Ultimi giorni di Bel Paese

Fortunato Depero  “Guerra, Guerra!”

Sino al 14 giugno il Museo d’Arte di Ravenna ospita la mostra “Il Bel Paese. L’Italia dal Risorgimento alla Grande Guerra, dai macchiaioli ai futuristi”, a cura di Claudio Spadoni. La visita è introdotta dalla frase di Dante “bel Paese là dove il sì suona” (Inferno, XXXIII).  Il Poeta la scrive come invettiva contro l’Italia bella sì, ma violenta. Si inizia col dipinto: “Veduta fantastica dei principali monumenti d’Italia” (1858) di Petrus Henricus Theodor, il pittore colloca fra mare e monti, la Lanterna di Genova, San Marco di Venezia, il Duomo di Milano, le Torri di Bologna, e poi sempre più giù per arrivare al Vesuvio. Ci sono poi le tele che ritraggono i momenti della guerra, l’assalto a Porta Pia, Garibaldi all’assalto di Roma, una bella vivandiera e momenti di riposo in caserma, i colori sono brillanti, le scene luminose, la guerra non pare tanto brutta. Molte vedute riguardano i monti, due molto evocative, realizzate con pastelli su carta, sono di Gaetano Previati, pittore ferrarese, simbolista e divisionista, rappresentano il Resegone e il San Martino, monti lombardi citati nei Promessi Sposi dal Manzoni. Si può poi ammirare un’immagine  del sobborgo di Porta Adriana a Ravenna del 1875, di Telemaco Signorini, pittore macchiaiolo, e notare così quanto fosse povera e desolata la città, le donne con la testa e le spalle coperte da scialli neri, una al centro della strada a piedi nudi con una fascina sulla testa. L’opera “Balcone del Palazzo Ducale” del 1881 è una gioia per gli occhi, è del veneziano Giacomo Favretto, uno dei più importanti maestri dell’Ottocento italiano; pittore che ebbe enorme successo nonostante la breve vita. Troviamo anche un dipinto che raffigura la mondanità, è del pittore ferrarese Aroldo Bonzagni, artista che rappresenta il reale con molta ironia: su uno sfondo rosso avanzano donne superbe e damerini impomatati, Bonzagni rende tangibile la loro arroganza. Una tela del pittore francese Jean-Victor Schnetz raffigura il lancio delle violette, al carnevale romano, fra ragazzi e fanciulle. Forse un antico ricordo della festa romana che si teneva alla fine di febbraio in onore di Attis, dal cui sangue per amore nacquero le viole. In Francia, ancora oggi si trovano i fiori di viole zuccherati, che i ragazzi donano alle loro innamorate per San Valentino. “I grassi e i magri” luminosa tela di Enrico Lionne esponente del Divisionismo romano. In un prato all’aperto ricchi signori ben panciuti mangiano accanto a tavole imbandite, mentre due suonatori magri stecchiti cercano di raggranellare qualcosa allietandoli. Sorrido fra me, oggi in occidente  la magrezza è un pregio inestimabile, paradossalmente sono i poveri a essere grassi in quanto mangiano molta pasta che costa poco, ma ingrassa. Poi una serie di ritratti di donne belle come Madonne, popolane sì, ma fiere, tra cui il ritratto di Vittoria Caldoni, figlia di un vignaiolo di Albano che a quindici anni venne scoperta per la sua bellezza. Divenne nota in tutta Europa, posando per i più noti pittori, incarnando l’ideale della bellezza popolare italica. Queste ragazze le ritroviamo coi loro lavori umili e faticosi: “La sbianca” del monzese  Eugenio Spreafico, le fanciulle dopo aver lavato i teli li stendono sull’erba per farli sbiancare. Oppure “Le gramignaie al fiume”, del macchiaiolo fiorentino Nicolò Cannicci, del 1891. Le gramignaie erano giovani donne che per combattere la miseria, raccoglievano nei mesi di febbraio-marzo la gramigna, poi pulivano le piante al fiume stando a piedi nudi nell’acqua gelida e infine le vendevano come medicinale per le bestie. Finite le scene poetiche del verismo macchiaiolo, troviamo i futuristi. Un collage di Fortunato Depero dal titolo “Guerra, Guerra!” del 1915, mostra al centro della composizione astratta una foto di un giovane rabbioso col pugno alzato. I futuristi volevano che l’Italia entrasse in guerra, e guerra fu, volevano spaccare tutto, non salvare niente perché tutto era marcio. Rabbrividisco con modalità diverse sta accadendo anche oggi. La mostra termina con la pacata immagine del metafisico Giorgio De Chirico e una mirabile sinfonia di rossi di Felice Casorati.

 

immagine: “Guerra, Guerra!” di Fortunato Depero

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno25/05/2015