ROMAGNOLI ALL’INFERNO (terza parte)

image27

Proseguiamo la discesa agli inferi alla ricerca dei romagnoli. Dante e Virgilio sono deposti dal gigante Anteo nel nono cerchio, sulla distesa ghiacciata del fiume Cocito, nella quale sono conficcati i traditori lividi e tremanti per il freddo. Qui Dante incontra un altro romagnolo: Tebaldello Zambrasi, il quale tradì Faenza, la sua città per consegnarla in mano ai bolognesi, Dante lo cita come colui che “aprì Faenza mentre si dormia”. Sembra che Tebaldello portasse rancore ai suoi concittadini per il furto di un maiale, all’epoca possedere un porco era contare su un piccolo capitale, ma speriamo che oggi i romagnoli siano un po’ meno vendicativi. Il Zambrasi morì di lì a poco sotto le mura di Forlì, sempre in uno scontro fra guelfi e ghibellini. Nulla si impara dai libri, neanche da Dante, infatti si continua a guerreggiare, anche se pare che venti favorevoli alla pace soffino, deboli ma tenaci, anche grazie al nuovo Papa Francesco. Altro interessante traditore dell’ospite, misfatto ancora più grave, è Alberigo Manfredi, dell’ordine laico dei frati godenti, era un personaggio assai in vista a Faenza nell’ultimo scorcio del XIII secolo. Ed un suo gesto scellerato l’aveva reso famoso ben oltre le mura cittadine, tanto che Dante non sente nemmeno il bisogno di raccontare l’episodio. La tendenza dell’Ordine a scendere a compromessi con la vita agiata e mondana dei suoi membri determinarono forse l’uso del soprannome di  “frati godenti “, che non aveva un connotato dispregiativo. Sembra che frate Alberico, in una grave disputa sorta per ragione d’interessi, ebbe uno schiaffo da Alberghetto, figlio di Manfredo Manfredi suoi congiunti. Per l’onta ricevuta, Alberico concepì un odio mortale contro i suoi  parenti, e covando in cuore la vendetta sotto mentite apparenze di perdono e di pace, invitò il 2 maggio del 1285 Manfredo ed Alberghetto ad un sontuoso pranzo. Sul finire del convito, quando frate Alberico pronunziò ad alta voce l’ordine “vengan le frutta”, come a segno convenuto, alcuni suoi parenti  ed altri sei sicari, si lanciarono coi pugnali levati sui due miseri ospiti, e barbaramente li trucidarono. Alberigo,  è uno dei personaggi che Dante incontra nell’Inferno, nonostante non sia ancora morto. Il poeta spiega, infatti, che l’anima di un traditore, appena commesso il delitto, viene subito sprofondata nella Tolomea, mentre nel suo corpo sulla terra prende dimora un diavolo. Riflessione molto acuta, in quanto è assai difficile  redimersi, molto spesso a un qualsiasi misfatto commesso ci sentiamo ignobili e così ne perpetriamo altri, come se un diavolo si  fosse impossessato di noi. La lista dei romagnoli all’inferno continua, non è molto  lusinghiero che siano tanti nell’ inferno e in paradiso non ce ne sia neanche uno. Dante colloca, l’Ulisse romagnolo: Guido da Montefeltro tra i consiglieri fraudolenti dell‘VIII Bolgia dell‘VIII Cerchio dell’Inferno, dove si arde come fiamme incandescenti. È Guido a rivolgersi a Virgilio dopo che questi ha congedato Ulisse, per cui il dannato lo prega di dirgli qual è la condizione politica della sua terra, la Romagna. Virgilio invita Dante a rispondere e il poeta spiega che le varie città romagnole sono dominate da altrettanti tiranni e nessuna di queste è attualmente in guerra. Poi Dante prega il dannato di presentarsi e Guido, credendo di parlare a un altro dannato, svela la sua identità raccontando la sua storia: in vita fu abilissimo condottiero e astuto politico, poi si pentì della sua condotta e si fece frate francescano. Papa Bonifacio VIII, in lotta coi Colonna, gli chiese un consiglio su come espugnare la rocca di Palestrina, promettendogli l’assoluzione in anticipo. Pur titubante, Guido usò il malo ingegno, tradì il cordone francescano,  e consigliò a Bonifacio di promettere il perdono ai nemici e di non mantenerlo, cosa che aveva permesso al papa di radere al suolo Palestrina. Dopo la sua morte la sua anima era stata contesa da san Francesco e da un diavolo, e quest’ultimo aveva avuto la meglio sostenendo la sua colpevolezza con sottili argomenti teologici. Per un pelo, o per un coperchio, in questo caso il diavolo fece sia la pentola che il coperchio, un romagnolo non riuscì ad entrare nel paradiso, forse non siamo stati abbastanza ospitali col Sommo Poeta.

 

 

immagine: Dante e  Virgilio nel girone dei traditori

 

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

 

 

ROMAGNOLI ALL’INFERNO (seconda parte)

Guido_bonatti,_anonimo_del_XVIII_secolo

Continuiamo la discesa all’ inferno coi romagnoli.  All’ottavo cerchio, da cui Dante dirige il suo sguardo verso il fondo della quarta bolgia, dove una moltitudine di anime, quelle degli indovini, avanza in silenzio piangendo. Ciascuna di esse ha il viso completamente rivolto all’indietro, in modo che le lacrime bagnano la parte posteriore del corpo. Nel vedere la figura umana così stravolta Dante non riesce a trattenere un moto di commozione, ma Virgilio lo rimprovera aspramente, facendogli notare che essere pietosi verso  questi peccatori significa ignorare la vera pietà. Poi gli rivela il nome di alcuni di loro, fra questi c’è Guido Bonatti, astrologo di Forlì autore di un Liber astronomicus, trattato astrologico che ebbe larga fortuna. Visse alle corti di Federico II, Ezzelino da Romano, Guido Novello e Guido da Montefeltro. Il “Liber decem continens tractatus astronomiae, di cui esistono vari esemplari e vennero pubblicate diverse edizioni a stampa, che dimostrano  il credito e l’interesse che il testo suscitò anche nei secoli successivi. Sorvolando sulle implicazioni matematiche, Bonatti vi esponeva gli elementi basilari dell’astronomia tolemaica, aggiungendovi i risultati delle proprie ricerche ed osservazioni, con l’individuazione di ben 700 stelle. Nel  XXIII canto, il girone dei seminatori di discordia, Dante incontra un altro romagnolo, è il girone in cui si trova pure Maometto. Si avvicina un altro dannato con la gola squarciata, il naso mozzato e un solo orecchio, che dopo aver osservato Dante emette la voce attraverso la ferita nel collo: si rivolge al poeta dicendo di averlo conosciuto in Terra e si presenta come Pier da Medicina, originario della Pianura Padana. Invita Dante ad ammonire Guido del Cassero e Angiolello da Carignano circa il fatto che saranno gettati fuori da una nave e uccisi presso Cattolica, per il tradimento del malvagio tiranno di Rimini, li attirerà in un tranello con la scusa di parlare e poi li ucciderà prima di giungere a Focara. Chi sia questo Pier da Medicina non si sa bene, ma certo se continua, anche all’inferno a far previsioni funeste è certamente inguaribile come seminatore di zizzania. Dante è assai severo con gli indovini  e con chi professa previsioni e proprie idee causando discordia, questi ultimi hanno gli arti tagliati e stanno bagnati nel sangue, Dante forse non sa che pure lui  verrà  additato di essere un indovino, mago ed alchimista. Dante come buona parte dei poeti del Dolce stil novo faceva parte  probabilmente di un ordine segreto iniziatico, i Fedeli d’Amore, legato ai Templari ed in forte sospetto di eresia. In tutte le loro poesie e nei loro scritti troviamo il simbolismo della Donna come Sapienza Trascendente. Il Saluto della Donna è descritto come un’esperienza travolgente. L’inizio della Divina Commedia descrive come Dante ad un certo momento della sua vita si trovi smarrito nella selva oscura. Questa crisi spirituale è comune a molti ricercatori che, dopo avere intrapreso con i propri sforzi il cammino interiore, si trovano ad un  certo momento ad un punto morto, in una situazione di angoscia e disperazione. Con la guida di Virgilio Dante entra nell’Inferno, inizia cioè il viaggio al centro della Terra, esperienza che gli alchimisti denominavano VITRIOLVM. La ricerca della pietra filosofale o più semplicemente l’oro in sé stessi. Perché quest’impresa riesca è necessario che sia intrapresa con cuore puro, con un’intenzione corretta e insieme ad una guida. Dante sa bene il pericolo che corre e nella Commedia si raccomanda ben spesso che Lui vuole restare nella retta via, il viaggio dentro sé stessi può portare alla follia. A Ravenna, Enti, Fondazioni e singole Persone dedicano a  Dante e alla  Divina Commedia studi, convegni, spettacoli, hanno tradotto e letto la Commedia in tante lingue, in una splendida gara alla Bellezza. A me piace segnalarvi le letture e le spiegazioni dei Canti che si tengono ogni lunedì alle ore 18, al Seminario Arcivescovile, di fronte al Duomo. Il corso ha la durata di un anno scolastico ed è aperto a tutti e gratuito.  Il Professore è Padre Alberto Casalboni studioso dei Frati Minori Cappuccini di Ravenna che oltre ad essere un fine conoscitore di Dante insegna l’amore per gli altri e per la conoscenza.

 

 

immagine: Guido Bonatti

 

 

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

 

I ROMAGNOLI ALL’INFERNO (prima parte)

paolo_e_francesca

I fumatori o le fumatrici l’inferno già lo vivono in terra, stanno col fuoco  tra le labbra, malvisti come untori dell’altrui salute  oltre che suicidi della propria vita, puzzano, sono sporchi brutti e cattivi, scialacquano il loro denaro in fumo, peggio dei giocatori incalliti e dei bevitori, quindi alla loro morte, avendo vissuto in terra l’inferno andranno sicuramente in paradiso nel  primo cielo, che  è il cielo della luna, considerato un pianeta nel Medioevo, e la cui caratteristica peculiare è l’incostanza: risiedono qui, infatti, le anime di coloro che mancarono ai propri voti, non per scelta bensì perché costretti. Infatti si vorrebbe smettere di fumare ma non ci si riesce. Io sono una fumatrice, e andrò in paradiso, mi è venuta quindi la curiosità di sapere quali romagnoli Dante mise all’inferno. I primi due, i più famosi,  Paolo e Francesca non meritarono certo l’inferno, altrimenti oggi non ci sarebbe più posto, mentre sarebbero vuoti  sia il purgatorio che il paradiso.  Dante e Virgilio scendono al secondo girone, quello dei lussuriosi. I due poeti entrano nel luogo dove sono puniti i lussuriosi, travolti dalla bufera che castiga l’insana passione. Una schiera di anime incuriosisce Dante che chiede notizie al maestro. Virgilio prontamente risponde, ed elenca alcuni di questi lussuriosi, morti in modo cruento. Si sofferma su Semiramide e poi indica donne e uomini, protagonisti del passato mitologico e storico: Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paride, Tristano. Dante colpisce i protagonisti di grandi amori, qui è un po’ ipocrita perché lui personalmente idealizzava Beatrice, ma con le altre si dava da fare carnalmente. Dante scorge due anime che procedono insieme e sono al vento più leggere. Egli domanda a Virgilio di potersi intrattenere con loro e quando si accostano le invita a restare e a parlare ed esse si fermano desiderose. I due infelici amanti, uniti anche nell’eternità, sono Paolo e Francesca. La donna rammenta la città natale, Ravenna, e accenna al suo innamoramento per Paolo, seguito dalla tragica morte per mano del marito Gianciotto, geloso e vendicativo. Un grande turbamento assale Dante che pensa ai casi dei due amanti, alla dolcezza del loro amore così tragicamente concluso. Dante sviene, sa che anche lui non è uno stinco di santo, forse il girone lussurioso capiterà pure a lui, e a tutti noi, sarebbe ora di togliere la lussuria dai vizi, fa bene alla salute, rende allegri e sereni, toglie la rabbia e il livore, la Chiesa è entrata in camera da letto nel milleduecento, sarebbe ora che ne uscisse… ma purtroppo i tempi non sono ancora maturi. La  Chiesa, nel Medioevo, accettò le regole del diritto germanico in materia matrimoniale, benché fossero completamente diverse da quelle del diritto romano, dal momento che non riconoscevano alcuna autonomia alla volontà degli sposi.  Per lungo tempo invece la chiesa si oppose soprattutto a due aspetti del diritto germanico, lo scioglimento delle famiglie per ripudio o divorzio consensuale e il concubinato ammesso accanto al matrimonio principale (Carlo Magno arrivò ad avere fino a quattro concubine). Nel frattempo la chiesa  riuscì ad imporre la propria visione  nell’XI-XII secolo.  il prete, dopo aver indagato sui rapporti di consanguineità, doveva accertare negli sposi l’esistenza di una libera volontà presente. Il matrimonio divenne così materia di diritto canonico:  il matrimonio come l’unione dell’uomo e della donna che fonda tra loro una comunità di vita. Mentre fra teologi e canonisti restava aperto il dibattito sul rapporto fra dottrina del consenso ed effettiva unione sessuale… ecco su questo ultimo tema occorrerà tenere a mente Herbert Marcuse e la repressione come prezzo per la civilizzazione, se vuoi vivere civilmente devi reprimerti,  sarà per questo che  si dice che il matrimonio è la tomba dell’amore?

 

 

immagine:  Paolo e Francesca all’inferno

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”