Le nonne, il loro matterello e la spoja lorda conquistano la Gran Bretagna

Le nonne, il loro matterello e la spoja lorda conquistano la Gran Bretagna

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cultura Romagna, del 17 Set 2018, 15:49

L’Emilia-Romagna vanta una grande tradizione culinaria: l’arte della pasta fatta in casa: le mitiche sfogline che tirano la pasta all’uovo con olio di gomito, munite di matterello e tagliere creando veli e tessuti color dell’oro, ottenendo poi tortelli, tagliatelle, cappelletti, spoja lorda e altro. Le sfogline sono un patrimonio culturale da proteggere e preservare.

Anni fa, ai tempi della nonna, della mamma e della suocera, in Romagna andava di moda un detto: “Puoi essere bella o quanto vuoi, ma se non sai fare la sfoglia non vai da nessuna parte”, e ai tempi fare la sfoglina era un po’ più difficile, in quanto c’era la miseria e spesso si tirava la sfoglia matta cioè con l’acqua al posto delle uova. La preparazione della sfoglia rappresentava il vanto delle giovani spose. Era la valutazione con la quale il marito e la suocera ne misuravano le qualità.

A tal punto che nelle famiglie patriarcali, dove convivevano in tanti, l’azdora era solita dare la quantità giusta di uova, ovvero un uovo per etto di farina, alle figlie, mentre dimezzava la quantità per le nuore, (la  farina con meno uova e l’aggiunta di acqua diventa meno elastica e tirando la sfoglia si creano i classici buchi… orrore degli orrori per una sfoglina fare i buchi nella sfoglia) per far fare bella figura alle figlie, soprattutto se non le piaceva tanto la nuora. Detto questo intendo parlarvi di una pasta un po’ meno conosciuta ma che a colpi ad sciaddur (il matterello) sta facendosi largo: la spoja lorda anche detta mnëstra imbutida (minestra imbottita).

E’ una pasta fresca tirata a mano, tipica dei giorni festivi, l’azdora la preparava quando aveva poco tempo a disposizione. Oppure se avanzava del ripieno dei cappelletti. La spoja lorda veniva lordata/sporcata per metà sfoglia con un “battuto” a base di formaggio morbido, parmigiano e uova. L’altra metà si ripiegava sopra e poi con la speronella (la rotella tagliapasta) si tagliava in orizzontale e in verticale. Ottenendo tanti quadretti che poi venivano tuffati nel brodo di gallina o di altra carne.

Venerdì scorso 14 settembre, a Lugo, si è svolta la finale del concorso gastronomico “Basta ch’u s’megna”, che ha riunito per la prima volta tutte le Pro Loco della Bassa Romagna. La sfida finale si è svolta tra Lugo, Cotignola, Alfonsine e Sant’Agata sul Santerno, la vittoria è andata alla Pro Loco di Lugo che ha vinto con la spoja lorda alla pancetta e radicchio, in genere come detto sopra, la morte di questa pasta è il brodo. Ma la Pro Loco di Lugo ha scelto di condirla con sugo di pancetta, cipolla e radicchio per renderla un poco estiva. Il brodo d’estate non è propriamente adatto e la spoja lorda ha così battuto cappelletti, ravioli e tagliolini.

Si dice che la spoja lorda abbia avuto origine nei pressi di Brisighella. Vero o non vero, Brisighella, l’ameno borgo dei tre colli, che si trova a pochi chilometri da Faenza, dedica a questa pasta, nel mese di aprile, una festa in cui la spoja lorda si può assaggiare presso lo stand gastronomico dedicato ed in ogni ristorante del territorio. La fama della spoja lorda non è finita qui, è arrivata in Gran Bretagna…  su You Tube il video della settantasettenne Gisella di Faenza, che prepara la spoja lorda, ha totalizzato ben 16.906 visualizzazioni.

Come è successo? Qualche anno fa  Vicky Bennison  ha creato il canale YouTube, Pasta Grannies (la pasta delle nonne). Filmando oltre duecento anziane donne italiane mentre preparano la pasta fatta in casa. Il progetto è nato quattro anni fa. Ma solo ultimamente si sono impennate le visualizzazioni, con oltre i 2 milioni di click per i complessivi video. Un progetto ideato per valorizzare ricette e tradizioni regionali della pasta fatta in casa a livello internazionale.

I video sono brevi ma pregni di percezioni ed emozioni antiche. Ognuno presenta un piatto di pasta e la sua preparazione. Oltre alla spoja lorda, cappelletti, tagliatelle, ravioli, pici, (tipici del sud della Toscana), culurgiones (i classici ravioli della Sardegna) e tanti altri piatti italiani che sono una ricchezza che molti ci invidiano. E le nonne d’Italia, sono così diventate, meritatamente, le stelle della cucina. Senza gli effetti speciali di molte delle trasmissioni culinarie televisive, anche se per questo è occorsa una esperta di gastronomia inglese. E ora vi lascio il link del video di Gisella mentre prepara la spoja lorda.  https://www.youtube.com/watch?v=FrucdNhbnnc

Paola Tassinari

Viaggio nella tradizione culinaria della Romagna

Viaggio nella tradizione culinaria della Romagna

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cronaca RomagnaCultura Romagna, del 4 Giu 2018, 17:31

 

In Italia la tradizione culinaria è diversa, da regione a regione, è sicuramente una ricchezza in più. Diversi anche i gusti e i consumi di carne. Maiali, pecore e bovini non sono apprezzati ovunque allo stesso modo. In Romagna si apprezza la carne del maiale, però questo vale solamente appunto in Romagna. Diversamente dall’Emilia, dove si ha il trionfo della pecora e del castrato. La Romagna, la “terra dei romani”, come allora erano chiamati i bizantini, che si ritenevano i veri romani in quanto l’Impero Romano d’Occidente, era caduto.

La pecora era l’animale simbolo della tradizione romana. Il maiale, che i romani pure apprezzavano, era un simbolo alimentare delle genti germaniche. L’Emilia, occupata precocemente dai germani, in questo caso i longobardi, mentre la Romagna mantiene la tradizione bizantina/romana.

L’opposizione tra queste due culture si vede anche nel modo in cui vengono riempiti i cappelletti e i tortellini. Quest’ultimi con ripieno di formaggio e carne, si ispirano alla cultura del maiale. Mentre i cappelletti con ripieno di solo formaggio, fanno riferimento alla pecora come fornitrice di latte e formaggio. Nell’Alto Medioevo, lo scontro fra romani e barbari, si ha anche col tipo di alimentazione: la cultura del pane, del vino e dell’olio, simboli della civiltà agricola romana, si oppone alla cultura della carne, della birra e del burro, emblemi della civiltà barbarica e in particolare delle popolazioni germaniche, più legate all’uso della foresta che alla pratica dell’agricoltura.

Alla tradizione antica romana della misura, si sovrappone la cultura celtica e germanica del grande mangiatore come personaggio positivo. La misura nel cibo e nella vita degli antichi romani della repubblica, certo non coincide allo stile di quella imperiale romana, dove gli invitati approfittavano del cibo e del vino fino all’inverosimile, quello che non riuscivano a bere, mangiare e vomitare lo facevano gettare via dagli schiavi, ordinavano altro cibo con il solo scopo di vederselo servire, ma senza averlo neppure assaggiato lo facevano gettare a terra e calpestare dal viavai degli schiavi.

La presenza di tanti cibi che esaltavano i piaceri della vita, ma anche del vino dai cui eccessi spesso derivava una tristezza etilica, portava con sé anche una riflessione sulla morte, che costituiva spesso un tema rappresentato nei mosaici dei triclini (il triclinio era il locale in cui si pranzava, prese il nome dai tre cuscini, ovvero tre letti imbottiti su cui i padroni di casa e i loro ospiti si sdraiavano per tutta la durata del pranzo) nella forma di scheletri che portano anfore contornate da scritte che proclamano sentenze come “Godi, finché sei in vita, il domani è incerto”, “La vita è un teatro”, “Il piacere è il bene supremo”. Ma torniamo al convivio dei barbari del Medioevo , che era caratterizzato da una grande abbondanza di carni, poteva durare ore e addirittura giorni, allietato da danzatrici, musici, giocolieri.

Anche la posizione a tavola cambiò: dallo stare coricati sui letti, allo stare seduti sulle sedie. I due poli piano piano si avvicinarono, dando luogo a due prodotti principali giunti sino a noi, il pane e la carne. Se per la cultura romana il pane era il cibo ideale dell’uomo, per la cultura barbarica questo ruolo spettava alla carne. La tradizione del pane è giunta sino a noi, pensiamo ad esempio al coperto del ristorante che non è altro che il cestino del pane. Mentre per il consumo di carne, stanno aumentando i vegetariani, con ragioni morali più che nutrizionali. E se pensiamo a cosa accade al povero castrato prima di giungere sul nostro piatto, magari alla brace con contorno di pomodorini, i vegetariani non hanno tutti i torti.

Gli agnelli del gregge venivano prima castrati, poi fatti ingrassare dai pastori o anche dai contadini, ai quali venivano ceduti quale compenso per l’uso dei pascoli, per essere utilizzati come riserva di carne dalla famiglia. La castrazione si eseguiva per evitare che, avvicinandosi all’anno di età, la carne assumesse odori troppo forti. Inoltre, consentiva anche il pascolo di questi capi insieme al resto del gregge, senza il rischio di ingravidare le pecore presenti.

Paola Tassinari

Redazione Romagna Futura

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