GUIDO RENI E IL PAPA

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Guido Reni nacque nel 1575 a Bologna e qui morì nel 1642, egli fa parte del classicismo del ‘600, allievo dei Carracci si discosta dal loro naturalismo giungendo ad una nuova sintesi che accoglie la grazia di Raffaello, il colorismo dei Carracci e il tratto longilineo del Parmigianino. Reni, inizialmente studiò musica, la gentilezza e l’armonia è così presente nelle sue opere. La critica è stata con lui altalenante, disprezzato da Ruskin e dai Romantici, considerato a volte lezioso a volte geniale è un grande artista malinconico, che si esprime con magistrale eleganza sia nelle tele religiose che in quelle mitologiche. In Romagna si conserva a Forlì, nella chiesa di San Biagio, la tela dell’ Immacolata Concezione e a Ravenna, al Duomo, vi sono affreschi con Gesù Redentore ed Arcangeli. Reni raffigura San Michele Arcangelo (1635 chiesa dei Cappuccini, Roma) nello splendore della sua bellezza, infatti corrisponde all’arcangelo reggitore della sefirà  Tiferet, che è la sefirà della Bellezza, nell’ Albero della Vita descritto nella Cabala. Il suo nome Mi-Kha-El  significa, “chi è come Dio?” Fin dai tempi antichissimi, Michele ha un ruolo e un affetto particolare, sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà a livello individuale e collettivo, fino alla fine dei tempi, contro le forze del male. Michele sta con gli angeli che stanno dalla parte di Dio, combatte e vince Lucifero e gli angeli ribelli, è quindi la ragione che tiene a bada gli istinti primordiali. Reni raffigura Michele avvolto in un volteggiante mantello rosso, qui simbolo di vitalità e forza, in quanto è un rosso chiaro e vivo. Michele rappresenta il nostro respiro, l’anelito alla bellezza (intesa come giusto, vero e bello). Per far sì che Michele vinca dobbiamo combattere armati e supportati (molto spesso il buono ha il male in sé) è per questo che Michele è rappresentato qui come una Madonna che schiaccia il serpente, ne ha la stessa grazia e la catena con cui dovrebbe incatenare Satana, Michele la tiene saldamente in mano, sembra una corona di rosario, ma nell’altra mano ha la spada…  Un singolare aneddoto esiste su questa tela, siamo nella prima metà del 1600 e il cardinale Antonio Barberini commissionò il quadro a Guido Reni. Il celebre pittore si dedicò con entusiasmo all’opera, manifestando comunque al cardinale le difficoltà tecniche di imprimere nel volto dell’ Arcangelo quella bellezza eterea e sovrumana che (parole sue) “al cielo né in terra potrò mai trovare”. Era noto in quegli anni che un altro cardinale, Giovanni Battista Pamphili, qualche tempo prima, ebbe modo di parlare in modo sprezzante di Guido Reni, e l’artista, molto risentito, evidentemente maturò con il quadro dell’ Arcangelo il modo di vendicarsi dell’affronto subìto. Quando infatti la tela fu terminata, i contemporanei si meravigliarono assai, non solo perché l’autore era riuscito ad imprimere la divina bellezza dell’Arcangelo, ma soprattutto  perché  era riuscito, altrettanto bene, a rappresentare la bruttezza nel viso del diavolo. Ma il diavolo, a guardarlo bene, aveva un viso conosciuto… e sì, era proprio la faccia del cardinale Pamphili! Il cardinal Pamphili, divenne papa Innocenzo X e fu tristemente famoso per essere succube di una donna, precisamente la cognata. Donna Olimpia detta la Pimpaccia divenne la dominatrice indiscussa della corte papale e di tutta Roma. Diventò, infatti, il consigliere più ascoltato dal Papa, quasi la sua ombra. Il Papa si fidava praticamente solo di lei, e proprio per questo, nel giro di pochi anni, divenne la donna più temuta e più odiata di Roma. Il popolo romano la chiamava “la papessa”. Il soprannome di Pimpaccia deriva da una pasquinata, cioè uno scritto satirico lasciato sulla più celebre “statua parlante” di Roma, Pasquino. Tra le pasquinate rimaste celebri sul suo conto: “chi dice donna, dice danno, chi dice femmina, dice malanno, chi dice Olimpia, dice donna, danno e rovina”. Olimpia era talmente avida, che alla morte del Papa corse a derubarlo di tutti gli averi e quando le chiesero il denaro per la sepoltura di Innocenzo X, rifiutò, dichiarandosi povera. Innocenzo X fu ritratto anche da Francis Bacon, questo artista inglese contemporaneo, lo ritrae disfatto e macilento, quasi urlante, forse Bacon, omosessuale, vi vede la donna di oggi che divora l’uomo, come era successo un tempo al Papa. Ma il rapporto di Bacon col suo compagno fu assai travagliato e George Dyer, questo il suo nome, si suicidò con una dose fatale di barbiturici e alcol, nel giorno che decretava il trionfo artistico del pittore britannico.

 

 

immagine: san Michele di Guido Reni

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna”