SILENO DORME TRA LE ERME

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Anni fa entrare nelle sale del Museo Nazionale di Ravenna era come balzare indietro nel polveroso Ottocento. Da qualche anno invece il Museo si è trasformato in un luogo luminoso, con le opere ben esposte, inoltre si organizzano conferenze e laboratori. Certo non può competere coi Musei Capitolini di Roma, i quali hanno talmente tanta ricchezza da divenire ridondanti, tuttavia da Roma provengono le cinque preziose erme ripescate nel mare vicino a Ravenna nel 1936, ora restaurate e esposte nel primo chiostro del Museo ravennate, accanto ai resti della famosa Porta Aurea. Le erme dovevano approdare alla spiaggia ferrarese, dal duca Alfonso II ma il carico naufragò nel XVI secolo di fronte al lido ravennate e qui restò a lungo. Nel 1567 a Ferrara, il duca Alfonso II incaricò il suo architetto di fiducia, Pirro Ligorio, di progettare all‘interno del castello una biblioteca in cui, accanto ai volumi, voleva collocare busti di filosofi e poeti. A Roma si trovava il cardinale Ippolito II d‘Este (1509-1572), figlio della famosa Lucrezia Borgia e del duca di Ferrara Alfonso I, che aveva  l’incarico di governatore di Tivoli. Il Cardinale aveva un animo artistico, votato alla bellezza, si deve ad Ippolito la splendida Villa d’Este a Tivoli, oggi Patrimonio dell’Unesco. Egli coltivava anche la passione dell’archeologia e collezionò parecchi materiali archeologici.  Si sa che le erme erano state ritrovate sul colle Celio ed acquistate dal cardinale Ippolito da un antiquario, poi vennero spedite a Ferrara dove non arrivarono mai. Le cinque erme ravennati raffigurano Milziade (in due versioni) il cosiddetto Dioniso/Platone, Epicuro e Carneade. Oltre alle erme al Museo sono esposte straordinarie sculture ignote al pubblico, perché  sino ad ora sono state conservate nei depositi, alcune provengono dagli scavi ravennati, altre sono di provenienza sconosciuta. Troviamo  il frammento di una lastra in cui gli studiosi hanno individuato il mito di Anfione e Zeto. Questi ultimi erano gemelli, Zeto era dotato di una forza prodigiosa ed era molto rozzo, Anfione, invece, era d’indole delicata, cantava e suonava. Il mito racconta che cinsero di mura la città di Tebe, Zeto trasportando i massi, Anfione suonando la lira… un po’ come la cicala con la formica. Poi un ritratto di Zeus Serapide (si chiama così perché unisce simbologie greche unitamente ad altre egizie) di bella fattura dai forti chiaroscuri nei ricci ritorti della barba e della capigliatura, quindi un pregevole frammento di statua panneggiato identificato con la musa Polimnia (musa della danza e del canto sacro) vi sono anche capitelli dall’iconografia inusuale in quanto presentano festoni e putti, inoltre troviamo altre opere che arricchiscono la raccolta lapidaria del chiostro. Il pezzo forte (anomalo per la ‘morigerata’ Ravenna ) della collezione è un inquietante Sileno dormiente di provenienza oscura, in marmo bianco, è di piccole dimensioni, è sdraiato in posa sconcia, ubriaco, dalla pancia debordante e molliccia, trasuda vizio e depravazione, ma lungi dal sembrare pentito, sornione se la dorme. Ha la tunica drappeggiata ad arte per lasciare scoperti  i genitali ed evidenziarli ancora di più. Appoggia la mano destra a terra con l’indice e il medio aperti a V e il pollice distanziato nel gesto propiziatorio e scaramantico del tre in uso fra gli antichi romani. Sileno solitamente è rappresentato con la testa calva (da qui forse la credenza che i calvi siano più “maschi”) e la barba lunga, a volte con sembianze animalesche, è comunque sempre legato alla virilità e alla sessualità. A  Roma su una base rocciosa, vi è un Sileno giacente che i Romani chiamano“Babuino” perché  è così brutto che lo hanno paragonato a una scimmia, è una delle statue “parlanti” della Capitale. “Nella nascita della tragedia” di Nietzsche, Sileno risponde al re Mida, che gli aveva chiesto quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l‘uomo, con queste parole: “Non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto”. Forse è per questo che Sileno ha tanto bisogno di vino e di stordimento… non crede a nulla.  Avrà torto o ragione?      

 immagine: Sileno giacente

 

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 17/02/2014