Nostra arzdora

f_7d6a9d3343

L’Arzdora era una vera colonna portante della famiglia romagnola patriarcale. Arzdora significa: colei che presiede e che regge al governo della casa. La parola “reggitrice” richiama proprio questa funzione di sostegno. Il reggitore,ossia l’arzdor, era il capofamiglia, il vertice della scala gerarchica, colui che si occupava degli affari e teneva il danaro. La reggitrice o arzdora per le cose di casa, era di solito la moglie del capofamiglia e doveva accudire alla casa, preparare il vitto, attendere a tutti i lavori domestici necessari. Era suo compito provvedere al mantenimento del pollame e dei maiali. L’arzdora andava al mercato con pollame, uova, formaggio, ed altro e col ricavato di questi commerci comprava olio, sale, e quanto poteva servire alla famiglia. L’arzdora era anche una conoscitrice di erbe selvatiche commestibili e medicamentose, di cui ne sapeva trarre gustosi piatti e pozioni che servivano a curare i malanni usuali, come ferite, febbri, mal di testa, di denti ecc., era perciò un po’ magica. Severa perché doveva far in modo che le altre donne  di casa avessero di lei soggezione e quindi “rigassero dritto”, la nuora o la figlia ammutolivano solo al suo sguardo, era solitamente amatissima dai nipoti. L’uomo era solito dire “in casa li porto io i pantaloni”, in realtà l’arzdora glielo lasciava credere, teneva la corda lunga, ma era pronta ad intervenire e a prendere il controllo delle redini, quando l’uomo tentennava, poi ritornava al suo posto, alle solite occupazioni domestiche e alle erbe magiche, un vero leader, comandava nell’ombra, con queste donne si tirerebbe su non solo l’Italia, ma tutto il mondo. La raccolta delle erbe selvatiche è in uso ancora oggi. In me una passione “insana” spinge a raccoglierle e a mangiarle, nonostante non sia un’esperta, si può finire in ospedale non solo per i funghi velenosi ma anche per le erbe, ad esempio la mandragora o l’oleandro sono velenose, probabilmente è il ricordo della nonna o forse perché da piccola raccoglievo i fiori di camomilla, poi passava un signore che lasciava per il mio bottino l’equivalente per acquistare un pacchetto di patatine, di cui ero molto golosa. Vi faccio una lista di quelle che conosco, facili da riconoscere e buone: gli stridoli  (piccole foglioline appuntite, si usano in ottimi ragù con sugo di pomodoro e volendo salsiccia), la portulaca (l’erba grassa infestante che si trova in ogni dove, è ottima nell’insalata ha il gusto del peperone ed è ricca di Omega-3), la rucola (dal caratteristico odore molto più intenso dell’erba coltivata), l’asparagina (si raccoglie solo in primavera, la pineta ne è piena, i piccoli asparagi servono per le famose tagliatelle col ragù di “sparzenna”, o per la frittata) l’ortica che conosciamo tutti per fare la sfoglia verde al posto degli spinaci, le rosolacce (sono le piantine del papavero, si raccolgono ad inizio primavera, sono usate insieme ad altre erbe per il composto interno dei crescioni assieme ad un po’ di pancetta) c’è poi il raperonzolo che non ho ancora trovato al suo posto becco spesso la “carota selvatica” che è ugualmente buona. Ed infine il Tarassaco o “pessalaet”, si trova  a fine inverno, inizio primavera, le sue foglie sono usate per una “insalata alla contadina” cioè condita con pancetta ed aglio, ma è ottimo anche sbollentato e poi saltato in padella con peperoncino. Ce ne sono tante altre, queste erbe generose sono chiamate più scientificamente alimurgiche, il loro utilizzo alimentare  è stato definito fitoalimurgia, ovvero dall’unione di due termini, dal greco phyton (pianta) e dal latino alimenta urgentia, cioè  piante per cibarsi in caso di urgenza o necessità. Un tempo era normale utilizzare queste erbe, anzi erano una componente essenziale ed insostituibile per il sostentamento delle popolazioni, soprattutto per quelle rurali. Purtroppo questa conoscenza legata ad antichi saperi, tramandati da generazione in generazione, rischiano di scomparire, anche se ho notato che stanno aumentando sempre più le persone che sono in cerca di erbette, funghi, asparagi, l’esagerata globalizzazione sta portando un ritorno alle tradizioni.

immagine : il tarassaco

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 22 aprile 2014