Una favola sul terrificante micione e su Maristella

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Il gatto mammone è una creatura magica della tradizione popolare, sarebbe un enorme gatto dall’aspetto terrificante. Il suo nome deriva dall’incontro del termine gatto con quello di Mammona, parola attribuita  solitamente al demonio. Tale gatto, sarebbe  dedito a spaventare le mandrie al pascolo, tuttavia ha anche una funzione protettiva. La tenacia di Anselmo Calvetti nel raccogliere le fiabe della Romagna, ha dimostrato la presenza del gatto mammone anche nella nostra terra. “Un’orfana viveva con la matrigna e una sorellastra, le toccavano i lavori più faticosi. Mentre lavava i panni al fiume le sfuggì il sapone, per paura di essere punita si gettò nell’acqua per recuperarlo. Giunta in fondo al fiume incontrò una vecchia che la invitò ad entrare in un palazzo di cristallo. Qui trovò dei gattini che spazzavano i pavimenti la fanciulla prese la scopa e pulì lei. Poi incontrò altri gattini che aiutò a friggere il pesce, infine aiutò dei gattini a rifare il letto. A questo punto incontrò il gatto mammone che la ringraziò per l’aiuto dato ai gattini e le restituì il sapone smarrito. Il gatto disse alla fanciulla:‘Ritorna a casa senza fermarti né voltarti indietro, anche se sentirai il canto del gallo’. La ragazza obbedì. Tornata a casa la matrigna la colpì sulla fronte e all’improvviso vi apparve una stella. Inutili furono i tentativi di toglierla per darla alla figlia. La matrigna saputo ciò che era accaduto mandò la figlia al fiume. Gettato il sapone nel fiume e arrivata al palazzo del  gatto, la sorellastra malamente spinse da parte i gattini per salire più veloce dal gatto mammone il quale le diede il sapone e le disse di tornare a casa senza voltarsi indietro, anche se avesse sentito il canto del gallo. La sorellastra non seppe resistere e si voltò quando il gallo cantò. Avvertì un forte colpo sulla fronte, sulla quale spuntò una coda d’asino e niente valse a toglierla. La fama della fanciulla con una stella in fronte, chiamata perciò Maristella, giunse fino al principe che la chiese in moglie. La matrigna rinchiuse la fanciulla in cantina e portò al palazzo reale la propria figlia, coperta da un lungo velo. Ma il principe lo sollevò e scoperto l’inganno sposò Maristella”. (‘Maristella e il Gatto mammone’ nella versione riminese raccolta da Marina Zaoli traendola dalla narrazione della nonna materna Anna M. Sapignoli, nata a Rimini nel 1880)

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 07/12/2015

 

 

La favola di Capodanno

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Ormai sull’infinità dei gesti scaramantici, dei riti, delle tradizioni del Capodanno conosciamo tutto. Si mangiano le lenticchie che portano denaro, si indossa biancheria intima rossa perché porta fortuna, questo rito si dice risalga ai romani, il colore rosso porpora era riservato solo agli imperatori, essi erano addirittura Porfirogeniti, cioè dovevano nascere in una stanza rossa. Ci si bacia sotto al vischio, è benaugurale e una ragazza non può rifiutarsi di essere baciata. Se la ragazza non viene baciata vuol dire che non si sposerà durante l’anno. Si buttano le cose vecchie dalla finestra, per far posto metaforicamente a tutto ciò che ci accadrà nell’anno nuovo. Si mangia l’uva, dodici chicchi uno per ogni mese, e poi un sacco di altre cose che  si diversificano di Paese in Paese, ma tutte finalizzate a propiziare un Anno Nuovo migliore o perlomeno non peggiore. La data del Capodanno è cambiata nel corso del tempo, soprattutto nel Medioevo, ed è stata diversa anche da un luogo all’altro. I vari modi utilizzati per fissare l’inizio dell’anno si chiamano stili. C’è ad esempio lo stile della circoncisione col Capodanno che cade il 1° gennaio, cominciò con la riforma di Giulio Cesare, ma nel corso del Medioevo fu sostituito da altre date. C’è lo stile veneto con  Capodanno il 1° marzo, l’origine risale a quando non esistevano i mesi di gennaio e febbraio; fu usato, ma non solamente, nella Repubblica veneta fino al 1797. Lo stile dell’incarnazione con Capodanno il 25 marzo, detto anche fiorentino o pisano. Lo stile della Pasqua, utilizzato soprattutto in Francia, il quale comportava differenze fra un anno e l’altro di parecchi giorni, a motivo del fatto che Pasqua oscilla tra il 22 marzo e il 25 aprile. Nello  stile bizantino il Capodanno era al 1° settembre, l’anno iniziava quattro mesi prima; rimase a lungo in vigore a Bisanzio e, fino al XVI secolo, nell’Italia meridionale. Lo stile della Natività con il Capodanno il 25 dicembre era molto diffuso nel Medioevo, soprattutto nell’Italia settentrionale, e fu molto usato. E infine non molto tempo fa, durante la dittatura del fascismo, ci fu il tentativo di porre il Capodanno alla data del 28 ottobre, la data della marcia su Roma, infatti negli atti pubblici si aggiunse alla data corrente quello del calendario dell’era fascista che poneva come ultimo giorno dell’anno il 28 ottobre. L’ultimo giorno dell’anno simbolo di fine e inizio, è carico di aspettative e di simbologie molto forti. Auguro a voi un   Capodanno da favola narrandovi la rivisitazione della Piccola Fiammiferaia, che triste e sola muore il giorno di San Silvestro; è tra le fiabe più apprezzate di Hans Christian Andersen, pubblicata in Danimarca nel 1848. Andersen trattò nelle sue fiabe, il tema della “diversità”che crea emarginazione non meritata.“È la notte di Capodanno, e la Piccola Fiammiferaia è al freddo, a piedi nudi, a vendere fiammiferi. Non ha venduto ancora niente, ha tanto freddo ma non può tornare a casa perché ha paura di prendere le botte dal patrigno, non avendo incassato nulla. Cerca di scaldarsi accendendo i fiammiferi, ad ogni accensione appare un’immagine, prima una bella ragazza vestita come una principessa, poi altre persone eleganti che le si avvicinano sorridendole amorevolmente, infine anche un cucciolo di cane che le lecca, con una grande lingua ruvida, tutto il volto. La Piccola Fiammiferaia non ha più freddo. Una stella cadente le fa ricordare che la nonna le diceva che ogni stella cadente realizza un desiderio; accende così tutti i fiammiferi velocemente per vedere sempre più immagini, chiedendo con tutte le sue forze che le visioni si realizzino. Quando l’ultimo fiammifero si spegne, tutte le persone presenti, vestite eleganti per il cenone e il ballo, raccolgono la Piccola Fiammiferaia e la portano al caldo dentro al ristorante dove c’è un grande albero di Natale. La lavano nel bagno del ristorante, la coprono, chi con la giacca, chi con uno scialle, una bambina le dà le sue calde scarpette rosse, e poi la mettono a capotavola.‘E’un sogno?’, chiede la bambina.‘No, ora che ti abbiamo conosciuta, nessuno di noi ti lascerà e ti proteggeremo per sempre’, fu la risposta”.

 

immagine: La Piccola Fiammiferaia

 

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 29/12/2015