Usi, costumi e pregiudizi dei contadini napoleonici

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Tradizione è ciò che ci viene trasmesso, come un’eredità, sono abitudini che a volte sono preziose e sono da mantenere, altre volte sono da abbandonare, in qualche caso è meglio lasciare il vecchio per abbracciare il nuovo, altrimenti non ci sarà posto per il futuro. La tradizione ci da sicurezza ispira fiducia, pensiamo spesso al buon tempo passato guardando con paura al progresso e alla scienza.     Michele Placucci (Forlì 1782-1840) era segretario generale di Forlì ebbe così l’occasione di conoscere i risultati dell’inchiesta svoltasi nel 1811 condotta dal Governo del Regno d’Italia, siamo in epoca napoleonica, da cui trasse l’opera: “Usi, costumi e pregiudizi dei contadini della Romagna”. Placucci scrive su ogni ambito della vita del contadino romagnolo. Il libro inizia con le credenze: se senti cantare la civetta per tre volte avrai un morto in casa, se il cane abbaia a lupo avrai una disgrazia, se la gallina fa il verso al gallo altra triste disgrazia, né di martedì  né di venerdì  mai iniziare un lavoro o partire ed altre simili. Io che sono nata in campagna vi posso dire che queste convinzioni erano in uso fino a pochi decenni fa, a tal punto che se sento cantare la civetta sto bene attenta a quante volte lo fa. Ma voglio raccontarvi una storia di povertà di quando si era veramente poveri e le famiglie bisognose mandavano i propri figli a lavorare presso la casa di un contadino più abbiente come garzone, che il più delle volte voleva dire lavorare dalla mattina presto fino a sera e poco cibo perché non ce n’era. Erano ragazzini, era lavoro minorile, per tradizione, il giorno scelto per la loro partenza era il 25 marzo, i maschi lavoravano nei campi e nelle stalle, le femmine in casa con l’azdora. Valmina siccome in famiglia erano in tanti fu mandata in una casa colonica della campagna riminese, aveva dieci anni, doveva lavorare sempre, continuamente rimproverata e se per caso le rimaneva un po’ di tempo l’azdora le faceva lavare le zampe alle galline. Valmina aveva paura delle galline perché la beccavano e un bel giorno non ce la fece più fece un fagotto con  le sue poche cose e se ne andò di notte, fece venti chilometri a piedi, non ebbe mai paura, ritrovò la sua casa. La sua famiglia non ebbe il coraggio di rimandarla indietro. Valmina oggi non c’è più la vita con lei è stata sempre molto dura, ma lei l’ha affrontata col sorriso avendo fiducia nel progresso.  

immagine: la gazza

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 30/06/2014