QUELLE VENERI UN PO’ FOLLI

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La mostra al MAR di Ravenna,“La seduzione dell’antico. Da Picasso a Duchamp, da De Chirico a Pistoletto” sarà visitabile sino al 26 giugno 2016. L’esposizione, a cura di Claudio Spadoni, documenta lo sguardo verso l’antico non solo degli artisti che vi si rivolgono quasi mutuando le grandi opere del passato, alla memoria antica, pescano a piene mani anche le avanguardie trasgressive, rivisitandola con un pensiero nuovo a volte sconcertante o inquietante. Una mostra ricca di protagonisti, De Chirico, Morandi, Carrà, Martini, Casorati, che alla fine della Prima Guerra Mondiale testimoniano il bisogno di un ‘ritorno all’ordine e al rigore’, gli artisti di Margherita Sarfatti e Sironi che invece affermano una melanconia di fondo, le opere del ‘Realismo magico’ estranianti e piene di mistero, il ‘neobarocco’, con Scipione, Fontana e Leoncillo; gli artisti della Pop Art e i rappresentanti dell’Arte Povera, e poi Duchamp, Man Ray, Picasso, Klein, ed altri ancora. Tra le opere esposte anche la famosa riproduzione della Gioconda realizzata da Marcel Duchamp, dissacrata con baffi e pizzetto. La Gioconda era allora all’apice della fama, il 22 agosto 1911, venne scoperto il furto della Monna Lisa, il quadro si riteneva perso per sempre. Si scoprì che un impiegato del Louvre, Vincenzo Peruggia, convinto che il dipinto appartenesse all’Italia e non dovesse quindi restare in Francia, lo rubò uscendo dal museo a piedi con il quadro sotto il cappotto. Comunque, la sua avidità lo fece catturare quando cercò di venderlo, il quadro venne esibito in tutta Italia e poi restituito al Louvre nel 1913 con grande clamore. Marcel Duchamp ridicolizza il pensiero collettivo ed egemonizzante con l’impalpabile leggerezza della sua fulminante ironia. Interessante soffermarsi sulla presenza delle “Veneri”; quella degli stracci di Michelangelo Pistoletto, in questa riproduzione, di una copia antica di Venere vi è già un senso di artificio, più vitalità vi è negli stracci colorati, disuguali, poveri ma allegri. Cosa voleva dire Pistoletto, sarà un po’ difficile saperlo, vi si può scorgere una teatralità dell’apparenza esagerata, una sottile inquietudine, ma anche una sottile vena ironica, soprattutto nella Venere che vi mostra il suo posteriore e vi manda… Qui un materiale povero come gli stracci acquista dignità, alla pari con la Venere. Lo straccio perde quindi un significato di materiale povero, per divenire attraverso la sua manipolazione e trasformazione elemento compositivo, in un’opera d’arte dai significati nobili. Gli elementi insiti dell’opera quindi spaziano dall’idea di riutilizzo a quello di rielaborazione, qui salta il concetto di cultura alta e di cultura bassa. La Venere di Milo a cassetti di Salvador Dalì, dove i cassetti alludono metaforicamente alle zone più profonde e segrete dell’inconscio, l’antica opera greca ideale di bellezza non è più solo un involucro. La Venere blu di Yves Klein, diventa magica perché blu, e cosa ha questo blu, è il blu unico di Klein, l’artista brevettò il suo blu, in pratica Klein è il blu di Klein. La Venere restaurata di Man Ray, aggrovigliata da corde, dove la Venere di Milo, senza braccia e senza gambe viene sommariamente restaurata con dello spago. La Venere di Andy Warhol, ci ripropone la Venere di Botticelli, un’opera talmente famosa che pensiamo di conoscere bene, quasi non la guardiamo più, troppo “popular”, ecco che Andy ci propone di osservarla bene, perché qualcosa di nuovo si può trovare proprio nell’ovvio. Ma cosa sono tutte queste Veneri perché questi artisti insistono su ciò? Erano gli anni ’60/’70, quando l’emancipazione della donna doveva portare a un mondo preferibile, tante speranze, ma come donna, oggi, tristemente mi chiedo… siamo davvero in un mondo migliore? Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma non ho più spazio, un solo suggerimento osservate bene il video di Bill Viola e soffermatevi sull’istallazione della barca che va verso l’isola dei morti, chiaro riferimento all’isola dei morti di Arnold Bocklin, il dipinto preferito da Hitler, dove il silenzio e la desolazione immersa in un’atmosfera misteriosa ed ipnotica, è specchio della nostra pochezza.

immagine: Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto

articolo già pubblicato sul quotidiano  “La Voce di Romagna” il giorno 30/05/2016

NON VELINE MA VENERE

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In Italia la prima festa della donna si celebrò il 12 Marzo 1922 (la domenica successiva all’8) sotto la spinta del Partito Comunista. Il dono della mimosa  è diffuso solo nel nostro Paese e venne distribuito per la prima volta nel 1946. A quei tempi in Romagna nell’immaginario popolare era la festa delle “donne comuniste”.  Col tempo la mimosa è stata sdoganata e la festa non è più caratterizzata da impegno politico ma da feste a volte un po’ avvilenti o malinconiche. La mimosa è un fiore bellissimo che rappresenta al meglio l’intelligenza, la forza e la bellezza delle donne. Il fiore sboccia pochi giorni prima della primavera, di colore giallo e perciò legato al sole e alla vita, fa parte della famiglia delle acacie il cui nome significa “intreccio di canne flessibili”.  Scrivere sulle donne è assai difficile, ma devo tentarci perché ho ricevuto una sfida da un uomo. Questi mi ha detto provocandomi: “Chiediti come sarebbe una Repubblica governata da sole donne, non te la senti vero? Sai che le brutte impiccherebbero tutte le belle”. Se credeva di scandalizzarmi si è sbagliato, conosco la malignità e l’invidia delle donne, ma so pure della superbia e dell’insensibilità dell’uomo. Nella “Venere degli stracci” (1967) di Michelangelo Pistoletto, leader dell’Arte Povera e fautore del “Terzo  paradiso”, vi è la risposta su cosa sia oggi la donna. Il terzo paradiso è la fusione tra il primo (regolato dalla natura) ed il secondo paradiso  (sviluppato dall’uomo con ogni artificio, divenuto innaturale e globalizzante). Il terzo paradiso consiste nel condurre l’artificio, cioè la scienza, la tecnologia, l’arte, la cultura e la politica a restituire vita alla Terra in un passaggio ad un nuovo livello di civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza. Ma torniamo alle donne, l’opera di Pistoletto è una riproduzione della Venere Callipigia (significa dalle belle natiche o lato B come si dice oggi) attorniata da cenci colorati. La Venere Callipigia  è esposta al Museo Archeologico di Napoli, è una replica di un bronzo ellenistico, è considerata un’icona della bellezza ideale, è una copia quindi è un falso, da cui Pistoletto realizza un’ulteriore contraffazione, molta più vitalità e genuinità vi è negli stracci colorati che la ricoprono. Un materiale povero come gli stracci acquista dignità, supera la Venere saltando il concetto di cultura alta e di cultura bassa. La Venere dalle belle natiche è falsa, e la Venere vera dove si trova? Il decantato Bello ideale è falso non ci appartiene più, la vita vera è negli stracci. E’ la vita vera, delle donne meravigliose, che lavorano, amano i figli e la loro casa, le donne generose. Un po’ pazze e isteriche ma a cui basta un fiore in dono. Oggi indossiamo l’abito consumistico, ma questo non è totalmente da demonizzare, diciamo che è da sistemare. Un po’ di colpa è nostra se a forza di sentirci dire le stesse cose poi le adottiamo anche se non ci piacciono realmente.  Siamo schiave della  transitorietà della moda e della bellezza immutabile. Ma la bellezza non è immutabile cambia coi tempi e la vita è un transito è per questo che abbocchiamo alla pubblicità perché mischia il vero col falso. Queste Veneri degli stracci invece di amarle le avete costrette a ferree diete dimagranti, a siliconarsi, a cambiare la loro dolcezza in aggressività.  Certo le Veneri povere vogliono mutuare le veline della tv,  vogliono rifarsi anche loro il seno e le labbra e poi vogliono un uomo ricco o più giovane, l’ideale di uomo è un calciatore. Ma chi ci ha messo in testa questo? Se la donna è autolesionista, l’uomo dov’era? Donne dono divino, in grado di fare miracoli, almeno ancora per un po’, fra poco ci toglieranno la possibilità di procreare rendendo la maternità artificiale. Smettiamola di farci condizionare dagli stereotipi, la bellezza è relativa, ciò che ci piace veramente lo sa il nostro corpo, non i mass media, noi cerchiamo chi ama la vita, chi sa coglierla per quella che è…un mistero. Non c’è nulla di più attraente del mistero e noi donne lo siamo.     

immagine: Venere degli stracci Michelangelo Pistoletto

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 10/03/2014 

LA SENZA PARAGONI

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Non si hanno notizie attendibili sulla committenza della Dama dei gelsomini. L’unica informazione certa è che l’opera è stata donata alla città di Forlì nell’Ottocento dal Conte Carlo Cignani. La tela potrebbe provenire da Firenze, gli abiti e l’acconciatura lo testimonierebbero. Caterina Sforza  probabilmente non è l’effigiata, basta confrontare visivamente gli altri suoi ritratti. La Dama è delicata, esile, un fiore di grazia, ricorda una bellezza trascendentale, un’idealizzazione, un canone. Ed ecco che la mente ricorda e il pensiero va a Simonetta Vespucci, eccovi lo scoop. Potrebbe essere Simonetta la Dama dei gelsomini. Ma chi era Simonetta? Simonetta Vespucci, era la donna più bella del Rinascimento, la Venere vivente, un’icona. La ninfa Simonetta, come viene chiamata da Poliziano nelle Stanze per la Giostra, fu celebrata da Lorenzo il Magnifico, Musa per tanti pittori dell’epoca, fra cui Sandro Botticelli che l’amò e la idealizzò forse più di quello che fece Dante con Beatrice. Simonetta nacque quasi certamente a Portovenere (una singolare coincidenza) da una nobile famiglia ligure. Appena quindicenne sposò Marco Vespucci, cugino del celebre Amerigo e si trasferì a Firenze dove condusse una vita riservata, finché non incontrò Giuliano de Medici, fratello di Lorenzo, che ipoteticamente, ne vide il ritratto nella bottega del Botticelli. L’esile figura, i biondi capelli (una rarità a quell’epoca in Italia), i profondi occhi, la delicatezza delle membra, Simonetta fu chiamata “la bella di Firenze”.  Fra Giuliano e Simonetta fu presumibilmente solo un amore platonico consumato in brevi anni di feste e ricevimenti in una vita lussuosa dentro la  corte medicea. Alla corte medicea, ai tempi, vi era l’influenza del neoplatonismo. La bellezza della donna era vista non in modo carnale ma come  spirito d’amore che poteva elevare l’uomo dal regno inferiore della materia a quello superiore dello spirito. In questo modo la mitologia fu pienamente riabilitata e le venne assegnata la stessa dignità dei temi di soggetto sacro. Venere venne  reinterpretata dai filosofi neoplatonici e diventò la Venere celeste, raffigurata nuda e simbolo dell’amore spirituale, mentre la Venere terrena ripresa vestita è simbolo dell’istinto e della passione. L’apogeo si  ebbe con il “Torneo di Giuliano”, una giostra svoltasi in piazza Santa Croce nel 1475. Giuliano, secondo quanto immortalato dal Poliziano, vi partecipò nonostante il pericolo, perché vi era in lizza un ritratto di Simonetta dipinto dal Botticelli, sul quale era riportata l’iscrizione “La senza paragoni”. Simonetta fu la trionfatrice e venne proclamata “regina del torneo”. La sua straordinaria bellezza e la sua grazia avevano ormai conquistato tutti. L’esistenza di Simonetta fu breve, morì di tisi il 26 aprile 1476, all’età di ventitré anni. Una folla immensa partecipò al funerale e sfilò davanti alla sua bara che era stata lasciata scoperta perché tutti potessero ammirarne la bellezza per l’ultima volta. Simonetta fu sepolta nella chiesa d’Ognissanti nella stessa Chiesa, sul pavimento c’è anche la tomba di Botticelli che aveva chiesto di essere sepolto ai suoi piedi. Confrontate i dipinti del Botticelli, che la riprese innumerevoli volte, continuò per tutta la sua vita a dipingerla anche quando lei era già morta, con la Dama dei gelsomini. A suffragare la mia tesi non c’è solo la somiglianza fra i dipinti, vorrei farvi notare il paesaggio alle spalle della Dama dei gelsomini, è chiaramente nordico, un castello e un fiume o un mare, che ricorda tanto il paesaggio odierno di Portovenere, il luogo natio di Simonetta. Se poi si osservano i gelsomini si noterà che sono azzurrognoli. Il gelsomino azzurro, è originario del Sudafrica, ma era presente nel bacino del Mediterraneo già ai tempi di Plinio il Vecchio, il suo nome è plumago, traducibile in pianta del piombo perché si credeva che curasse l’avvelenamento dal piombo. Non fu Simonetta che morì di tisi, malattia procurata anche dal piombo? Pure il drappo rosso dietro alle spalle della Dama è un simbolo di morte. Conclusione: la modella della Dama dei gelsomini potrebbe essere Simonetta Vespucci e l’esecutore Sandro Botticelli.

 

 

immagine:  Simonetta nelle vesti di Venere di Sandro Botticelli

 

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”