QUANDO NATALE ERA YULE

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Vorrei tanto che fosse un Buon Natale per tutti voi, che fosse un Natale vero, in modo da crederci veramente che il Bimbo nasce per salvarci ed aiutarci. Se poi ci aiutiamo anche da noi e riceviamo e diamo aiuto sarà un Natale ancora più bello. Quando i missionari iniziarono la conversione dei popoli germanici, adattarono alla tradizione cristiana molti simboli e feste locali. La festa di Yule venne quindi trasformata nel Natale, mantenendo però alcune delle sue tradizioni originarie. Fra i simboli moderni del Natale che parrebbero derivare da Yule compare, fra l‘altro, l‘uso decorativo del vischio e dell’agrifoglio e l‘albero di Natale. L’albero sempreverde, l’abete, che mantiene le sue foglie tutto l‘anno, è un ovvio simbolo della persistenza della vita anche attraverso il freddo e l‘oscurità dell’inverno. Voi direte ma che ce ne importa dei tedeschi. Dovete però sapere che noi prima dei romani, siamo stati colonizzati dalle popolazioni celtiche ed è per questo, che l’agrifoglio il vischio, l’albero con le luci ha così attecchito, era nel nostro DNA prima del cristianesimo. Il  Presepe invece è tutto Italiano, pare abbia avuto origine con san Francesco d’Assisi nel 1223 a Greccio, dove si realizzò la prima rappresentazione vivente della Natività. Pensate a come Francesco doveva amare e credere il quel Gesù Bambino. Proviamo a crederci per davvero anche noi? Un tempo non molto lontano il Presepe era un rituale che rappresentava la vittoria della Luce sulle Tenebre e la Rinascita spirituale. Non si comprava ma lo si costruiva da soli, chi era bravo lo costruiva bello, il mio aveva della carta blu  con le stelline che, la conservavo come un tesoro, rappresentava il cielo. Due ciocchi di legna che erano la grotta, un po’ di ghiaia, un po’ di muschio, raccolto i giorni prima sfidando il freddo, il bue l’asinello, Giuseppe, Maria, il Bimbo, i Re Magi e basta. Noi bambini non vedevano l’ora che arrivasse la mezzanotte esatta del 24, quando la mamma deponeva il Bimbo nella mangiatoia, poi arrivavano i re Magi che tutti i giorni facevano un passo, finalmente il 6 gennaio scendevano da cavallo con i doni per Gesù. Tutto ha significato nel Presepe: la grotta, proviene dalla tradizione di moltissime culture in cui rappresentava la porta d’accesso al regno dei misteri: il varcarla significa entrare in un mondo sconosciuto ed oscuro, l’unico dove il mistero può prendere vita. Il bue rappresenterebbe il popolo ebreo, l’asinello il popolo pagano, mentre le vesti  dei  tre Magi richiamano i tre colori della trasformazione alchemica (nigredo , albedo, rubedo). Il viaggio dei Magi è il nostro cammino verso l’auto-realizzazione e richiama anche il cammino giornaliero del sole, nero durante la notte, bianco all’alba e  rosso al tramonto. Ed  ora se avete voglia di costruirvi un piccolo presepe, prima di tutto uscite a fare una bella passeggiata in pineta, raccogliete delle pigne di varie dimensioni. Già fare una passeggiata in pineta è auto rigenerativo. Poi procuratevi qualche pallina, quello che trovate, anche noci volendo, dei pezzetti di stoffa colorata e del silicone o colla a caldo. Potete decidere se utilizzare la tempera per dare colore al corpo del personaggio dipingendo la pigna, oppure applicare dei pezzi di stoffa a mo’ di vestiti. Usate la fantasia fate un po’ voi.  Se poi avete raccolto molte pigne e quest’anno causa la crisi non avete speso soldi in decorazioni, ricordatevi che per il vostro albero di Natale, potete prendete in considerazione le pigne. Potete colorarle con vernice spray argento o in altri colori e poi appenderle all’albero. Oppure con le pigne più piccole fare dei segnaposto dopo averle decorate con bacche colorate e rametti d’abete, altrimenti un centrotavola, mettendo le pigne su un piatto largo, con rametti d’abete e in mezzo una grossa candela rossa. Ho iniziato coi tedeschi e chiudo con loro, questo è il mio regalo per voi: una storia vera. Nel 1914, l’Europa era divenuta teatro della Prima Guerra Mondiale, in un’estenuante lotta di logoramento combattuta in trincea. I soldati si lanciavano all’attacco del nemico, guadagnando o perdendo poco terreno. La sera della Vigilia di Natale, i tedeschi addobbano la propria trincea, scambiandosi gli auguri, qualcuno iniziò a cantare Stille Nacht (Astro del Ciel il titolo in italiano). Al canto si unirono gli altri tedeschi e poi gli inglesi dalle trincee opposte; cantarono tutta la notte, ognuno nella propria lingua. La mattina di Natale i tedeschi esposero dei cartelli: ”Non sparate, noi non spareremo”. Poi dalla trincea uscì un tedesco disarmato e poi gli altri e gli inglesi fecero altrettanto, sul loro volto l’incredulità. A Ypres, in Belgio 100  anni fa, uomini di buona speranza invece di uccidersi fra loro disputarono una partita di pallone. Le porte furono dei cappotti e i palloni stracci con sabbia legati con dei cordoni. Fecero questo perché era il giorno di Natale. Auguri a tutti voi.

 

 

 

immagine: Corteo dei Magi in Sant’Apollinare Nuovo (Ravenna)

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

DON CHISCIOTTE A RAVENNA

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Non avevo mai voluto leggere il Don  Chisciotte, io amante di Achille, di Rolando, dei Cavalieri della Tavola Rotonda come potevo amare o leggere le avventure di uno scalcagnato cavaliere, pazzo, brutto e rinsecchito? Di un cavaliere di cui tutti ridevano. Il Don Chisciotte di Miguel Cervantes, lo avrete letto tutti e quindi vi scrivo solo una brevissima traccia per rammentarvelo, per darvi poi alla fine una notizia che forse non conoscete. E’ la storia di un hidalgo, un signore spagnolo benestante, appassionato di romanzi cavallereschi. Tanto lo avvinceranno queste letture che Alonso Quijano, il nostro eroe, finirà per credersi egli stesso un cavaliere errante. Partirà in cerca di avventure  per difendere i deboli e gli oppressi e coinvolgerà Sancho Panza come suo scudiero che non sempre lo asseconderà nelle sue follie visionarie. Ovviamente la Spagna che si troverà di fronte non è affatto quella dei suoi amatissimi romanzi ma lui non se ne accorgerà neanche. Combatterà con improbabili nemici e mostri frutto della sua fantasia e ne risulterà sempre sconfitto suscitando  il sollazzo degli altri. Per fortuna che poi ho letto questo capolavoro, quanto riso, quanta poesia, quanto divertimento, quanto amore vi è  nelle sue pagine. Don Chisciotte vive la vita che vuole, leggero passa incurante degli altri, ha uno scopo nella vita e lo realizza, fa diventare realtà il suo sogno, gli altri ridono e non vivono, lui vive con follia, ma la vita stessa non è la più pazza delle follie? Don Chisciotte solo in punto di morte sarà savio. Questo grande capolavoro è la linea sottile che unisce la vita e la morte, è il riso che sconfigge il pianto. Che c’azzecca Don Chisciotte con la Romagna? La torre civica di Ravenna in via Ponte Marino ospitava una scultura, una testa, e un bassorilievo raffigurante un cavaliere, queste figure hanno dato vita fra i ravennati  di un tempo ad un modo di dire: cercar Maria o Mariola per Ravenna, ebbene Cervantes,  nel Don Chisciotte paragona il “buscar a Marica por Ravena” col “buscar al bachiller en Salamanca”, cioè cercare ciò che è scontato. Ravenna entra così nell’immaginario dei milioni di lettori di questo straordinario romanzo.

 

immagine: Don Chisciotte di Honoré  Daumier

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

ESPERIENZE MULTISENSORIALI

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Esref Armagan è un pittore turco, realizza dipinti dai colori smaglianti in stile naif, eppure Esref è cieco dalla nascita. Infatti per sopperire alla mancanza della vista, non usa pennelli, ma mani e dita e applica una sua associazione mnemonica dei colori nonché un modo personalissimo di recepire i suoni traducendoli in colore. Secondo gli studi di John Kennedy, psicologo che opera a Toronto, la visione può essere sostituita da altri sensi, come l’udito o il tatto. Io non riesco a comprendere come Esref faccia, non sono cieca, e non riesco ad  immedesimarmi, mi sembra un miracolo. Esiste il mondo, noi lo percepiamo coi sensi e diventa così la realtà di cui ognuno di noi elabora una propria idea generata dal piacere o dal dolore che proviamo, anche se oggi oltre al dolore e al piacere siamo soggetti all’indifferenza e alla noia. Il nostro cervello dirige tutto quanto, corpo e mente, ma se non ascoltiamo il nostro corpo e lo massacriamo, il corpo farà “saltare” l’intelletto. Alcuni anni fa, portai ad una visita da un famoso oncologo, mio padre. Il professore resosi conto che io non ascoltavo le sue parole, mi scrisse a mano un foglietto, chiedendomi di leggerlo attentamente, io annui e lo lessi. A casa con mia madre, riferii notizie positive. Mio padre morì due settimane dopo. Mia madre mi accusò di leggerezza, perché non le avevo riferito le parole del foglietto, glielo presi dalle mani e lessi le terribili parole, parole che due settimane prima non avevo visto, il mio cervello o il mio corpo (gli occhi) me le avevano nascoste. Quindi c’è altro oltre ai sensi e alle percezioni. Non so a voi, ma a me capita di ingozzarmi di cibo che mi fa male, solo perché magari esco fuori a cena con l’acquolina in bocca e trovo… robaccia. Allora mi punisco, non so perché mi ingozzo di ciò che non mi piace e poi la notte sto male. Mi ricordo di un buffet, dove praticamente c’erano solo wurstel fritti, la delusione ha fatto sì che forse ne mangiassi un chilo, pensate alla notte che ho passato. Il cibo è un’esperienza multisensoriale. Credete che solo il gusto entri in gioco? L’olfatto, il profumino non vi entra nelle narici? Lo sanno bene le industrie alimentari che aggiungono additivi chimici. Il mio gatto impazzisce per i croccantini, se gli do una fetta di prosciutto mi guarda schifato, ed arriccia il naso, come a dirmi: ”che brutto odore”. E la vista, un trionfo di dolci o di frutta non vi estasia? Od anche semplicemente una tagliata alla Robespierre, cioè con rucola e pomodorini (si chiama così in dispregio al rivoluzionario che finì con la testa tagliata). E credete che l’udito non influisca, pensate al  cric/croc o al gnam/gnam? Ed ultimo il tatto, cosa fate per sentire se il pane è fresco o morbida la torta? Tutte queste premesse per dirvi che quando ho iniziato a leggere la Voce, rimasi affascinata da un giornalista molto bravo, ma terribile, dava contro ai romagnoli. Ero così arrabbiata che telefonai alla redazione del quotidiano per dargli del “porco utilitarista”(la definizione sugli utilitaristi non è mia). Leggevo i suoi articoli e fremevo, scalpitavo, aveva osato infamare anche la nostra cucina. Un inglese osava criticarci, ospite nella nostra terra. Poi lessi un suo articolo sulla natura, sui campi e le lucciole della Romagna, e capii che era più romagnolo lui che quelli nati qui. Da allora non mi scandalizza più e così posso ammettere che sul cibo di oggi in Romagna ha ragione lui con le sue critiche…  però l’altra sera sono stata invitata in un paesino, a Gambellara, in provincia di Ravenna, qui ho ritrovato la cucina della nonna. I miei sensi si sono messi all’erta, la vista per prima, poi il naso ed infine le papille riconoscevano, la giardiniera fatta in casa, era proprio lei, non la mangiavo da trent’anni, la marmellata di pomodori verdi e la mano allunga e tasta il triangolo della piadina fragrante. L’udito però mi sembra di non averlo usato, in quel momento non era importante.

 

 

immagine: Natura morta di Esref Armagan

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

CARNIVORI CON SENSO DI COLPA

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In Italia ci sono più di 5 milioni di vegetariani. Sono veramente in tanti, negli ultimi anni, a scegliere uno stile di vita vegetariano. Niente carne, per compassione verso gli animali o semplicemente perché si pensa che faccia male. Il numero delle persone vegetariane aumenta ogni anno, anche eccellenti personaggi in tempi antichi lo erano già. Il filosofo Pitagora predicava, lo stile di vita vegetariano. I pitagorici  detestavano qualsiasi forma di uccisione. Fra i vegetariani c’era pure Ghandhi, ciò avvalora la tesi che a non mangiare carne si è docili e comprensivi, ma anche Hilter era vegetariano e non mi pare che lui fosse una persona mite. Pure Leonardo Da Vinci era vegetariano. Leonardo scriveva che “i nostri corpi sono sempre più le tombe degli animali”, mentre era pienamente convinto che sarebbe arrivato il giorno “in cui gli uomini considereranno l’uccisione di un animale come oggi considerano l’assassinio di un uomo”. Con quest‘ultima affermazione di Leonardo sono totalmente d’accordo anch’io. Da bambina ho assistito all’uccisione del maiale. La nonna mi diceva che era una festa, che il maiale era contento di diventare salsiccia e prosciutto. Arrivò il povero animale, i miei zii e mio babbo lo punzonavano con un forcale, il porco coi suoi piedi  ungulati conficcati nel terreno resisteva, lanciando grugniti spaventosi e lancinanti. Io misi le mani sulle orecchie e scappai correndo a vuoto, da un ambiente all’altro. Mi ritrovai nel luogo del delitto, il povero animale era appeso, il corpo rosato, grande, grosso  e morto. La nonna con uno spillone infilato nel suo collo gli toglieva il sangue che era rosso e pareva vivo, sembrava che lì scorresse ancora qualcosa di esuberante, di vivente. Il sangue serviva per preparare il migliaccio che è un dolce. Invano la nonna tentò di farmelo mangiare, mentendo e dicendomi che non c’era il sangue che conteneva solo il cacao, ben sapendo quanto io fossi golosa di cioccolato. Non ho mai mangiato il migliaccio, però gradisco assai la salsiccia, il prosciutto ed il salame. Vorrei essere vegetariana ma ho bisogno della carne, mi serve perché ho carenza di ferro e di vitamina B12, ma non volendo essere ipocrita, vi dico che pure mi piace. Il mio piatto preferito è la tagliata con rucola e pomodorini. Ho poi la tendenza ad ingrassare, a chi piace essere sovrappeso oggi? A nessuno e non credete alla balla che sono magri per costituzione, lo sono perché mangiano poco. La carne è gustosa ed è ipocalorica.  Mi ricordo un’intervista ad Isabella Biagini, la brava artista caduta in povertà, dichiarava che era ingrassata tantissimo perché non poteva permettersi di comprare carne e mangiando solo pasta e pane il suo corpo era lievitato. L’ideale sarebbe mangiare carne senza uccidere gli animali. E’ possibile? Tecnologicamente è fattibile, un gruppo di scienziati sta lavorando alla “meat in vitro”, ovvero alla carne artificiale. La carne sintetica  è carne prodotta senza utilizzo di animali. Il primo assaggio della polpetta di carne bovina realizzata in provetta e creata da Mark Post, dell’università olandese di Maastricht ha dato pareri contrastanti. Coldiretti polemizza: “Agli italiani non piacerebbeeppure fra il gruppo degli scienziati che porta avanti questo progetto vi è anche un giovane romagnolo, forse pure lui non vuole rinunciare ad un succulento piatto di carne e allo stesso tempo non vuole più essere un cannibale. Perché nel futuro ci considereranno degli antropofagi che mangiano i loro simili, i loro amici animali. Il punto principale è filosofico, una rivoluzione soprattutto mentale. Da persone consapevoli e responsabili, vi mettete a tavola, trovate un hamburger di carne artificiale, lo mangereste?

 

 

immagine: carne artificiale

 

 

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”