La placida quiete della Faenza Neoclassica

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Faenza può considerarsi la città del pittore piemontese Felice Giani. Con un giro turistico mentale possiamo  iniziare da palazzo Laderchi, in corso Garibaldi, oggi sede del Museo del Risorgimento e della Società Torricelliana, dove l’artista dipinse nel salone delle feste “Storie di Amore e Psiche”. Passeremo poi alla  Galleria dei Cento Pacifici, nel XVIII secolo era consuetudine realizzare un collegamento fra i palazzi comunali ed i teatri. Così fu anche per il Teatro Masini e per Palazzo Manfredi tramite questa elegante galleria decorata dal Giani, in collaborazione con il quadraturista Serafino Barassi e con Antonio Trentanove per le grandi statue, lo stesso artista che ha realizzato l’imponente corona di cariatidi che delinea il loggione del teatro. La sala un tempo era destinata alla riunione dei Cento Pacifici, i quali erano una compagnia di  saggi cittadini a garanzia della pace e a difesa della città. Furono una magistratura ufficialmente riconosciuta, a loro, Faenza deve il sedarsi di molti dissidi fra le parti storicamente avverse, invece a Ravenna durarono le lotte fra i Rasponi e i Lunardi, a Forlì tra i Numai e i Morattini, a Imola tra i Sassatelli e i Vaini. Lungo via Mazzini, vi è Palazzo Gessi. Nel 1813, in occasione delle nozze tra il conte Gessi e la marchesa Bolognini, le sale del primo piano furono in gran parte decorate da Felice Giani che creò un altro dei suoi capolavori. Qui fu ospitato papa Pio VII, di ritorno dall’esilio, e nel 1815  il sovrano Carlo IV di Spagna con la famiglia reale. Altri palazzi presentano i lavori del Giani ma noi ci dirigiamo all’ultima tappa. Palazzo Milzetti, in via Tonducci, il più importante palazzo neoclassico della regione, museo nazionale, con i decori del Giani e l’architettura di Giuseppe Pistocchi. Straordinario edificio, con gli interni dipinti a tempera da Felice Giani e i suoi aiutanti, i colori brillanti si sposano alle tinte pastello degli stucchi creando un capolavoro di raffinatezza. Il Palazzo è un esempio unico e integro sul Neoclassicismo, presenta una decorazione continua, leggera e luminosa; se la Sala delle Feste è meravigliosa, il bagno ottagonale è un capolavoro assoluto. Nel 1817 passò ai conti Rondinini, a loro si deve la realizzazione del giardino con la “capanna rustica”, che oggi è visitabile a qualsiasi ora, in quanto si trova nello spiazzo del Circolo dei ferrovieri.

 

 

 

immagine:Felice Giani, Palazzo Milzetti, Faenza

articolo già pubblicato sul quotidiano:”La Voce di Romagna” il giorno 27/07/2015

“Hai visto la Ghilana?”. Ma chi era costei?

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Congratulazioni! Ti è andata bene! Hai visto la Ghilana? Questa frase popolare era detta un tempo, a Faenza, per complimentarsi con la persona a cui un particolare evento era andato a buon fine. Chi era la Ghilana? Era un animale, una cosa o una persona? Il vederla portava fortuna, il non incontrarla recava sventura. Nel 1500 Cesare Borgia tentò di occupare Faenza, la città resistette sei mesi prima di crollare. Francesco Guicciardini uno storico dell’epoca scrive dell’eroica resistenza della piccola città, che aveva a capo un fanciullo (Astorre III Manfredi) e di come il Valentino bollisse dalla rabbia per non riuscire nella conquista. Astorre venne poi fatto prigioniero e inviato a Roma sotto la tutela di papa Alessandro VI, padre del Borgia, tutela infima in quanto venne ucciso neppure diciassettenne. Il Borgia si era accampato appena fuori le mura, vicino al convento dell’Osservanza, dove sorgeva, oggi è il cimitero della città, la chiesa affidata ai frati minori osservanti, dedicata a San Girolamo. Del Santo custodiva una scultura lignea  addirittura di Donatello, oggi è conservata presso la Pinacoteca. Questo luogo era chiamato, sembra anche tutt’ora, orto della Ghilana. Si narra che, proprio in quel posto abitasse una contessa di nome, appunto, Ghilana. Svelato il mistero, la Ghilana era una donna nobile, bellissima e biondissima, dal fascino sottile che donava fortuna a chi la conquistava e sventura a chi a lei non piaceva. Ottenere il suo dono malefico o benefico era legato, non a particolari virtù, ma alla capacità di vederla o non vederla. Ghilana usciva dalla sua dimora solo nella terza notte di plenilunio; allora forse si poteva anche avvistarla. A chi la  scorgeva, essa portava la buona sorte; chi non riusciva a incontrarla portava sfortuna. Pare, che il Valentino, avesse cercato in tutti i modi di vedere Ghilana, sino ad innamorarsi di lei, ma non vi riuscì e sappiamo bene che il Borgia andò a finire molto male. Favorito dal papa, nella presa dell’Italia, alla morte del pontefice perderà tutte le conquiste ed anche la vita. L’etimologia di Ghilana indica luoghi paludosi, come lo fu per il Valentino che rimase impaludato nella conquista di Faenza per mesi, ma esiste anche un luogo chiamato Ghilane, è un’oasi tunisina dove sgorga acqua calda. Ghilana, un nome ambivalente come lo era la contessa che poteva essere magica o malefica.

immagine: Cimitero dell’Osservanza di Faenza

articolo già  pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno  04/05/2015

Quando la peste si fermò alle porte di Faenza

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La peste fece sentire tutta la sua tragicità, nella prima metà del secolo XVII soprattutto in Nord Italia. I primi  sentori della calamità si ebbero in Lombardia alla fine del 1629, Alessandro Manzoni riferisce che portò via un milione di persone, tra la Lombardia, il Veneto, il Piemonte, la Toscana e una parte della Romagna. Una parte sola di Romagna si salvò: la città di Faenza, la peste si fermò a pochi chilometri sul Senio. In Faenza era allora Commissario Pontificio Monsignor Gaspare Mattei, che dovendo impedire che il morbo arrivasse in città fu inflessibile, condannava alla forca chi in qualunque modo si mettesse in contatto con quelli che abitavano oltre il Senio, non parlava che di impiccare, sono parole dei coevi, e girava sempre accompagnato dal boia coi capestri pronti. Crudele forse ma la cosa è provata storicamente, la peste non entrò in Faenza, quindi vi fu un fine che giustificò ogni cosa, non per niente ciò che sembra cattivo è a volte bene, forse fu la Fede che resse l’animo a Mons. Mattei per eseguire la sua carica al meglio. Mentre Mons. Mattei si dava da fare in tal modo, il Vescovo di Faenza il Card. Francesco Cennini (1623 – 1643), non trascurava lo spirituale convinto che il rigore del Commissario Mattei potesse molto, ma non tutto, perciò invitava i fedeli alla preghiera. Ci fu un affollarsi continuo di credenti davanti all‘immagine della Madonna delle Grazie, la quale è la principale patrona della città di Faenza. Il 15 giugno 1630 si fece una grande processione con un  inverosimile partecipazione popolare. La cosa impressionò il Commissario Pontificio che d‘accordo col Vescovo decisero d‘incoronare l‘immagine della Vergine delle Grazie in segno di riconoscenza, inoltre  fissarono la seconda domenica di maggio ogni anno, in perpetuo fosse la Festa della Madonna della Grazie. Il culto della Beata Vergine delle Grazie di Faenza ha origine nel 1412, quando la Madonna apparve alla nobile faentina Giovanna con tre frecce rotte in ogni mano, assicurandole che Faenza sarebbe ben presto stata libera dalla peste. Molte volte la città di Faenza si è rivolta alla B. V. delle Grazie, in occasione della grande peste di cui parla Alessandro Manzoni, e in altre occasione di pestilenze ma soprattutto di terremoti. Quasi ogni porta di Faenza ancora oggi è contrassegnata da un‘immagine della Beata Vergine delle Grazie.

 immmagine : Processione di San Carlo contro la peste (Duomo di Faenza)

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 09/06/2014