Quando passa la banda…

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Mina cantava… “Una tristezza così/ non la sentivo da mai/ma poi la banda arrivò/ e allora tutto passò?”. La Banda è sinonimo di allegria, di spensieratezza. Nell’assistere a un concerto di una banda ci si trova di buonumore anche se si sta accompagnando un funerale. Era solito un tempo che ai funerali ci fosse la banda, a volte suonava l’Internazionale, ebbene in quel momento a me sembrava che il morto uscisse dal carro funebre e salisse come una tromba d’aria al cielo, tale era l’impeto della musica. Una banda è un complesso musicale formato solo da strumenti musicali a fiato e a percussione con l’assenza degli archi. Giuseppe Verdi, Amilcare Ponchielli e Pietro Mascagni, sono autori che hanno ricoperto il ruolo di maestro di banda e hanno composto per banda. Oggi nei conservatori di musica è da molto tempo possibile conseguire il diploma in Strumentazione per Banda. Esiste, la Banda da parata, da concerto, di ottoni, e poi la Fanfara, composta esclusivamente da ottoni. La musica è una materia sia scientifica che tecnica che artistica. Musica significa, “arte delle muse”quindi pensate un poco alla rilevanza e all’importanza che gli antichi greci diedero a tale arte, arte delle arti, in cui l’uomo tramuta l’aria, il respiro che dà la vita, in musica, qualcosa che ci trasporta ben oltre i sensi. Il valore simbolico degli strumenti a fiato, si mantiene attraverso le epoche e in tutte le tradizioni. Nel mito, Apollo suona la lira, vince solo con l’inganno il confronto con Marsia che suona l’oboe. In India gli incantatori di serpenti usano una sorta di flauto. Nei culti esoterici del mondo classico greco-romano (Orfici e Dionisiaci) venivano utilizzati soltanto strumenti a fiato. I Romani li usavano per manifestazioni religiose, militari e civili. Nel Medioevo si formano i primi gruppi musicali simili alla banda, tra i quali il complesso che accompagnava il Carroccio; la sacralità della musica di Chiesa viene affidata all’organo, che è assimilabile ad uno strumento a fiato. Successivamente, Mozart confermò la sacralità degli strumenti a fiato, pensate alla sua opera forse più famosa: “Il Flauto Magico”in cui i passaggi peculiari sono sempre suonati dai fiati. E’ innegabile che la musica, ogni genere, ci trasporta in altri mondi più vicini al cielo. Gli strumenti a fiato rappresentano l’istinto e l’emotività; mentre quelli a corda descrivono la razionalità e il pensiero. Gli strumenti a percussione hanno un ruolo secondario nella tradizione musicale occidentale, soltanto in tempi recenti si sono iniziati ad usare ampiamente. Presso molti popoli, i tamburi accompagnavano la preghiera, risvegliando gli spiriti che governano il mondo. Il ritmo delle percussioni non ha soltanto un senso estetico, ma anche simbolico: esso descrive il ritmo vitale del mondo, non solo, nel momento stesso in cui descrive lo spirito che governa la realtà, modifica quest’ultima, assumendo la funzione di strumento magico. L’origine della banda, così come è intesa oggi, risale al XIV secolo, prestava servizio presso le Corti. In Italia, invece, fino al 1860 non esistevano bande con l’organico predefinito e solamente lo stato Pontificio possedeva qualche banda che lavorava a tempo pieno, mentre altrove le bande civili suonavano per lo più in occasioni speciali, quali nozze e ricevimenti di sovrani. In Romagna, ogni città e anche diversi paesi hanno la loro Banda. A Ravenna, la Banda Musicale Cittadina, diretta dal professor Mauro Vergimigli, è una formazione composta da tanti musicisti di età compresa fra i16 e gli 80 con il compito di mantenere vive le tradizioni popolari, divulgando ogni genere di musica dal folclore alla canzone, dal marciabile al sinfonico, dall’operettistica all’operistica, dalla patriottica alla religiosa. La partecipazione della Banda Cittadina alla vita pubblica, ha trovato un formale e stabile riconoscimento da parte del Comune di Ravenna. La Banda affianca così numerosi eventi pubblici, l’ultimo, pochi giorni fa al “Raduno dei marinai d’Italia”,riconoscimento  del livello artistico raggiunto e  del ruolo che essa svolge nella diffusione della conoscenza e della cultura musicale.

immagine: Banda Città di Ravenna

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Ravenna” il giorno 18/05/2015

Brividi russi al Festival

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Nel 1914 nulla poteva evitare la guerra. A causa di un eccezionale sviluppo industriale quasi tutte le nazione europee avevano enormi quantità di armi micidiali e di flotte militari. Francia e Inghilterra volevano bloccare l’espansionismo tedesco, inoltre la Francia voleva riprendersi l’Alsazia e la Lorena. L’Austria e la Russia speravano di risolvere le loro difficoltà interne, così l’attentato a Sarajevo fu il pretesto per la Grande Guerra che sarà anche chiamata la vergogna dell’Umanità. Nel 1917 l’orrendo macello era ormai evidente a tutti ma non si vedevano sbocchi. La popolazione europea era stanca per la fame e le sofferenze, i più fortunati avevano visto tornare a casa i loro cari orrendamente mutilati. Numerosi furono gli episodi di diserzione, di automutilazione e di ammutinamento, con i conseguenti processi e le fucilazioni ai militari, a orrore se ne aggiungeva altro. Mio nonno fu fortunato ritornò a casa da Vittorio Veneto e si sposò con mia nonna, la quale era analfabeta e si innamorò di lui perché sapeva leggere. “Come hai fatto a salvarti nonno? Sparavi al nemico?”. “Ma cara la mia bambina l’unico obbiettivo era cercare un buco dove nascondersi”. Il XXV Ravenna Festival sarà dedicato al 1914, anno d’inizio del conflitto, quest’anno ne ricorre il centenario. Dal 5 giugno all’11 luglio a Ravenna, si svolgeranno una serie di spettacoli con artisti di fama mondiale. La Russia si ritirò dalla guerra perché le era scoppiata in casa la Rivoluzione, pensate che in Russia nel 1861 c’era ancora la servitù della gleba! Mi chiedo sempre se ciò non sia dovuto anche ai fiumi di vodka che là scorrono. Ma la mia non è una critica perché amo i russi, il loro folklore, la musica, la danza, la letteratura, il teatro e la loro galanteria. Così sono andata al Pala de André ad ascoltare l’anima  russa, con la Czech Philharmonic Orchestra diretta da Valery Gergiev, direttore ormai di casa a Ravenna, e Yeol Eum Som valida pianista sudcoreana. Serata calda, tanta gente, il Pala quasi pieno. Il tempo è trascorso piacevolmente con una serie di brani tratti da “Il lago dei cigni” di Čajkovskij; è continuato serenamente con l’opera 18 di Rachmaninov eseguita egregiamente dalla pianista. Il pubblico ha applaudito calorosamente. Poi è successo qualcosa, un brivido mi ha scosso la spina dorsale. Era iniziata l’esecuzione di “Quadri di un’esposizione” di Mussorgskij con trascrizione per orchestra di Ravel. Si tratta di passeggiate dall’armonia simile in cui ci sono vari incontri (chiamati quadri), alcuni belli altri meno, immaginatevi Cappuccetto Rosso nel bosco. Più si andava avanti, più in me il turbamento avanzava, avevo le braccia nude con la pelle d’oca, ma non per il freddo. Quasi alla fine del brano quando c’è l’incontro con Baba Jaga ho capito che la nostra vita è un inferno e che forse ci piace così e che il paradiso può essere un po’ noioso. Baba Jaga è un personaggio della mitologia slava, in particolare di quella russa, corrisponde un po’ al nostro “Uomo nero”. Nei racconti della Russia, è una vecchia strega orribile,vive in una capanna che poggia su due zampe di gallina,le cui mura sono fatte di ossa umane. Baba Jaga  è collegata alla leggenda del Cavaliere Bianco che rappresenta il giorno; del Cavaliere Rosso, che rappresenta il sole; del Cavaliere Nero che rappresenta la notte. Baba-Jaga è un simbolo dell’inferno, collegata alla paura, all’ignoto e alla morte. E questo terrore è reso perfettamente dalla musica di Mussorgskij, il cui violento espressionismo mi è esploso nelle viscere. Quasi batto i denti dalla paura o dal piacere?A metà quadro gli strumenti sono quasi in silenzio ciò incute ancora più terrore: cosa succederà? Stridore, tempesta, boati, fucilate e in sottofondo colpi sordi e profondi, può il frastuono essere silenzioso? Mi piace l’inferno o ne ho timore? Sono tesa come una corda di violino, il Maestro sembra  dirigere dei demoni. Nell’ultimo quadro: “La grande porta di Kiev”, la tensione si allenta, sta succedendo qualcosa in cui non credo: la salvezza, il paradiso, la liberazione dal male. Dopo la tragedia una catarsi grandiosa! L’epilogo un trionfo per il Maestro, per i musicisti e per la vita.   

immagine: il concerto al Pala de André

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 26/06/2014