Quelle gite a San Leo

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Anni fa, non esisteva il weekend, e neanche la settimana bianca o quella al mare, al massimo si organizzava  un picnic in montagna per Ferragosto o la scampagnata al mare il 10 agosto, per via dei 7 bagni di mare, da fare in tale giorno, che preservavano dalle malattie per tutto l’anno. L’occasione  della gita di un giorno o due, era un grande evento, di solito era il parroco che l’organizzava, si riempivano anche due o tre corriere.   La gita “classica”era quella di San Leo e San Marino. Come si arriva a San Leo ciò che colpisce immediatamente è l’imponente rupe con pareti a strapiombo, la fortezza costruita sopra, pare una stratificazione del monte stesso. Alle pendici si raccoglie il piccolo abitato medievale, dove sotto l’olmo della piazza nel 1213 predicò San Francesco, che proprio qui ebbe in dono il monte della Verna. I primi abitanti furono gli Umbro-Sabelli, i Galli e i Romani. L’antico nome di Montefeltro deriva dal masso roccioso, il “Mons feretri” dove, secondo la tradizione, in epoca romana sorgeva un tempio dedicato a Giove Feretrio. Il tempio di Giove Feretrio fu il primo tempio costruito a Roma, Tito Livio scrive che con le spoglie del nemico sconfitto, Romolo salì sul Campidoglio. Lì, dopo averle poste sotto una quercia sacra ai pastori,tracciò i confini del tempio:“Io Romolo, re vittorioso, offro a te, Giove Feretrio, queste armi regie, e dedico il tempio tra questi confini…”. Narra la leggenda che un giorno Sant’Agata risaliva la valle del Marecchia assieme a San Leone e San Marino, questi ultimi due erano due scalpellini provenienti dalla Dalmazia (ex Jugoslavia),in cerca di luoghi solitari, ove stabilirsi. I tre per sfuggire alle tentazioni carnali, e per ricercare la quiete, a un certo momento si separarono. Marino salì sul Monte Titano, Leone salì sul Monte Feltro e Agata sul Monte di Perticara, legando il loro nome a questi territori. Su San Leone si sa veramente poco, forse nel 257, due cristiani di nome Leone e Marino, giungono a Rimini e si dedicano a evangelizzare la popolazione riminese. Probabilmente  per sfuggire alla persecuzione dell’Imperatore Diocleziano, si rifugiano sul Titano, poi Leone si trasferisce sulla rupe non molto distante, qui costruisce una piccola cella e una cappella dove, nel segreto, raduna i cristiani. Per tradizione, San Leone è considerato il primo vescovo, anche se l’istituzione ufficiale della diocesi è avvenuta alcuni secoli dopo. San Leone dormiva sulla nuda pietra, aveva la sua dimora presso la sorgente che sgorgava nella valle, un’acqua dal gradevole sapore, che sarà poi chiamata “Santa”, tutt’oggi esistente. La roccia, l’acqua, il Santo e i suoi miracoli, la conformazione particolare del monte, la Vergine citata come Dea nell’epigrafe sul coperchio del suo sarcofago, il tentativo dell’imperatore tedesco Enrico II di portare i suoi resti in Germania, testimoniano una sacralità antica legata ai Celti… manca solo la Madonna legata ai culti agrari che troveremo nella pieve.     Ciò viene ribadito dai Romani col tempio a Giove Feretrio, i pastori con la quercia poi non potevano essere che druidi. Prima del Concilio di Nicea (325), e anche dopo, non c’erano dogmi nel cristianesimo, c’era amore e si cercava il bene. Poi siccome tutte le cose non guidate e senza regole degenerano, la Chiesa fu costretta a mettere dei limiti. L’abitato conserva “due pietre preziose”: sono le due chiese romaniche quasi affiancate, cioè la pieve e il duomo, quest’ultimo è un capolavoro dell’architettura romanica, vi è conservato  parte del sepolcro di San Leone, ritenuto opera del Santo, in realtà databile al V-VIII secolo. La Pieve molto suggestiva, ha una cripta per le reliquie ed un sacello dove Leone dormiva sulla nuda pietra e un bel ciborio sull’altare. La chiesa è dedicata alla “Dormitio Virginis” tema di origine orientale che diverrà dogma solo nel 1950 col nome di “Assunzione”. Non lontano dal centro, si trova un po’ nascosto uno dei più antichi conventi francescani. La leggenda narra che San Francesco, non potendo entrare  a San Leo, perché era già buio, vide dei fuochi di pastori e passò la notte con loro. Egli stesso chiamò quel luogo fuoco sacro, cioè Sant’Igne.

 

 

 

immagine: San Leo

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 17/08/2015