Romagnolo ironico e tragico

Nevio-SpadoniDante Alighieri (1265/1321),fu il primo che pose il problema di una lingua nazionale “volgare”, cioè non “latina”, il testo in cui parla di questo argomento è De Vulgari Eloquentia (Sulla retorica in volgare), scritto in esilio, in latino, rivolto ai letterati di professione. Doveva essere in quattro libri, ma terminò al secondo libro, probabilmente a causa della composizione della Commedia. Dante si chiede qual è il volgare più colto e illustre d’Italia? Dopo aver distinto 14 gruppi di dialetti, ci dice che sicuro non è il romano, che è il più turpe, essendo i romani, per i costumi, sopra a tutte le genti corrottissimi (guarda caso lo si dice anche oggi). Senza dar troppe spiegazioni, Dante liquida subito anche i milanesi, i bergamaschi e gli istriani, nonché tutte le parlate montanine e rusticane, e anche i sardi che non sono italici, in quanto privi di un loro proprio volgare e imitatori di grammatica. Sul dialetto siciliano, Dante scrive che è importantissimo perché qui è nata la rima poetica (la canzone, il sonetto, la tenzone). Tuttavia, dice Dante, se questo volgare fu illustre al tempo di Federico II di Svevia e di Manfredi, a partire da Carlo d’Angiò s’è imbarbarito; senza poi considerare, prosegue Dante, che qui si parla di volgare scritto, quello degli intellettuali di corte, che quello degli isolani è sempre stato barbaro. I pugliesi, quando parlano, sono barbari, seppure nello scritto abbiano tradizioni illustri. Fra i toscani vi sono stati eccellenti letterati in volgare, tra cui Dante stesso; tuttavia la loro parlata non è certo illustre, anzi è turpiloquium, e infroniti (dissennati) sono coloro che, solo perché parlanti, lo ritengono il dialetto migliore. La parlata dei genovesi, dominata dalla zeta, è anche peggio. Giudizio negativo è per tutti i dialetti veneti, mentre, fa l’elogio del bolognese: una leggiadra loquela, lo definisce, poiché si è formato come sintesi dei volgari delle città confinanti: Ferrara, Modena, Imola ecc. Tuttavia il bolognese non è aulico né illustre, tant’è che nessuno lo usa per poetare. E sul volgare romagnolo cosa scrive Dante? Il romagnolo conterebbe aspetti troppo femminili e altri talmente rudi da far pensare che le donne siano in realtà degli uomini. Dante è sempre pungente e sempre c’azzecca, come non pensare all’azdòra romagnola, robusta, abituata alla fatica e decisa nel carattere? Oggi il dialetto romagnolo non è scomparso del tutto, grazie a Libero Ercolani autore del Vocabolario Romagnolo/Italiano, all’Istituto Friedrich Schürr,che salvaguardia e valorizza il nostro dialetto e all’opera tenace di alcuni poeti romagnoli che continuano a farci vivere la nostra terra con i loro versi. Le cose migliori scritte in romagnolo per il teatro sono state scritte da poeti, quali Raffaello Baldini o Nevio Spadoni, quest’ultimo dà vita a un mondo intriso da una vena di melanconica follia, ci sono cose, la follia è una di queste, che dette in dialetto risultano di più facile comprensione, più intime ma allo steso tempo dicibili. Alle rappresentazioni di Nevio Spadoni, il pubblico ride, io non ci riesco, quasi piango, i suoi personaggi sono ricchi di umanità e malmenati da una vita dura e cruda. Purtroppo, questa vena poetica, a volte non si ritrova in tutte le commedie in dialetto, a volte gli autori mettono in fila quattro o cinque personaggi tipici e un mucchio di battute standard, creando un riso vuoto che non lascia nulla, neanche una piccola emozione. Ma ci sono anche compagnie teatrali dedite con passione a portare in scena una Romagna che non c’è più, una Terra di ben salde radici, di un pensare rude, ma leale e onesto e che pure sa ridere di se stesso, qualità che oggi mancano. Fra le tante compagnie dialettali cito quella di Bagnacavallo che quest’anno compie settant’anni, affonda le proprie radici nel lontano 1940, anno in cui Guido Fiorentini, grande appassionato di teatro, diede vita alla filodrammatica bagnacavallese. Nel 1946 sempre Fiorentini assieme ad altri fondò la Rumagnola Cdt (Compagnia dilettantistica teatrale). Arrivarono presto i primi successi con i testi di Missiroli e Maioli, autori della ricerca, dell’ironia e dell’emozione.

immagine: Nevio  Spadoni

articolo già pubblicato  sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 11/07/2016

 

 

 

 

 

 

La gazza, le liti e la Romagna

briscola

Argaza” è il nome del sito on line dell’Istituto Friedrich Schürr, associazione per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo, ha l’intento di tener vivo, far conoscere e divulgare un       bene culturale importante testimone del nostro comune passato. Si legge sul sito il perché di tale nome il cui parallelo in italiano è gazza. La gazza è l’uccello che col suo continuo ciacolare mette rapidamente sull’avviso la popolazione silvestre di quanto accade nel bosco… Ci piace anche pensare, seppur para-etimologicamente, che suo tramite, il termine “gazzetta” sia entrato nel lessico del giornalismo e dell’informazione generale”. Ciò mi ha fatto ricordare che un tempo argaza significava anche istigare, coi suoi sinonimi: trascinare, stuzzicare, punzecchiare, accendere, aizzare, animare, sobillare. Con significato analogo mio padre usava anche l’attributo  “gazàra” cioè  gazzarra, strepito baraonda ecc. Mi sembra che gazza/gazzetta/istigare/gazzarra siano affini. La gazza, cugina del corvo, è un uccello con una livrea bianca e nera dalle forme eleganti. Le gazze sono curiose e sfrontate, hanno la reputazione di rubare le cose luccicanti. Sono strani uccelli se vi prendono di mira sembrano quasi “umani”, ne aveva una il mio vicino  di casa che mi attaccava in picchiata ogni volta che uscivo in giardino o mi entrava in casa dalle finestre quando erano aperte, la sua astuzia nel sorprendermi era incredibile. Non si capisce se nell’immaginario popolare sia ben vista o malvista, un’antica leggenda racconta che la gazza fu l’unico uccello che rifiutò di salire sull’arca di Noè, preferendo restare appollaiata sul tetto (forse già allora stava di vedetta per acchiappare le notizie). In Oriente è sinonimo di fortuna, in Cina una strana leggenda la ritiene in grado di riferire al marito se la moglie lo tradisce (spero che valga anche al contrario). Ora però vi racconto l’episodio in cui si verificò “l’argaza”. Da bambina ero solitaria e curiosissima di ciò che facevano i grandi, li spiavo pure. Non mi capacitavo di come si imbestialissero perché uno era repubblicano e l’altro comunista, le idee che a me parevano uguali, per loro erano inconciliabili, vi dirò di più, entravo nei discorsi, ma loro manco mi guardavano, le donne non c’entravano con la politica, altro che quote rosa, erano cose da uomini, figuriamoci una bambina di dieci anni. Fra di loro c’era un contadino repubblicano, dagli accesi ideali politici che seppur non particolarmente istruito, sapeva scrivere le zirudelle. Le zirudelle  sono poesie o più propriamente stornelli con rime baciate, spesso con accompagnamento musicale. Un tempo chi sapeva costruirle era molto apprezzato, ce n’erano di boccaccesche, di intimiste, altre narravano di fatti accaduti e naturalmente molte erano infiammate di politica. Ecco queste ultime scatenavano, non dico le risse, ma accesi dibattiti che diventavano offensivi, si accendevano i volti, gli occhi divenivano sporgenti, le mani gesticolavano velocemente, poi qualche spintone e il gesto di tirarsi addosso una sedia, poi come tutto era nato l’argaza o gazàra  si calmava, mesti con le spalle ricurve tornavano ognuno alle proprie case senza salutarsi. Il giorno dopo come se non fosse successo nulla si incontravano a giocare a briscola. Sembra che il termine gazzetta, inteso come giornale,provenga da una piccola anatra simile alla gazza chiamata gazzetta la quale veniva stampata sui fogli. Quindi alla nostra gazza diamo tanti attributi: intelligente, chiassosa, una voce fuori dal coro, non entra neanche nell’arca di Noè però è causa di argaza o gazàra cioè di baraonda. Che facciamo lo vediamo beneaugurante o malevolo questo volatile? Prima di decidere sappiate che da gazza deriva un altro nome: “gaȥulêr” che è il modulare continuo e gioioso del neonato, un tempo si diceva che parlavano con gli angeli, ma gaȥulêr  può essere anche il sommesso cinguettare  dei passeri al mattino. Forse la voce quando è sincera crea argaza o gazàra solo con chi è in difetto.       

 immagine:  Briscola di Ferdinando Botero

articolo già pubblicato dal quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 30/06/2014