Per i cittadini comuni, non sarebbe auspicabile, una patente e una licenza di porto d’armi per i droni?

Per i cittadini comuni, non sarebbe auspicabile, una patente e una licenza di porto d’armi per i droni?

Redazione Romagna Futura di Redazione Romagna Futura, in Cronaca RomagnaCultura Romagna, del 

Pochi giorni fa, a Bertinoro, un giovane usando il proprio drone per effettuare un video sulle bellezze dell’ameno borgo medioevale, ne ha perso il controllo, il piccolo velivolo si è schiantato sul campanile, il ventisettenne ha così rimediato una multa. E gli è andata bene perché negli USA si rischia fino ad un anno di carcere. Se può sembrare esagerato è perché si legge la notizia come un qualcosa di divertente sia da parte di chi usa il drone, sia da parte di chi osserva allegramente l’aggeggio, ritenendolo innocuo.

Intanto, per usare un drone, ci sono regole ben precise di cui si occupa l’Enac, l’ente che detta le regole di tutti i mezzi volanti. La presenza di un drone ad uso ludico non deve invadere la sfera personale degli altri, non si può farlo volare in un luogo pubblico, come è successo a Bertinoro, né riprendere immagini che contengano dati personali come targhe automobilistiche e indirizzi di casa, né captare conversazioni altrui, assolutamente vietato poi riprendere gli spazi privati dell’altrui casa, giardino compreso.

La diffusione di riprese realizzate con il drone può avvenire solo con il consenso dei soggetti ripresi, fatti salvi particolari usi, come quelli a fini giornalistici. Vi renderete conto che le riprese vocali e video del drone in pratica non sarebbero da fare in nessun luogo, perché anche nel posto più sperduto può esserci qualche persona o qualche appezzamento di terreno privato. Ma c’è molto di più, oltre alla privacy, sempre più tutelata dalla legge e sempre più violentata nella realtà, c’è il fatto grave, molto grave, di come la tecnologica vada più veloce della coscienza sociale e morale e della maturità delle persone.

Così ci si ritrova in mano, degli oggetti tecnologici, inconsapevoli, (anche a causa un’ignoranza di ritorno, nella mancanza di uno studio serio dell’Educazione Civica, magari con spiegazione, interrogazione e voti ndr) del corretto uso… vedasi la gara dei selfie scattati in posizioni pericolose o i video porno messi in rete per ripicca o semplicemente le robacce che a volte si ritrovano su Facebook così allegramente, purtroppo non c’è discernimento nell’uso delle nuove tecnologie.

I droni, usati per svago, per scopi fotografici o per lavoro, sono in forte crescita, comprarli è molto facile, si trovano un po’ ovunque nei negozi di elettronica; negli Stati Uniti, sono tra i regali più popolari sotto l’albero di Natale … eppure possono trasformarsi non solo in guardoni ma anche in armi. A tal proposito Gregory Chamayou un filosofo francese ha scritto un saggio intitolato: “Teoria del drone” in cui sottolinea come i droni stiano cambiando la nostra concezione della guerra, della democrazia e del controllo della società: ogni luogo diventa un potenziale sito della violenza dei droni. Le guerre dei droni sono guerre senza perdite o sconfitte, ma sono anche guerre senza vincitori e vittorie. La combinazione di questi due elementi prepara il terreno per uno stato di violenza perpetua.

La guerra dei droni ha sollevato profonde questioni etiche e costituzionali sia nelle sale del Congresso sia tra il pubblico degli Stati Uniti. Non si vuole certo demonizzare il drone: in Yemen e in Iraq vengono utilizzati per stanare ed eliminare i terroristi di Al Qaeda. In una versione meno eroica possono controllare i venditori ambulanti abusivi, lungo le spiagge d’Italia, come ha pensato di fare il Comune di Jesolo, oppure in agricoltura per monitorare la lotta alla piralide del mais, lepidottero assai dannoso, come è successo a Rovigo o ancora come a Torino, dove per la festa di San Giovanni al posto dei fuochi d’artificio hanno usato 200 droni luminosi, eliminando così il frastuono che tanto spaventa i cani. Se poi in rete gira un video, dove in una chiesa, in Brasile, l’Eucarestia per la Comunione, viene portata tramite un drone dall’ingresso direttamente sull’altare, questa specie di goliardata blasfema, non può che ulteriormente porre una domanda… per i cittadini comuni, non sarebbe auspicabile, prima dell’acquisto del drone una patente e una licenza di porto d’armi?

Paola Tassinari

Un museo, tre religioni

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Il Museo Interreligioso di Bertinoro, unico nel suo genere, è dedicato al dialogo tra Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Il percorso espositivo è allestito all’interno delle antiche carceri nella Rocca Vescovile, del XVI secolo. Le più grandi religioni monoteiste, qui a Bertinoro, terra sinonimo di ospitalità, tramite l’arte convivono in pace. Il Museo è nato per volontà della Diocesi di Forlì-Bertinoro seguendo un progetto ideato e realizzato dal senatore Leonardo Melandri. Lo splendido portale d’ingresso è una struttura in metallo con i simboli delle tre religioni, possente e allo stesso tempo leggero e trasparente. All’ingresso la raffigurazione mosaicata di Abramo, riconosciuto come il padre delle tre religioni. Nella seconda sala opere astratte che rappresentano le 12 tribù di Israele. Secondo la Bibbia, i dodici figli di Giacobbe divennero gli antenati eponimi delle dodici tribù di Israele. Nella terza sala, la parola, i manoscritti, le radici, la città di Gerusalemme è raffigurata nella vetrata dell’artista Roberto Cambi. Gerusalemme è città santa per gli ebrei, Salomone vi edificò il Tempio; santa per i cristiani, qui Cristo morì e risorse, santa per i musulmani, il Profeta vi iniziò il suo viaggio celeste. Quarta sala, Dio come creatore, opere terrene ma astratte: Dio è al disopra di ogni possibile comprensione e immagine terrena. Quinta sala: il Cristianesimo, Dio che si è fatto uomo e fu crocifisso, vi è un’opera splendente per commozione è una Crocifissione, la bozza della Porta Santa per il Giubileo del 2000,  di Floriano Bodini. Sesta e settima sala sono dedicate all’Ebraismo coi simboli ebraici, su cui spicca il bel candeliere a sette bracci, e alla Pasqua ebraica. Sale otto e nove sono dedicate all’Islam, è ricostruito l’interno di una moschea, con il pulpito in legno su cui sale l’imam per la predica del venerdì, la nicchia nel muro che indica la direzione della Mecca e con i precetti del culto islamico che sono detti i cinque pilastri. Sala decima sono presenti i paramenti liturgici e gli arredi sacri. L’undicesima sala presenta il Male, due grandi artisti lo raffigurano con grande eloquenza. Francesco Messina con “L’Adamo piangente” mostra un uomo rattrappito, smarrito, che si nasconde il volto fra le mani cercando di scomparire. Lo “Scheletro crocifisso” di Giacomo Manzù è ciò che accade oggi ogni giorno, l’indifferenza. Vi è la croce di Gesù che non è altro che uno scheletro, chi crede più a qualcosa? Tutto è un nulla, e infatti nella lastra di bronzo vi è anche un vescovo nudo che si copre le “vergogne” col cappello cardinalizio, e un bimbo passeggia col suo cagnolino… che importa a noi della sofferenza altrui?      Non ci si ferma all’indifferenza, dal Male si va all’Oltre, alla sala dodici, a cui si accede tramite un cunicolo simbolo del passaggio dalla morte alla  vita. Qui vi è uno splendido angelo islamico, coloratissimo che suona la tromba del Giudizio finale. Il giro termina con la visita alla suggestiva cisterna, la Rocca, sorgendo sul colle di Bertinoro e mancando di una fonte d’acqua, fu munita di una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Il Museo ospita anche un’acquaforte “Cristo davanti a Pilato”di Rembrandt van Rijn. L’opera, datata 1636, momento in cui l’artista si stava affermando nell’ambiente artistico di Amsterdam, con opere importanti. Rembrandt racconta tra luci accecanti e oscurità il drammatico incontro tra Gesù e Pilato. Cristo è illuminato è già agnello sacrificale e la sua luce inonda anche Pilato che però è indifferente. Annoiato chiede se Gesù fosse un re. Cristo risponde:“Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.” “Che cos’è la verità?” chiede Pilato, titubante vorrebbe saperlo ma non se la sente, non sa quale strada scegliere, non sceglie e se ne lava le mani. Rembrandt mostra i dubbi di Pilato, che si trova a decidere della sorte di Gesù, ma l’osservatore è focalizzato solo dalla figura inerme e pura di Cristo…  al diavolo, il sinedrio, la folla e anche Pilato. L’incisione si trova nella quinta sala dedicata al Cristianesimo.

 

 

immagine: Mueso Interreligioso di Bertinoro

articolo già pubblicato sul quotidiano “La voce di Romagna” il giorno 30/03/2015