Le aspettative di Piero

pala di Brera

Piero della Francesca. Indagine su un mito. Sino al 26 giugno è possibile visitare ai Musei di San Domenico, a Forlì, una mostra che indaga sulla formazione di Piero, con opere di Domenico Veneziano, Beato Angelico, Paolo Uccello e Andrea del Castagno, per finire con gli artisti del Novecento, che hanno trovato ispirazione da Piero, gli italiani Guidi, Carrà, Donghi, De Chirico, Casorati, Morandi, Funi, Campigli, Ferrazzi, Sironi e gli artisti stranieri come Seraut, Balthus e Hopper. Inoltre c’è il confronto, tra la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca e la Silvana Cenni di Felice Casorati. Nelle opere presentate, tutte di alto livello, la presenza del pittore di Sansepolcro, si svela nella costruzione prospettica, oltre che pittore era anche un matematico, oppure nell’atmosfera rarefatta, come di attesa. Ma cosa aspettava Piero? Pietro Lombardo non si fe’ con usura/ Duccio non si fe’ con usura/ nè Piero della Francesca o Zuan Bellini/ nè fu ‘La Calunnia’ dipinta con usura. (Ezra Pound-Canto XLV- Contro l’usura)L’usura, cioè l’uso del denaro per se stessi, per il proprio potere, il male peggiore del nostro tempo, no Piero non si aspettava il potere o la ricchezza, tutte le sue opere sono intrise di misticismo e di purezza e per capire cosa aspettava proviamo a indagare, sul personaggio che ha la barba a due punte, le sue Madonne, l’uovo e i suoi autoritratti, che sono alcuni topos della sua arte. Per la presenza degli autoritratti nelle sue opere, si può pensare, detto in parole spicce, al ci metto la faccia, cioè Piero non ha timore di esporsi, anzi ribadisce con forza le sue idee. Per quanto riguarda il personaggio con la barba a due punte, probabilmente è Giorgio Gemisto Pletone, filosofo sepolto nel Tempio di Rimini. Nel 1438 un nuovo mondo rinasce, nelle corti rinascimentali italiane, quello di Pitagora e Platone, con le parole di Pletone e la sua ricerca appassionata del Vero, del Giusto, del Bello, del Bene. Le Accademie greche e latine hanno conservato e continuato queste idee, poi le Accademie italiane ed europee del XV e XVI secolo, sono rinate grazie a Pletone, e a seguire l’Età dei lumi e della Rivoluzione americana e francese, sino al nostro Risorgimento, (c’è chi vede in Pletone la nascita della massoneria). Piero è colui che aderisce pienamente a queste idee ricercando l’armonia con la matematica, legge dell’universo, e il misticismo. Le sue Vergini, sia la Madonna della Misericordia, presente alla Mostra, sia la Madonna del Parto, affresco che si trova a Monterchi, hanno significati reconditi. Per la Madonna della Misericordia, con l’ampio mantello che protegge il gruppo di persone molto più piccole di Maria, Piero si ispira ad una consuetudine presente nell’Europa feudale: era tradizione nei castelli applicare il cosiddetto privilegio della “protezione del manto”. La nobildonna, con il solo gesto di allargare il suo mantello, poteva concedere aiuto a indigenti e perseguitati, persino, in alcuni casi, concedere la grazia a un condannato a morte. Può anche darsi che ci sia qualche riferimento ai templari, infatti il mantello era un loro simbolo, privilegio solo dei cavalieri provenienti dalla nobiltà, era di colore bianco perché simbolo della purezza e della castità del corpo. La Madonna del Parto, nel seno della quale si nasconde il Verbo, secondo certuni Ella simbolicamente custodisce la dottrina segreta degli eredi dei templari, costretti a nascondersi, in attesa di una nuova era di tolleranza per poter manifestare il loro messaggio d’amore e di saggezza. E veniamo all’uovo, nella Pala di Brera, sullo sfondo, si trova una conchiglia, al centro della quale è appeso un uovo di struzzo, Felice Casorati sarà ossessionato da questo uovo, lo dipingerà in innumerevoli tele, come anche altri artisti come Warhol o Dalì. Nell’ambito della simbologia cristiana, l’uovo è stato adottato soprattutto in relazione con l’idea della nascita ad una nuova vita, ovvero alla resurrezione. Concludendo, Piero ci dice che lui fa parte di quel gruppo di nobili persone che credeva nell’armonia del mondo e che malgrado tutto non cedeva allo sconforto, aspettandone la rinascita, prima o poi.

immagine: Pala di Brera, Piero della Francesca

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 06/06/2016

 

Il profilo riminese

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Piero della Francesca(1415?/1492) è senza dubbio uno dei più grandi pittori italiani del Quattrocento. Piero fu un grande sperimentatore, pittore della luce (per la luminosità dei suoi lavori) e del buio (inteso come impenetrabilità dell’interpretazione dei suoi soggetti). Nel 1451 Piero è a Rimini e lavora a un autentico e sibillino capolavoro: l’affresco “Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo”. L’affresco è parecchio rovinato, ha perso parte dei colori degli abiti dei protagonisti e dello sfondo. In un’architettura decorata all’antica con girali e rose quadripetali, sotto a pilastri decorati con festoni pieni di frutti e a uno stemma, è inginocchiato il Signore di Rimini. Ritratto di profilo, statuario con le mani giunte e lo sguardo fisso e fiero, i capelli a caschetto come voleva la moda del tempo, ha le braghe rosse, anche se ormai di colore ne è rimasto poco. Egli è inginocchiato davanti al suo protettore, San Sigismondo, re dei Burgundi, divenuto Santo per aver convertito il suo popolo al cattolicesimo. Il Santo è seduto in trono su un alto podio, ha lo scettro, il globo e sul copricapo, l’aureola. Le fattezze del viso ricordano quelle di Sigismondo di Lussemburgo, l’imperatore del Sacro Romano Impero, che nel 1433 aveva nominato cavaliere il quindicenne Gismondo insieme al fratello Domenico. Dopo questa investitura, fu dato loro un nuovo nome: Gismondo, con l’aggiunta di una sillaba, divenne Sigismondo, mentre Domenico, Signore di Cesena, fu chiamato Novello. Il ritratto di San Sigismondo rivela anche diverse corrispondenze con il Padre Eterno e con il Re Salomone dipinti da Piero negli affreschi della Leggenda della Vera Croce di Arezzo, realizzati un anno dopo, nel 1452; inoltre assomiglia proprio tanto al presunto ritratto di Ermete Trismegisto, se lo si confronta con la figura di Ermete nel Duomo di Siena. Sulla nostra destra, troviamo uno splendido oculo panoramico, raffigura la residenza del Malatesta: Castel Sismondo. In primo piano due splendidi levrieri uno bianco e uno nero guardano in modo opposto, il bianco ha le orecchie abbassate e simbolicamente raffigura la vita e il giorno, il nero ha le orecchie alte, segno di vigilanza, di morte, di notte.   Sigismondo, come nelle altre corti più raffinate, era attratto dalle filosofie orientali, l’ultima impresa di Sigismondo fu quella di andare a Mistrà, nel Peloponneso a prendere le ossa di Giorgio Gemisto Pletone  per custodirle in un’arca nel suo Tempio. Pletone era un vecchio e prestigioso filosofo greco, che il Malatesta aveva ospitato a Rimini e al quale aveva legato il proprio destino.“Un pagano che esalta il Sole e i pianeti, promuovendoli a mediatori tra Dio e l’uomo”, lo definiva la Chiesa sia orientale che occidentale. Pletone predicava l’unione delle Chiese che doveva comprendere anche la religione ebrea e quella dell’islam, secondo gli scritti del “favolistico” Ermete Trismegisto (significato del nome:“Ermes il tre volte grandissimo”). In quegli anni a Firenze e a Rimini si studiavano i testi di Platone e di Trismegisto, dando origine a quella filosofia chiamata Ermetismo (un misto di conoscenze greche ed egizie) a cui si riallaccia anche l’Alchimia. “Il più basso è simile in tutto al più alto e il più alto è simile in tutto al più basso, e questo perché si compiano i miracoli di una sola cosa”. Con ciò Ermete intende che il microcosmo è legato al macrocosmo, si fonda sul dualismo: bianco/nero, luce/tenebra, vita/morte. Ecco che allora possiamo intravedere nei due levrieri di colore e posa opposti, il dualismo del Bene e del Male che convivono e combattono fra di loro, una volta vince l’uno, una volta l’altro, l’importante è non cedere. Ma se mettiamo in gioco le braghe rosse di Sigismondo assieme al colore dei due cani otterremo un processo alchemico, di crescita interiore. La nigredo (il nero) è la fase più oscura,la parte più “bassa” dell’evoluzione della coscienza. La rubedo (il rosso) è la fase intermedia, quella che ci spinge all’azione per ottenere la nostra ascesa. L’albedo (il bianco) è  l’equilibrio di questi due aspetti, quella fase che permette finalmente l’ascesa… l’alba.

immagine:“Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo” di Piero della Francesca

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 15/06/2015