Primavera, Pasqua, uovo

Rene Magritte – Chiaroveggenza- 1936- Collezione privata

Primavera, Pasqua, uovo, da Duemila anni col Cristianesimo, anzi dal principio dell’umanità, la fine dell’inverno, il risveglio della natura e l’uovo hanno valore reale e simbolico di vita.

L’uovo è legato ai miti cosmogonici, alla dea Madre, alla vita nel grembo che si arrotonda come un grande uovo tramite un ovulo fecondato.

Le uova di gallina, quelle colorate o decorate, quelle preziose di Fabergé e poi quelle di cioccolato con una sorpresa, termine che ha significato di meraviglia, sono di buon auspicio da tempo antico.

Se usiamo la maieutica di Socrate, che guarda caso è anche detta arte dell’ostetrica, interrogandoci e meditando su ciò, lasciando la sofistica che abbaglia, indora, incensa e confonde, troveremo pillole di saggezza: avjam, etimologia di uovo significa in albanese io sono un uovo.

I nostri avi ornavano le uova di struzzo, usandole poi come calici per i riti religiosi; dagli antichi Fenici e dagli Egizi resteranno fonte d’ispirazione sino all’arte odierna. Per esempio, Magritte in alcune sue opere utilizza l’arte ovesca e pare interrogarsi sull’essenza delle donne e sul mistero della nascita.

René Magritte, Le affinità elettive, 1933

René Magritte (1898-1967) è stato un pittore belga, tra i maggiori del Surrealismo. Inizialmente influenzato dal Cubismo e dal Futurismo, si vota a una pittura filosofica-reale-metafisica, dove l’evidenza inganna, soleva dire che “il mistero è ciò che è indispensabile perché una realtà esista”. Nel dipinto intitolato “Chiaroveggenza” un pittore osserva un uovo, profeticamente vede il futuro e decide cosa nascerà, in questo caso un’aquila. Magritte, poco prima aveva realizzato un dipinto intitolato “Affinità elettive”, vi è dipinta una gabbia, in cui al posto del canarino, vi è un enorme uovo, fu creato nel 1933 (data trionfale per Hitler e l’eugenetica). Il titolo dell’opera è ispirato all’omonimo romanzo di Goethe, perciò Magritte stava pensando a quelle affinità spirituali e psicologiche che fanno sì che due persone si riconoscano a prima vista, al mistero dell’amore fra uomo-donna.

Perché per esprimere questo mette in gabbia l’uovo, simbolo femminile per eccellenza?

Chi ce l’ha messo?

Quanto hanno spinto per farlo entrare?

Ce la farà ad uscire?

Altro dipinto di Magritte questa volta del 1945, “La Variante della Tristezza”, raffigura una gallina che osserva un uovo, sembra chiedersi me lo mangio o no?

E l’uovo è sodo o alla coque?

In entrambi i casi il pulcino è morto e l’altro uovo la gallina non ha voglia di covarlo.

Cosa voglio dire?

Siamo sicure noi donne sulla libertà che ci hanno inculcato?

È vera libertà?

René Magritte- Variante de la tristesse- 1957- Centre Pompidou                               

Achillea e Amazone, c’è chi nasce gladiatrice anche se donna

A partire dagli anni Settanta le donne sono state ammesse nelle Forze Armate, degli eserciti occidentali, è sembrata una grande conquista, in realtà donne combattenti vi sono state anche nell’antichità: le gladiatrici. Se pensiamo al mito del gladiatore il pensiero corre al mondo maschile, un valoroso combattente che rischia la vita ogni volta che scende nell’arena, un divo amato dalle donne.

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Come per i campioni sportivi di oggi, è confermato dalle fonti, che le donne subivano il fascino di questi guerrieri.

Scritte sui muri di Pompei lo confermano.

“Lo struggimento e l’ammirazione delle ragazze”

“Tormento e spasimo delle spettatrici”

Sembra non essere credibile, invece, che il gladiatore perdente fosse generalmente ucciso per volontà del pubblico, perché un bravo gladiatore prevedeva un lungo e costoso allenamento e mantenimento, oltre a proprie doti fisiche.

Da cancellare poi la credenza che il mondo dei gladiatori fosse esclusivamente solo maschile.

Nell’antica Roma scendeva nell’arena anche il genere femminile.

Un dato di fatto confermato da documenti scritti e testimonianze archeologiche.

Certo le gladiatrici piacevano al pubblico, combattevano a seno nudo, senza armatura ed elmo.

Piacevano meno ai legislatori, che emanarono leggi per regolare l’esercizio delle duellanti.

Proibizioni sull’età delle donne libere, dovevano avere più di vent’anni, divieti per le donne di rango equestre o senatoriale ( i divieti valevano anche per gli uomini).

Questo fa pensare che le ricche signore di alto ceto, non disdicessero di scendere nell’arena.

Piacevano poco anche agli scrittori, che le disprezzavano perché perdevano la femminilità, diventando virili.  

Ieri, come oggi, ci sono donne “amazzoni”, che se la cavano egregiamente anche in campi considerati maschili… è una questione di attitudini, di aspettative o di sogni, che nulla ha a che fare col genere.

E veniamo ad Achillea, che fa pensare all’eroe  Achille, e Amazone, alle mitiche guerriere, certamente due pseudonimi.

Probabile che Achillea e Amazone  appartenessero a famiglie senatoriali e che abbiano combattuto per diletto.

Su queste due gladiatrici, ci è giunto un rilievo in marmo del II secolo d. C., rinvenuto nella città turca di Alicarnasso, custodito odiernamente al British Museum, di Londra. Le due donne hanno i gambali e le protezioni alle braccia, scudo e spada e niente altro.

I loro nomi sono incisi in greco sul marmo.

L’iscrizione spiega che le due combattenti hanno ricevuto la “missio” ovvero la sospensione del combattimento che decretava il pari valore delle due atlete. Il fatto che l’evento sia stato commemorato su un mezzo costoso e durevole come il marmo, presuppone che le due combattenti fossero assai conosciute e apprezzate.

                                                                                                                          Paola Tassinari

NON VELINE MA VENERE

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In Italia la prima festa della donna si celebrò il 12 Marzo 1922 (la domenica successiva all’8) sotto la spinta del Partito Comunista. Il dono della mimosa  è diffuso solo nel nostro Paese e venne distribuito per la prima volta nel 1946. A quei tempi in Romagna nell’immaginario popolare era la festa delle “donne comuniste”.  Col tempo la mimosa è stata sdoganata e la festa non è più caratterizzata da impegno politico ma da feste a volte un po’ avvilenti o malinconiche. La mimosa è un fiore bellissimo che rappresenta al meglio l’intelligenza, la forza e la bellezza delle donne. Il fiore sboccia pochi giorni prima della primavera, di colore giallo e perciò legato al sole e alla vita, fa parte della famiglia delle acacie il cui nome significa “intreccio di canne flessibili”.  Scrivere sulle donne è assai difficile, ma devo tentarci perché ho ricevuto una sfida da un uomo. Questi mi ha detto provocandomi: “Chiediti come sarebbe una Repubblica governata da sole donne, non te la senti vero? Sai che le brutte impiccherebbero tutte le belle”. Se credeva di scandalizzarmi si è sbagliato, conosco la malignità e l’invidia delle donne, ma so pure della superbia e dell’insensibilità dell’uomo. Nella “Venere degli stracci” (1967) di Michelangelo Pistoletto, leader dell’Arte Povera e fautore del “Terzo  paradiso”, vi è la risposta su cosa sia oggi la donna. Il terzo paradiso è la fusione tra il primo (regolato dalla natura) ed il secondo paradiso  (sviluppato dall’uomo con ogni artificio, divenuto innaturale e globalizzante). Il terzo paradiso consiste nel condurre l’artificio, cioè la scienza, la tecnologia, l’arte, la cultura e la politica a restituire vita alla Terra in un passaggio ad un nuovo livello di civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza. Ma torniamo alle donne, l’opera di Pistoletto è una riproduzione della Venere Callipigia (significa dalle belle natiche o lato B come si dice oggi) attorniata da cenci colorati. La Venere Callipigia  è esposta al Museo Archeologico di Napoli, è una replica di un bronzo ellenistico, è considerata un’icona della bellezza ideale, è una copia quindi è un falso, da cui Pistoletto realizza un’ulteriore contraffazione, molta più vitalità e genuinità vi è negli stracci colorati che la ricoprono. Un materiale povero come gli stracci acquista dignità, supera la Venere saltando il concetto di cultura alta e di cultura bassa. La Venere dalle belle natiche è falsa, e la Venere vera dove si trova? Il decantato Bello ideale è falso non ci appartiene più, la vita vera è negli stracci. E’ la vita vera, delle donne meravigliose, che lavorano, amano i figli e la loro casa, le donne generose. Un po’ pazze e isteriche ma a cui basta un fiore in dono. Oggi indossiamo l’abito consumistico, ma questo non è totalmente da demonizzare, diciamo che è da sistemare. Un po’ di colpa è nostra se a forza di sentirci dire le stesse cose poi le adottiamo anche se non ci piacciono realmente.  Siamo schiave della  transitorietà della moda e della bellezza immutabile. Ma la bellezza non è immutabile cambia coi tempi e la vita è un transito è per questo che abbocchiamo alla pubblicità perché mischia il vero col falso. Queste Veneri degli stracci invece di amarle le avete costrette a ferree diete dimagranti, a siliconarsi, a cambiare la loro dolcezza in aggressività.  Certo le Veneri povere vogliono mutuare le veline della tv,  vogliono rifarsi anche loro il seno e le labbra e poi vogliono un uomo ricco o più giovane, l’ideale di uomo è un calciatore. Ma chi ci ha messo in testa questo? Se la donna è autolesionista, l’uomo dov’era? Donne dono divino, in grado di fare miracoli, almeno ancora per un po’, fra poco ci toglieranno la possibilità di procreare rendendo la maternità artificiale. Smettiamola di farci condizionare dagli stereotipi, la bellezza è relativa, ciò che ci piace veramente lo sa il nostro corpo, non i mass media, noi cerchiamo chi ama la vita, chi sa coglierla per quella che è…un mistero. Non c’è nulla di più attraente del mistero e noi donne lo siamo.     

immagine: Venere degli stracci Michelangelo Pistoletto

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 10/03/2014