SAN MICHELE FRA I MISTERI

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La raffigurazione di San Michele, nel  polittico di Santa Giustina a Monselice, è stato attribuito negli anni  ‘90 a Francesco de Franceschi (notizie: 1443-1468) e in anni più recenti ad Antonio di Pietro da Verona, nipote di Altichiero, documentato a Padova tra il 1405 e il 1434. Il culto di Michele è molto diffuso a livello popolare, moltissime sono le località in Europa che hanno scelto Michele come loro patrono, innumerevoli sono le rappresentazioni artistiche, le chiese (spesso l´Arcangelo viene rappresentato sulle guglie dei campanili, quale guardiano contro il male) dedicate a Lui e le preghiere ufficiali e popolari che lo invocano. L’imperatore Costantino I a partire dal 313 d.C. gli tributò un culto intenso, fino a dedicargli il Micheleion, un imponente santuario fatto costruire in Costantinopoli. Carlomagno  gli dedicò il Sacro Romano Impero, imitato poi dai sovrani francesi che, fino a Luigi XIII, gli dedicarono il loro regno. Michele viene raffigurato in due ruoli, come il combattente che vince il male con la spada o come psicopompo tenendo la bilancia   come pesatore di anime. Egli è anche custode della porta del Paradiso Terrestre. La raffigurazione di Michele a Monselice, risente ancora di qualche tratto gotico, la linea non è fluida, ma l’immagine è ben intrigante, in quanto benché Michele abbia i suoi attributi: la bilancia e la spada, sembra un cavaliere templare, ha infatti la caratteristica croce e l’abito bianco. Michele ha come suo gemello terreno un santo che è il santo protettore dei cavalieri Templari: San Giorgio. Anche Giorgio combatte il male, raffigurato come un drago, salvando la principessa dalle sue grinfie, nel nome di Dio. San Giorgio è il protettore della Cavalleria, quindi della cortesia e della gentilezza. Un’altra particolarità di Michele è che le chiese a lui dedicate sorgono spesso vicino a chiese dedicate alla Madonna Nera. L’origine della devozione alle Madonne Nere è da associarsi alle tradizioni precristiane ed è connessa alle dee pagane che spesso erano raffigurate con la pelle nera, come nel caso della famosa dea madre egizia Iside o in quella della regina di Saba, che la leggenda vuole accanto a Re Salomone. Le radici della Madonna Nera affondano nella tradizione della Lilith matriarcale, che rappresentava la forza e la parità della donna. Si narra che Iside e Lilith conoscessero il nome segreto di Dio, un segreto custodito anche da Maria Maddalena che, secondo la dottrina alessandrina, “trasmise il vero segreto di Gesù”. Per molti studiosi, il culto alle Madonne Nere è da attribuirsi a Maddalena e non alla Madre di Gesù, come invece venne diffuso nei secoli successivi. Resta il fatto che il culto d’antica data alla Maddalena era legato ai luoghi delle Madonne Nere. Le culture che veneravano la dea officiavano i loro riti in particolari momenti legati alle fasi lunari, collegandoli ai periodi fertili femminili, ai parti e ai trapassi, poiché le donne, in quanto depositarie della vita, erano riconosciute come custodi dei misteri della morte. Le Madonne Nere erano interconnesse con le divinità incarnate dalla luna. La Chiesa, per estirpare antichi culti, cristianizzò molti luoghi, boschi o pozzi sacri dove il culto della dea era fertile, sostituendone i soggetti. Alcuni scrittori hanno evidenziato il rapporto tra i Templari e le Vergini  Nere e, in realtà, questo culto fiorì proprio in pieno periodo templare tra il XII e il XIII secolo. Laddove vi è stata presenza templare, vi è associazione con la devozione per le Vergini Nere. Tra tutte la più rilevante, in Italia, è la Madonna di Loreto, nelle Marche, dove la leggenda racconta che gli angeli vi trasportarono la Santa Casa di Nazareth. La Santa Casa e la Madonna Nera di Loreto sono da sette secoli una delle principale mete di pellegrinaggio della Cristianità. Ogni anno, la notte del 10 dicembre, sulle colline delle Marche si accendono innumerevoli fuochi, per ricordare la notte in cui gli angeli portarono  in volo la Santa Casa. Magari è proprio vero, con tutto quello che si è razziato a oriente, i Templari potrebbero aver portato con una nave le pietre della casa della Madonna ed averla poi ricostruita a Loreto. Anche la Romagna ha la sua Madonna Nera, si trova a Carbognano, in provincia di Rimini, ed è legata ad una storia… molto strana.

 

immagine: San Michele, nel  polittico di Santa Giustina a Monselice

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GUIDO RENI E IL PAPA

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Guido Reni nacque nel 1575 a Bologna e qui morì nel 1642, egli fa parte del classicismo del ‘600, allievo dei Carracci si discosta dal loro naturalismo giungendo ad una nuova sintesi che accoglie la grazia di Raffaello, il colorismo dei Carracci e il tratto longilineo del Parmigianino. Reni, inizialmente studiò musica, la gentilezza e l’armonia è così presente nelle sue opere. La critica è stata con lui altalenante, disprezzato da Ruskin e dai Romantici, considerato a volte lezioso a volte geniale è un grande artista malinconico, che si esprime con magistrale eleganza sia nelle tele religiose che in quelle mitologiche. In Romagna si conserva a Forlì, nella chiesa di San Biagio, la tela dell’ Immacolata Concezione e a Ravenna, al Duomo, vi sono affreschi con Gesù Redentore ed Arcangeli. Reni raffigura San Michele Arcangelo (1635 chiesa dei Cappuccini, Roma) nello splendore della sua bellezza, infatti corrisponde all’arcangelo reggitore della sefirà  Tiferet, che è la sefirà della Bellezza, nell’ Albero della Vita descritto nella Cabala. Il suo nome Mi-Kha-El  significa, “chi è come Dio?” Fin dai tempi antichissimi, Michele ha un ruolo e un affetto particolare, sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà a livello individuale e collettivo, fino alla fine dei tempi, contro le forze del male. Michele sta con gli angeli che stanno dalla parte di Dio, combatte e vince Lucifero e gli angeli ribelli, è quindi la ragione che tiene a bada gli istinti primordiali. Reni raffigura Michele avvolto in un volteggiante mantello rosso, qui simbolo di vitalità e forza, in quanto è un rosso chiaro e vivo. Michele rappresenta il nostro respiro, l’anelito alla bellezza (intesa come giusto, vero e bello). Per far sì che Michele vinca dobbiamo combattere armati e supportati (molto spesso il buono ha il male in sé) è per questo che Michele è rappresentato qui come una Madonna che schiaccia il serpente, ne ha la stessa grazia e la catena con cui dovrebbe incatenare Satana, Michele la tiene saldamente in mano, sembra una corona di rosario, ma nell’altra mano ha la spada…  Un singolare aneddoto esiste su questa tela, siamo nella prima metà del 1600 e il cardinale Antonio Barberini commissionò il quadro a Guido Reni. Il celebre pittore si dedicò con entusiasmo all’opera, manifestando comunque al cardinale le difficoltà tecniche di imprimere nel volto dell’ Arcangelo quella bellezza eterea e sovrumana che (parole sue) “al cielo né in terra potrò mai trovare”. Era noto in quegli anni che un altro cardinale, Giovanni Battista Pamphili, qualche tempo prima, ebbe modo di parlare in modo sprezzante di Guido Reni, e l’artista, molto risentito, evidentemente maturò con il quadro dell’ Arcangelo il modo di vendicarsi dell’affronto subìto. Quando infatti la tela fu terminata, i contemporanei si meravigliarono assai, non solo perché l’autore era riuscito ad imprimere la divina bellezza dell’Arcangelo, ma soprattutto  perché  era riuscito, altrettanto bene, a rappresentare la bruttezza nel viso del diavolo. Ma il diavolo, a guardarlo bene, aveva un viso conosciuto… e sì, era proprio la faccia del cardinale Pamphili! Il cardinal Pamphili, divenne papa Innocenzo X e fu tristemente famoso per essere succube di una donna, precisamente la cognata. Donna Olimpia detta la Pimpaccia divenne la dominatrice indiscussa della corte papale e di tutta Roma. Diventò, infatti, il consigliere più ascoltato dal Papa, quasi la sua ombra. Il Papa si fidava praticamente solo di lei, e proprio per questo, nel giro di pochi anni, divenne la donna più temuta e più odiata di Roma. Il popolo romano la chiamava “la papessa”. Il soprannome di Pimpaccia deriva da una pasquinata, cioè uno scritto satirico lasciato sulla più celebre “statua parlante” di Roma, Pasquino. Tra le pasquinate rimaste celebri sul suo conto: “chi dice donna, dice danno, chi dice femmina, dice malanno, chi dice Olimpia, dice donna, danno e rovina”. Olimpia era talmente avida, che alla morte del Papa corse a derubarlo di tutti gli averi e quando le chiesero il denaro per la sepoltura di Innocenzo X, rifiutò, dichiarandosi povera. Innocenzo X fu ritratto anche da Francis Bacon, questo artista inglese contemporaneo, lo ritrae disfatto e macilento, quasi urlante, forse Bacon, omosessuale, vi vede la donna di oggi che divora l’uomo, come era successo un tempo al Papa. Ma il rapporto di Bacon col suo compagno fu assai travagliato e George Dyer, questo il suo nome, si suicidò con una dose fatale di barbiturici e alcol, nel giorno che decretava il trionfo artistico del pittore britannico.

 

 

immagine: san Michele di Guido Reni

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”