DUE IPOTESI SULL’INFERNO

 

inferno

“Oltre Dante”, è uno dei più originali eventi del settembre dantesco di Ravenna, sicuramente il più coinvolgente in quanto i cittadini stessi saranno i cantori di tutto il Poema. Tre serate, 1/2/3 settembre, rispettivamente l’Inferno ai Giardini Speyer, il Purgatorio ai Giardini San Vitale, il Paradiso ai Chiostri Francescani, la scelta dei luoghi mi pare assai pertinente, orario dalle 18:00/23:00, ingresso gratuito. Ciò è stato possibile grazie al Centro Dantesco dei Frati Minori e a Dante in Rete, il tutto con la regia di Franco Palmieri. Palmieri, che già da alcuni anni sta dirigendo un’analoga esperienza a Firenze, ha sottolineato come la “Commedia” sia nata per essere portata dalla gente alla gente; per questo a Firenze, per quasi due secoli, vi furono letture pubbliche per il popolo. Tutti possono partecipare, occorreva però prenotarsi già all’inizio di giugno. Ora partendo dal presupposto che la Divina Commedia sia patrimonio di tutti, non solo degli eruditi esperti, mi permetto di scrivere due ipotesi con un mio personale punto di vista. Nel V Canto dell’Inferno, la pena per la legge del contrappasso è di essere trasportati dal vento (come in vita dal vento della passione), qui Dante incontra le anime di Paolo e Francesca, che volano unite e paiono leggere al vento. Paolo piange, mentre Francesca racconta la storia del loro amore, nato mentre leggevano la storia di Lancillotto. Dante, alla vista delle loro anime, è turbato, talmente turbato che sviene e cade come se fosse morto. Come mai Dante mette i due amanti all’Inferno? Mentre leggevano le storie dei cavalieri arturiani? Dante era un Fedele d’Amore e il ciclo bretone era un riferimento per questo gruppo di poeti, che ritenevano l’esperienza d’amore come elevazione morale. Dante è obbligato a metterli all’Inferno perché timoroso di incorrere nell’eresia però, “cadendo come corpo morto cade”, quando non c’è più nessuna speranza ci si può salvare fingendosi morti… ecco che metaforicamente l’Alighieri salva Paolo e Francesca. Nel XXVIII Canto dell’Inferno compare Maometto, si trova tra i seminatori di discordie, la cui pena consiste nell’essere fatti a pezzi da un diavolo armato di spada. Maometto appare tagliato dal mento all’ano, con le interiora e gli organi interni che gli pendono tra le gambe. Maometto indica tra gli altri dannati Alì, che fu suo cugino e suo quarto successore come califfo, tagliato dal mento alla fronte, quindi chiede a Dante chi sia e perché indugi a unirsi a loro nella pena. Virgilio spiega che Dante è ancora vivo ed è lì per vedere la loro punizione. Maometto si arresta e annuncia una profezia riguardante l’eretico fra Dolcino (se non vuole seguirlo presto lì, dice, dovrà rifornirsi di viveri per non essere preso per fame nell’assedio del 1306 nel Biellese, qui Dante sembra provi simpatia per l’eretico fraticello). Durante queste ultime parole Maometto tiene il piede sospeso in aria, in una posizione grottesca che accentua il carattere comico/ realistico, questo è ciò che indicano gli esperti, ma… Dante era una mente illuminata, un’anima tesa a cercare la Pace. Maometto è obbligato a metterlo nelle bolge infernali per non incorrere nell’eresia, ma non è poi maniera di Dante lo sfottere gratuitamente. Esisteva anticamente un modo di dire, “essere su un piede di parità” con significato di un trattato posto sul piano della parità. Forse, Dante aggira l’eresia, mette Maometto all’Inferno come di dovere, in quei tempi la logica delle due religioni era solo quella delle armi e purtroppo oggi è ridiventata attuale, ma lo indica “su un piede di parità” cioè come un Profeta al pari di Cristo. Se questa ipotesi fosse veritiera ecco che l’affresco di San Petronio, a Bologna, di Giovanni da Modena, non avrebbe ben interpretato Dante. Io sono molto religiosa, amo la mia confessione e appunto per questo rispetto enormemente quella degli altri, se gli islamici mettessero Cristo all’Inferno mi arrabbierei moltissimo, quindi, come propose Francesco Cossiga qualche anno fa, sarebbe bene togliere Maometto dall’Inferno. Si potrebbe staccare la sua raffigurazione e apporla accanto all’intero affresco spiegandone la motivazione.

 

immagine: Inferno di Giovanni da Modena, San Petronio, Bologna

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 01/08/2016