rifiutò. Fu rinchiusa in un bordello: ma quando un uomo le si avvicinò, un’orsa apparve e la difese. Aureliano voleva allora far bruciare sia l’orsa che la giovane: ma l’orsa riuscì a fuggire e una pioggia provvidenziale spense il fuoco. Infine, Colomba fu condannata alla decapitazione. Attributi  principali della Santa sono l’orsa e la piuma del pavone che sostituisce a volte la palma del martirio. Numerose sono le chiese dedicate alla Santa, ma il culto si diffuse soprattutto a Rimini. Si racconta che intorno al 313 alcuni mercanti di Sens, trovatisi a navigare nell’Adriatico, portando con sé una reliquia di Santa Colomba, furono costretti ad approdare a Rimini, la reliquia fu accolta dal vescovo Stemnio e posta nella cattedrale. Nel 1581 il vescovo di Rimini, essendo nunzio apostolico in Francia, ottenne dai monaci dell’abbazia di Sens,  una costola e due denti della martire, che dal secolo XVIII sono conservate in un busto reliquiario ora posto nel Tempio Malatestiano, la nuova cattedrale, che sostituì l‘altra demolita nel 1815 dedicata alla SS. Trinità e a Santa Colomba. La Santa è invocata per i buoni raccolti, implorata  per ottenere la pioggia contro la siccità, è  accompagnata da un’orsa ed è festeggiata il 31 dicembre. Artio è la dea celtica della caccia e dell’abbondanza spesso raffigurata con le sembianze di un’orsa, è festeggiata  per il  Capodanno celtico. Artio significa in celtico orso, Artù mutua il nome da tale animale, simbolo di forza. Santa Colomba è un esempio di ciò che la Chiesa ha assimilato da altre  religioni, apportando le cose buone togliendo la degenerazione, non con sincretismo, come in tanti credono ma accogliendo il Vecchio per trasportarlo nel Nuovo. Come nella storia in cui il passato non si ripresenta mai se non in altre forme.

immagine: Artio 

articolo già pubblicato sul quotidiano  “La Voce di Romagna” il giorno 10/02/2014