I due S.Giovanni di Brisighella

pieve_interno

Recenti studi dello storico Lucio Donati rivelano che la Pieve di San Giovanni in Ottavo a Brisighella,   sarebbe stata intitolata unitamente a San Giovanni Evangelista e a San Giovanni Battista. Considerando che forse sorge su un’antica chiesa voluta da Galla Placidia e che quest’ultima seppur di fede cattolica, era stata regina dei Visigoti; i quali erano cristiano/ariano e assieme mantenevano quel paganesimo di cui si trova ricordo nella leggenda di Re Artù, si può azzardare un’ipotesi. Nella mitologia celtica, a indicare la ruota dell’anno, c’era un ciclo complesso seppur semplice. Durante Samhain, in novembre, il Dagda (chiamato anche Dio cornuto o Re agrifoglio) e Morrigan (la Grande Regina, si ritiene che la sua figura sia sopravvissuta nella letteratura arturiana in quella di Morgana), si uniscono sessualmente, si donano a vicenda; lui le dà la sua forza e lei gli conferisce la vittoria. Dagda significa “il Dio buono”, ed è il padre degli Dei, i suoi strumenti sono la coppa (il calderone), la pietra (rappresenta la terra), la clava che dona la vita e la morte, riconducibile alla lancia di Lugh (rappresenta l’aria), e l’arpa che controlla le stagioni (rappresenta il fuoco). In seguito Morrigan lo partorisce a Yule, cioè in dicembre. Anche i miti celtici sono strani quanto quelli greci, Morrigan facendo entrare il Dagda dentro di lei, partorisce non un altro, il figlio, ma lo stesso sposo. Forse reminiscenza di ciò che credeva l’uomo preistorico. Cresce lo “sposo” a Imbolc , ovvero in febbraio. La Dea ora non è più madre, si trasforma in futura moglie del bambino che sta diventando adulto, il Dagda “rigenerato”, ciò accade a Beltane, nel mese di maggio, dove si uniscono di nuovo. A Beltane è il Dagda nuovo, il Re quercia, quello che ride, faccio presente che il Battista, festeggiato in giugno, è detto Giovanni che ride, mentre l’Evangelista, festeggiato in dicembre, è Giovanni che piange. Perché ride il Re a Beltane? Perché il rito propiziatorio è risultato molto favorevole, la fertilità della Dea inizia ad influire su tutti gli aspetti della vita e i poteri della natura, i campi sono in fiore, il sole e la luce splendono, l’oscurità eclissata … ma vi pare poco? Poi arrivano le feste dedicate a Lugh dove il Dagda è al massimo dello splendore, il sole è all’apice della sua potenza e viene onorata anche la Dea (siamo alla fine di luglio sino a metà agosto). Il mietere il grano, vi è tutta la dolcezza del miele con il tagliare, col sacrificio che fra poco avverrà. Durante questa festa si onora l’unione della forza solare e di quella terrestre, entrambe sono alla pari. Successivamente il Dio inizia ad invecchiare. A Mabon, in settembre, il Dio si prepara a lasciare la Dea  per entrare nel Mondo dell’Altrove, regnerà come Signore delle Ombre,come Re agrifoglio, quello che piange. Prima di sacrificare la propria vita alla Madre Terra si unisce a lei nuovamente, a Samhain muore, impregnando il ventre della Dea della sua essenza per poi rinascere a Yule. Nel ciclo arturiano Morgana è una maga, la sacerdotessa di Avalon, l’isola delle mele. Il simbolismo della mela è direttamente relazionato alla Dea (pensate alla mela di Eva o alla mela che Paride offrì alle tre Dee). La mela, inoltre, forma una stella a cinque punte con i suoi semi quando viene tagliata trasversalmente. Morgana viene anche chiamata la Dama del Lago (ricorda il significato di Regina delle acque attribuito a Morrigan). Il rapporto che ha con Artù è totale, è sia sorella, che amante, che madre di suo figlio (il futuro assassino del padre). Artù nel mosaico di Otranto è raffigurato incoronato a cavallo di un cervo. Morgana si unisce ad Artù durante Shamain. Artù, coperto di pelli e corna, la rincorre nel bosco, la corsa è dura, i pretendenti sono tanti, gli avversari lo tallonano, ma Artù riesce a trovare per primo Morgana, insieme giaceranno in una grotta fra le foglie gialle, e con questa unione rimarranno per sempre legati. Nonostante che i ragazzi siano inizialmente spaventati nel riconoscersi al mattino come sorella e fratello. Divisi e lontani ma sempre avvinti. Cosa poi abbia sacrificato Artù, non si sa, ma il matrimonio fallito con Ginevra fa pensare.

immagine: Pieve del Tho Brisighella

articolo già pubblicato sul quotidiano “La voce di romagna” il giorno 14/12/2015

Una briciola di bellezza incastonata tra tre monti

noti1749

Brisighella è considerato uno dei borghi più ameni d’Italia, è una briciola di bellezza. Si trova in provincia di Ravenna, lungo la strada che da Faenza porta a Firenze. E’ un paese medievale con un dedalo di viuzze, adagiato ai piedi dei “Tre Colli”. L’origine del nome Brisighella potrebbe derivare dal celtico “Brix” (luogo scosceso) oppure dal latino “brisca” (terra spugnosa) o dal veneto “bressichella”(briciola). La nascita del borgo è datata al 1200, quando Maghinardo Pagani, edificò su uno dei cocuzzoli la roccaforte; ma già il territorio era stato occupato in tempi più antichi dai Romani. Maghinardo fu capitano del popolo e podestà di Faenza e di Imola e capitano del popolo di Forlì, per questo suo cambiare “gabbana” fu messo all’Inferno da Dante. Chi arriva a Brisighella non può mancare di fare la breve passeggiata ai Tre Colli, sui quali si ergono rispettivamente, la Rocca della Torre che ospita il Museo della Civiltà Contadina, la Torre dell’ Orologio al cui interno vi è la Mostra del Tempo e nell’ultimo colle, immerso nei cipressi, vi è il Santuario del Monticino, con l’effigie in ceramica della Madonna, a cui è dedicata una tra le più antiche sagre della Romagna. Da non perdere la storica “Via degli Asini”risalente al XII secolo, è una strada sopraelevata e coperta dove un tempo erano le stalle per gli asini dei carrettieri, che traevano il loro sostegno dal trasporto del gesso. Oggi vi sono dei negozi. Brisighella ha dato i natali a otto cardinali e numerosi sono gli edifici sacri. Fra tutti spicca la Pieve di San Giovanni in Ottavo edificata nel X secolo con materiali romani e barbarici, la cui costruzione leggendaria si attribuisce a Galla Placidia. Un’occhiata anche al piccolo Museo Giuseppe Ugonia, pittore e apprezzato litografo; all’ antica fonte del paese detta “la funtana di tri sbroff” (fontana dei tre zampilli) e al monumento “Fante che dorme” di Domenico Rambelli (1886/1972), un bronzo atipico ed ironico nei confronti della guerra, dalle forme opulente che ricordano le attuali opere scultoree di Fernando Botero. Antichi sapori si gustano in questo borgo, assolutamente da assaggiare il rinomato “Brisighello”olio extravergine d’oliva estratto a freddo per sgocciolamento e i piccanti e saporiti salumi di Mora romagnola. Numerose sono le sagre culinarie e spettacolari le Feste Medievali che si tengono alla fine di giugno.

immagine: Brisighella

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 12/10/2015