Il grande Amos Nattini, genio italico “nascosto”

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Davvero, non sapevo niente di Amos Nattini. Sono rimasta fulminata, ma come, chi lo ha nascosto, coloro che parlano d’arte in TV, sui giornali, sul Web, mai un accenno su di lui, forse perché il Duce considerava Dante e Nattini i massimi esempi del genio italico? Scusate signori, abbiamo il più grande artista rappresentante del Surrealismo del Novecento e non lo si trova in nessuna enciclopedia artistica? Allora vuol dire che noi italiani siamo autolesionisti. Amos Nattini nacque a Genova il 16 marzo 1892, appena diciannovenne realizzò le illustrazioni per le “Laudi” dannunziane, mettendosi in luce nel panorama artistico. Nel VI centenario della morte di Dante (1921), Nattini intraprese l’ultraventennale fatica di realizzare le cento immagini,una per ogni canto della Commedia, partendo dall’Inferno e procedendo in ordine di canto. Non esagero citando questa immensa opera, come, “la Cappella Sistina di carta”. Il Duce, diede al Fuhrer, come omaggio ufficiale, il Poema illustrato da Nattini, considerandola testimonianza dell’eccellenza italica. Dopo gli anni del Ventennio e della celebrità, Nattini aderì al movimento partigiano. Fu catturato dalla Gestapo, perché ospitò e protesse dei soldati inglesi. Abbandonò Milano, il giro di artisti per dedicarsi a una pittura del tutto intima, dove raccontava la quotidianità del vivere di “ogni giorno” e delle tradizioni. Inizialmente, Nattini, con le illustrazioni delle “Canzoni d’Oltremare” del Vate, ha uno stile classico con tratti che ricordano il Simbolismo, i preraffaelliti e il Realismo Magico, mentre per le raffigurazioni della Commedia è un condensato pirotecnico con prevalenza surrealista. Con le ultime opere, c’è un abbandono della “furia” per un ritorno al classico, in cui riecheggia una tenerezza che ricorda le Madonne del Botticelli e con lo stesso “senso mitologico”. “Sono diventato il pittore dell’Appennino, della gente che tira la vita coi denti, dei muli che zoccolano sui sentieri della montagna”, annota in quegli anni Amos. Quel che lo rende unico, scrive Ojetti, è l’apparente contraddizione tra la sua spietata incisiva insistente conoscenza del corpo umano e il suo impeto lirico verso l’irreale. A trent’anni dalla morte di Nattini, è uscito a cura di Vittorio Sgarbi, nel novembre del 2015, un volume che racconta, finalmente questo artista di “altri mondi”.

immagine: Amos Nattini (Inferno)

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 25/01/2016

 

McCurry piace molto più di Dante

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Nei giorni del periodo natalizio ho visitato varie mostre, non sono riuscita a vedere quella di Steve McCurry, il celebre fotografo americano, in mostra a Forlì, ai Musei San Domenico, e mi dispiace assai, ma la fila per entrare era troppo lunga. L’opera più famosa di McCurry è il ritratto della ragazza afgana nel campo profughi di Peshawar, che è diventata un faro di speranza in mezzo ai conflitti, dove la protagonista della foto aveva vissuto fino a quel momento. Sinceramente in quegli occhi io non vedo nessuna speranza, io vi leggo comprensibile odio allo “stato puro”.Adesso non voglio intavolare una polemica se un reporter è un’artista o no, a questo punto anche un giornalista può esserlo, ma mi chiedo McCurry ha diviso con la ragazza gli introiti derivanti dalla suddetta foto? L’artista crea dal nulla, il fotografo coglie l’attimo, “il colpo di scatto”, di un soggetto esistente. Chiudo la polemica e ne apro un’altra, non riesco a capacitarmi di trovare la ressa a questa Mostra di McCurry, e di non incontrare quasi nessuno alla superlativa, indescrivibile Mostra al MAR di Ravenna, ormai inutile correre a vederla, è terminata, pochi giorni fa, il 10 gennaio. Avete perso un’occasione unica, quella di viaggiare tra le pagine della Divina Commedia, di farne parte, di passare dalla selva oscura, al tenebroso Inferno, per poi pregare intensamente al Purgatorio, per arrivare allo sfavillio del Paradiso, inondati di luce e inebriati in un giro rotatorio che fa “perdere la testa”. Nell’anno delle celebrazioni del 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri il Museo d’Arte della città di Ravenna, ha partecipato alle manifestazioni in onore del Sommo Poeta con un’importante mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, a cura di Stefano Roffi. La mostra, con oltre 500 pezzi, è dedicata a tre illustratori della Divina Commedia: il famoso Gustave Doré, che tutti noi conosciamo, Francesco Scaramuzza, di cui non sapevo nulla, infine un certo Amos Nattini… e chi era costui? Già chi era costui. Le incisioni di Doré, sono le illustrazioni per antonomasia del poema di Dante. Le opere di Francesco Scaramuzza, mi paiono tecnicamente perfette, ricche di fantasia, specialmente mi ha colpito l’immagine di Lucifero, dagli occhi allucinati, che mostrano tutta la rabbia repressa di aver perso la guerra, lui l’Angelo di Luce, per sempre posto negli abissi. Le opere di Dorè e di Scaramuzza si trovano alla fine del percorso, mentre l’inizio è segnalato da un’opera contemporanea che rende molto bene la “selva oscura”, quindi Amos Nattini ci illustra con grandi acquarelli, tutta la Commedia, opere in cui le figure si muovono, scendono, salgono, si intrecciano. Scontri di figure, un coacervo che evoca le possenti forme di Michelangelo e le più atletiche figure di Luca Signorelli. Queste forme ineccepibili, sono immerse in paesaggi fantasiosi, magici o all’ opposto terrificanti e vorticosi, rientrano nel Movimento del Surrealismo, ma hanno una “potenza visiva”, che sinceramente non ho mai riscontrato neppure tra i surrealisti più famosi. L’Inferno è sistemato in modo, che noi visitatori, sovrastiamo le figure, esse appaiono ai nostri piedi. Ma cosa è il male? Qui c’è il fuoco, ma scendendo sempre più in basso c’è il gelo, il ghiaccio più freddo. Dante spiega che l’amore genera nell’uomo ogni virtù, così come ogni peccato. Si desidera il proprio bene e il male per il prossimo: chi vuole eccellere calpestando il prossimo (superbia), chi teme di essere superato dagli altri (invidia), chi riceve un’offesa, tanto da desiderare la vendetta (ira). Questo è l’Inferno, mentre nel Purgatorio, ci sono gli stessi peccati, con la sola differenza che ci sono quelli che si sono pentiti. Ma, se non c’è l’amore, anche male inteso, non c’è pentimento che tenga. Nel Paradiso fra i penitenti e i beati, ci sono anche quelli che, soffrendo hanno prima compreso cosa è il male e poi hanno purificato se stessi, a loro una eterna e sempre nuova allegria di canto e danza e di amore riamato. Ad accompagnare questa superba mostra, rendendola sublime, vi era un appropriato sottofondo musicale.

immagine: Amos Nattini (Purgatorio)