Ebe e le sue sorelle

EBE

Incede leggera come un frizzante vento di primavera, par che s’involi fra i fruscii della veste trasparente, il nastro sui capelli raccolti che paiono biondi anche se sono in marmo, alza il braccio tenendo in mano un’ampolla, nell’altra mano ha già pronta la coppa, dorata come la collana che ha al collo, che esalta il seno nudo, acerbo e impertinente: è l’Ebe di Forlì. Figlia di Zeus e di Era, nella mitologia greca è la divinità della gioventù, era la coppiera, preparava e serviva il nettare che permetteva agli dei di rimanere immortali. Si narra, in uno dei pochi episodi che la riguardano, che Eracle, per divenire immortale, dovette sposarla. Durante uno dei suoi servizi Ebe cadde malamente, mostrando a tutti le sue parti intime. Le divinità scoppiarono a ridere così Ebe si rifiutò di servirli, mai più. Al posto di Ebe subentrò Ganimede un giovane amato da Zeus con tutti i sottintesi connessi. Della famosa statua di Antonio Canova esistono quattro versioni: ce ne è una anche a Forlì, nei Musei di San Domenico. Questa scultura venne commissionata nel 1816 dalla contessa Veronica Zauli Naldi Guarini per decorare una sala del palazzo di famiglia, Palazzo Torelli Guarini, situato in corso Garibaldi 94, a Forlì. Nel 1887, esattamente cinquant’anni dopo la morte della contessa, gli eredi Guarini vendettero la splendida scultura all’amministrazione comunale della città. Al tempo, l’acquisto avvenuto con denaro pubblico e considerato improduttivo, creò un grande scandalo soprattutto nelle file dei socialisti, i quali chiesero la cessione dell’Ebe a prezzo di realizzo. Fortunatamente   ciò non avvenne e la scultura nel 1888  fu esposta nella pinacoteca civica. L’Ebe forlivese è la stessa fanciulla che Canova aveva già riprodotto in altri 3 esemplari, ognuno dei quali si differenziava dagli altri per qualche variante che lo rendeva unico. La prima Ebe fu scolpita nel 1796 per il senatore Albrizzi di Venezia; la seconda nel 1801 per l’imperatrice Giuseppina, fu acquistata dall’imperatore delle Russie, oggi all’Hermitage; la terza nel 1814 per lord Cawdor. L’opera fu creata da Canova per essere ammirata da ogni lato, per questo il basamento di legno su cui poggiava fu dotato di un meccanismo che permetteva la rotazione. Non era facile ottenere una scultura da Canova, anche se si aveva il denaro sufficiente, ma di Forlì era il segretario particolare di Antonio Canova: Melchiorre Missirini, che avrà fatto sicuramente da tramite. E’noto che possedere una statua di Antonio Canova, fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, era come ottenere una patente di nobiltà. Fu così che l’affascinante contessa nel 1816 acquistò la scultura. La contessa, rimasta vedova presto, si risposava a Firenze nel 1818, col conte Guicciardini ed il Canova inviava la statua a Firenze. L’Ebe arriverà a Forlì, solo nel 1841. Nonostante la bellissima ed esaustiva Mostra tenutasi a Forlì sul Canova, non molto tempo fa, non molti sanno che nella città ci sono altri capolavori dell’artista di Possagno. Per Forlì, Canova creò tre capolavori. Come abbiamo già visto la famosa scultura della contessa, ma prima vi era stata la richiesta a Canova, da parte del ricchissimo banchiere di Forlì Domenico Manzoni, della “Danzatrice col dito al mento”. La statua è pronta nel 1814, ma resta per tre anni nell’atelier del Canova, in quanto Domenico Manzoni è vittima di un efferato delitto nel maggio del 1817, mistero che rimane tutt’oggi insoluto. La vedova, causa difficoltà economiche, vende la scultura nel 1830 ad un principe russo e oggi, nonostante ricerche la scultura risulta introvabile. La vicenda verrà nobilitata da Canova nella bellissima  stele funeraria a Domenico Manzoni, ancora conservata nella chiesa della Santissima Trinità. La stele raffigura il mesto dolore di una donna con la testa appoggiata alla mano, piena di sofferenza ma allo stesso tempo di dignità. Canova riesce a far sentire l’urlo represso della donna. Inoltre tramite Melchiorre Missirini, per donazione, è pervenuto alla città di Forlì, un prezioso taccuino dell’artista con disegni nei quali spesso è possibile ravvisare lavori poi concretamente realizzati.

immagine:Ebe di Canova, Musei Civici Forlì

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 26/01/2015

 

 

 

 

Domenico Manzoni: un delitto senza colpevoli

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Domenico Manzoni, patriota, amante dell’arte o maneggione, nasce a Faenza nel 1775. E’ un acceso giacobino, è caratterizzato da intransigenza nella difesa dei valori repubblicani, tanto da essere condannato in contumacia al ritorno degli austriaci papalini, dopo l’intermezzo della Rivoluzione francese. Si rifugia a Forlì dove ottiene alte cariche, è affiliato alla Loggia massonica Reale Augusta e prosegue la sua attività di carbonaro nei primi tempi della restaurazione. Poi si arricchisce col commercio di granaglie e con speculazioni bancarie, accumula un enorme patrimonio. Non è amato dal popolo che lo incolpa di affamarlo aumentando il prezzo delle derrate alimentari né dagli amici cospiratori, che ha abbandonato, che lo accusano di spionaggio. Il 26 maggio del 1817, mentre si sta recando a teatro, viene pugnalato al ventre; muore dopo due giorni. I sospetti ricadono sulla carboneria forlivese ma il delitto resterà impunito.  Manzoni  sarebbe stato vittima di un regolamento di conti interno al mondo della carboneria, rivalità fra le varie logge o forse perché fece i nomi di qualche carbonaro in cambio di privilegi da parte del governo. Nel 1824 un delatore confida alla polizia che Manzoni è stato ucciso dai carbonari Vincenzo Rossi e Pietro Lanfranchi. Il Manzoni commissionò ad Antonio Canova la statua: “Danzatrice col dito al mento” opera che arriva alla famiglia solo dopo la sua morte. La vedova la vende ad un principe russo e poi se ne perdono le tracce. Per capire cosa si è perso è bene immaginarsi la Danzatrice di Canova di Torino nella Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, la fanciulla di marmo ha il capo reclinato, sorretto dall’indice, i capelli raccolti, le vesti lievemente trasparenti e mosse, la giovane ha l’altra mano appoggiata al fianco e al braccio una coroncina di fiori marmorei. Il sepolcro del banchiere sarà donato da Canova alla vedova, il fine e delicato capolavoro si trova nella chiesa della Santissima Trinità a Forlì, dove si conservano anche la tomba del famoso pittore Melozzo da Forlì e il reliquiario tardo cinquecentesco d’argento che contiene la testa di San Mercuriale. Se Manzoni sia stato un delatore o un uomo capace e nobile non si saprà mai, ma il suo nome sarà per sempre legato all’arte, sia perché il suo sepolcro è un capolavoro,  sia perché la “Danzatrice col dito al mento” è anche detta “Danzatrice Manzoni”.

immagine: Lastra tombale di Domenico Manzoni, Canova
articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 26/01/2015