PERCHE’ I BOTTI A CAPODANNO

colorati-fuochi-d&-39;artificio-vettoriale_34-50596

In tutto il mondo si festeggia il Capodanno, per ogni Paese esistono diverse usanze, pagane o religiose. La mezzanotte segna un momento di passaggio, che ricorda al mondo la fine di qualcosa e l’inizio di un nuovo percorso. Tutti i riti di Capodanno hanno radici storiche molto antiche e radicate che spesso non sono conosciute. Perché ci si veste di rosso? Perché ci si bacia sotto il vischio? Perché porta bene mangiare le lenticchie o il melograno? Perché si sparano i botti? Perché si gettano le cose vecchie? In questo articolo mi soffermerò solo sull’usanza di sparare i botti e del lancio dei cocci. I botti o fuochi artificiali di Capodanno, sono l’intenzione di allontanare le forze del male e gli spiriti maligni che si scatenano, in un momento di passaggio dal vecchio al nuovo anno. Pare che gli spiriti maligni abbiano una certa riluttanza per i rumori forti. E’ per questo che a Capodanno è tradizione sparare fuochi d’artificio, ma soprattutto i petardi che con i loro botti spaventano diavoli e diavoletti. Anche il tappo dello spumante sparato per festeggiare la mezzanotte è ottimo per allontanare i malocchi vari. Il lancio dei cocci, è una tradizione nazionale, ma i napoletani la prendono più sul serio. Il rito vuole che a mezzanotte dell’ultimo dell’anno vengano gettati a terra (o in strada dalle finestre), piatti, bicchieri, oggetti in ceramica. Con questo gesto simbolico si cacciano via i mali sia fisici che morali che sono stati accumulati nel corso dell’anno. Sull’usanza dei botti, l’antropologo Marino Niola ci dice: “Il rumore, la folla, il fuoco, le grida. Il nuovo che nasce dal caos, la stagione che cambia, la terra che germoglia. Da secoli, l’uomo di ogni civiltà celebra i riti di passaggio, l’avvicendarsi delle stagioni, la fine di un anno e l’inizio di un tempo nuovo, con il fuoco e il rumore. Da questa tradizione discendono i botti di Capodanno, che tante polemiche hanno scatenato negli anni per la loro carica distruttiva, le vite ferite, le mani amputate, gli occhi accecati. Un rito, e un business, divenuti ormai serbatoio di episodi da cronaca nera, tanto che, da Torino a Palermo, sindaci di ogni colore politico si sono detti favorevoli a fermare i botti la notte del 31 dicembre e hanno emesso ordinanze perché la decisione sia rispettata(…)Si tratta di un modo di rendere solenni i grandi momenti che ha origini molto antiche nel tempo. Si ha notizia di riti di passaggio celebrati con il fuoco e con il rumore già nel mondo mediterraneo precristiano. Nel ‘600 questo tipo di celebrazione acquisì un carattere regale, veniva organizzata e vissuta nelle corti. Poi con l’invenzione della polvere da sparo i due elementi, fuoco e rumore, sono stati fusi(…) È sacrosanto fare dei controlli, anche se poi ti guardi in giro e vedi che molte vendite illegali vengono fatte alla luce del sole e ti chiedi perché nessuno dica niente. Ma è stupido vietare i botti. Non sono per gli eccessi tutori, se uno vuole farsi male che sia libero di farlo. A condizione però che non faccia del male agli altri”. I  botti oggi rappresentano anche l’allegria per l’arrivo del nuovo anno … come risolviamo il problema coi nostri cani“fobici”? Cioè quei cani che sono sensibili non solo ai botti, ma spesso anche ai tuoni dei temporali. Non tutti i cani hanno paura dei petardi o dei fuochi artificiali, pensate ai cani da caccia a esempio. Comunque che fare con questi cani? I proprietari, invece di uscire, devono tenere i loro cani in casa, anche quelli che di solito vivono in giardino e stare con loro, non solo perché potrebbero fuggire terrorizzati dai botti, ma anche perché non mancano mai gli scriteriati, che si divertono a lanciare petardi sugli animali. Il cenone si può fare anche in famiglia assieme all’amico cane, festeggiando ancora di più con il tuo amico fedele. E si è soli, si sta col cane, a cui si può mettere un fiocco rosso, si può cantare al Karaoke, si può ballare, si può farlo anche da soli, poi a mezzanotte si beve una coppa di spumante, baciando il muso del cane sotto al ramo di vischio, si lancia la coppa dietro alle spalle fuori dalla finestra, facendo molta attenzione, e magari si accende una petardo/girandola. Felice Anno Nuovo a tutti voi.

 

  articolo già  pubblicato sul quotidiano  “La Voce di Romagna” il giorno 28/12/2015

Romano, l’insegnante che non prende medicine

basic_esperanto_words_by_moosader-d560010

Un tempo a Ravenna c’era la scuola di esperanto, ora non so, l’araldo era Romano, una cara persona.    Romano è ghandiano, cristiano, mazziniano. Non ricordo se l’ordine è esatto, ho messo Ghandi per primo, perché l’unica volta che l’ho visto un po’ alterato, fu quando mi parlò dell’induismo e del Karma e io dissi che non credevo alla reincarnazione. Romano è un pacifista, lo era già negli anni ‘60. Partecipò alla prima Marcia della Pace di Perugia/Assisi, ora non aderisce più, perché non crede che quelli, ora, abbiano inteso bene cosa vuol dire pacifismo. Romano è un vegano, non mangia carne, ama gli animali, anche gli insetti. E’contro i medicinali, usa il metodo “del temprarsi”, porta la maglia di lana anche d’estate … dove non passa il freddo non passa neanche il caldo, dice. E’un insegnante di esperanto, crede che i mali del mondo arrivino soprattutto dalla Torre di Babele, perché le persone non parlano la stessa lingua. Romano ha due lauree, ma non ha mai lavorato, il padre, che lo conosceva bene, lo ha assecondato, fa il volontario, porta la sua parola, il suo esempio dappertutto. Romano si muove solo con la bici, non vuole inquinare, e con la bici va anche molto lontano. A un certo punto ho smesso di vederlo, i suoi amici mi hanno informato che un camion lo ha investito, mentre andava con la bici. Si è rotto una spalla, i medicinali che gli hanno somministrato, lo hanno intossicato. Non esce quasi più da casa perché ha bisogno di andare spesso in bagno. Un paio di anni fa, era il periodo natalizio, io e il postino abbiamo fatto una piccola magia per lui. Il portalettere mi aveva mostrato una missiva, dove vi era  scritto nome e cognome del ricevente, e una dedica (per i 60 anni di matrimonio) ma non c’era l’indirizzo, il mittente era Romano. Il destinatario, lo conoscevo viveva nel mio paese tanto tempo prima, ma non avevo la minima idea di dove fosse andato ad abitare poi. Non volevo che la lettera tornasse al mittente, che gli auguri di Romano tornassero indietro. Il postino mi ha lasciato la lettera, ho fatto indagini, fra i compaesani più anziani. Sono riuscita ad avere l’indirizzo nuovo del destinatario. Il postino che conosceva Romano pure lui, perché a Ravenna lo conoscono tutti, si è preso l’onere di recapitarla anche se non era il suo giro e doveva fare chilometri extra. E’stato il nostro modo per dire a Romano che gli siamo vicini, anche se ormai non lo si vede più.

immagini: parole in esperanto

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 21/12/2015

 

 

L’Esperanto è condivisione

esperanto

immagine: bandiera dell’Esperanto

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 21/12/2015

Vi parlerò della Torre di Babele sino alle Torri Gemelle di New York. La torre, bene o male, contrasta la natura e sottomette la terra; in una torre o grattacielo sempre più alti, nessun uccello vi farà il nido, gli alberi e i fiumi saranno lontani. Come racconta la Bibbia, Dio punì chi voleva arrivare sempre più in alto, la Torre di Babele crollò (Genesi XI, 1-9):“Confondiamo il loro linguaggio, sicché l’uno non capisca il parlare dell’altro… e li disperse da quel luogo per tutti i paesi”. La scalata al cielo è una tentazione universale che si trova in ogni tradizione, anche i Titani, vollero scalare il cielo ma Zeus li colpì con i fulmini, cacciandoli per   sempre sotto l’Etna. Dunque con la Torre di Babele si assiste alla nascita delle lingue, ma anche al non capirsi fra gli uomini. Confrontando il crollo delle Torri di New York, al crollo della Torre di Babele, usando la teoria del contrappasso di dantesca memoria, viene da pensare che finirà il non capirsi fra gli uomini, non con l’adottare una lingua universale che rappresenti un solo paese, ma con l’unione di tante lingue. Un sogno non ancora realizzato. Alla fine dell’Ottocento Ludwik Lejzer Zamenhof ritenendo l’assenza o la difficoltà di dialogo, dovuta alle differenze linguistiche, avesse creato incomprensioni e violenze lungo il corso della storia, inventò l’esperanto, significa ‘colui che spera’, una lingua il cui scopo era quello di essere usata tra le diverse nazioni, che così avrebbero potuto parlare e comprendersi a vicenda, proteggendo le lingue minori e quindi la differenza linguistica. Rispetto alla nazione che impone la propria lingua, si ha in genere sudditanza culturale e differenze di capacità espressiva, tra i nativi di tale lingua e tutti gli altri. Un riassunto sul carattere dell’esperanto è dato dalla sua bandiera, che è formata da un fondo verde che sull’angolo superiore sinistro presenta un riquadro bianco nel quale sta una stella verde a 5 punte. La stella a 5 punte rappresenta i 5 continenti abitati, il colore verde la speranza di un futuro migliore, mentre il bianco rappresenta la neutralità e la pace. Viviamo in un mondo dove impera la lingua inglese, ma ci sono tanti cittadini e nazioni che non sono d’accordo nell’accettare l’inglese come lingua di rapporti internazionali, sebbene sia la lingua più usata. Inoltre ci sono parole in ogni idioma che risultano intraducibili, ricche di un significato plurimo, un patrimonio da non perdere. L’esperanto, è una lingua   molto più facile da imparare che l’inglese, dove non ci sono rapporti di superiorità-inferiorità perché nessuno è nato in “Esperantolandia”. Lingua di nessuno e lingua di tutti. Si impara nei molti  gruppi esperantisti che si trovano un po’ in tutto il mondo. Oppure viaggiando gratis grazie al “Pasporta Servo”, Passaporto dell’esperanto, creato per promuovere la conoscenza di questa lingua. L’esperanto nasce come lingua internazionale più di cento anni fa. L’esperanto si propone come codice internazionale da affiancare alle varie lingue nazionali, nel rispetto della diversità delle culture e delle lingue di tutti i popoli, e non vuole sostituirsi a quelle nazionali. La sua struttura è relativamente semplice, senza eccezioni e senza complicate regole grammaticali, il che contribuisce a renderlo più facile da imparare. Adesso io non so proprio se l’esperanto possa essere questa lingua universale, non credo. Penso piuttosto che una lingua nuova e universale stia emergendo, spontaneamente in Internet, fra traduttori simultanei, emoticon e nuove parole, sul modello del latino maccheronico che nacque nel Quattrocento, il quale era un modo per lo più scherzoso di imitare la lingua latina, utilizzando il latino unitamente alla lingua italiana, in seguito l’uso si estese anche ad altre lingue. La parola che va per la maggiore sui network è : “Condividere” cioè possedere insieme, partecipare insieme, offrire del proprio ad altri, così senza  rendervene conto diventate amici, così una vostra piacevole o spiacevole strada verrà spartita con altri, la felicità verrà moltiplicata e il dispiacere diminuito perché diviso. E mica male, questo condividere. Auguri!

 

 

Woodpecker: una discoteca cara ma dal sapore fantascientifico

paradise-discoteque-woodpecker

Certo che mi piaceva il Picchio di Legno, vedevo quell’astronave là planata in mezzo ai campi e mi faceva sognare, non avevo mai visto un “affare” del genere, io ero una vera ragazza di campagna, tornita, fiorita e credulona e quando mi dissero che era una discoteca, sognai, sognai di entrarvi e di incontrare il principe azzurro … ‘sto principe azzurro è una vera menata, le fanciulle poi lo paragonano ai corteggiatori reali che  dopo, poveretti, fanno sempre una brutta figura del razzo col principe. Al Woodpeker  poi non sarei potuta entrare perché le mie tasche erano sempre vuote, ricordo che l’unica volta che riuscii a racimolare 5milalire, le regalai a un ragazzo che me le chiese. Io andavo a ballare, mi piaceva molto danzare, anche se non sapevo fare, al Piteco di Godo di Ravenna, dove le donne non pagavano o al massimo si pagava 500lire.  Si diceva che al Woodpeker si pagasse per entrare addirittura 20milalire, la stessa cifra che si pagava in Piazza san Marco a Venezia, circa venti anni fa per un caffè … e poi dicono che a rubare sono i ladri. Comunque meglio che io non sia entrata in quella discoteca perché si narravano certe cose strane. La discoteca aveva lo steso nome del segnale russo “Woodpecker”, il quale si supponeva che emettesse  frequenze in tutto il mondo da un trasmettitore vicino Kiev. I russi avrebbero recuperato le carte di Tesla riguardanti lo studio di queste frequenze, quando furono finalmente riportate in Iugoslavia dopo la sua morte.  Nikola Tesla aveva rivelato nel 1901, che l’energia avrebbe potuto essere trasmessa attraverso il terreno servendosi di onde ELF. Nulla ferma o indebolisce questi segnali e pare che qualcuno avesse realizzato delle attrezzature per misurare queste onde e il loro effetto sul cervello umano. Quello del controllo mentale della popolazione, è ritenuto da molti un argomento di “fantapolitica”, ma se fosse vero? Nel 1952 la famiglia De Maria apre un locale in centro a Milano Marittima, alla Terza Traversa. Il suo nome sarà appunto Woodpecker e si tratterà di un locale di prestigio, con prezzi molto alti per l’epoca.
Ma il rumore della sala da ballo infastidisce i residenti, così nel 1966 Gherardo De Maria decide di trasferire il Woodpecker nell’attuale collocazione, in mezzo alla pineta. A disegnare la struttura del locale viene chiamato l’architetto Filippo Monti di Faenza, figura in auge in quegli anni, che inventa un progetto senza precedenti. La struttura è unica nel suo genere: una collina artificiale ad anello racchiude al suo interno un piccolo laghetto ed una struttura di passerelle che forma alcune “isole”, su una delle quali poggia una enorme cupola in vetroresina. Venne progettato, come ho scritto sopra, dal celebre architetto Filippo Monti di Faenza, che in quel periodo era all’apice della fama, ma questo non basta alle autorità (attuale proprietario è il Comune di Cervia) per poterne avviare un riadattamento, se ne parla da anni, ma non si notano risultati; si spera che per ricordare la morte avvenuta in data 15/12/2015, dell’architetto Filippo Monti finalmente si possa recuperare questo gioiello.

immagine. Woodpecker

articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 17/12/2015

 

I due S.Giovanni di Brisighella

pieve_interno

Recenti studi dello storico Lucio Donati rivelano che la Pieve di San Giovanni in Ottavo a Brisighella,   sarebbe stata intitolata unitamente a San Giovanni Evangelista e a San Giovanni Battista. Considerando che forse sorge su un’antica chiesa voluta da Galla Placidia e che quest’ultima seppur di fede cattolica, era stata regina dei Visigoti; i quali erano cristiano/ariano e assieme mantenevano quel paganesimo di cui si trova ricordo nella leggenda di Re Artù, si può azzardare un’ipotesi. Nella mitologia celtica, a indicare la ruota dell’anno, c’era un ciclo complesso seppur semplice. Durante Samhain, in novembre, il Dagda (chiamato anche Dio cornuto o Re agrifoglio) e Morrigan (la Grande Regina, si ritiene che la sua figura sia sopravvissuta nella letteratura arturiana in quella di Morgana), si uniscono sessualmente, si donano a vicenda; lui le dà la sua forza e lei gli conferisce la vittoria. Dagda significa “il Dio buono”, ed è il padre degli Dei, i suoi strumenti sono la coppa (il calderone), la pietra (rappresenta la terra), la clava che dona la vita e la morte, riconducibile alla lancia di Lugh (rappresenta l’aria), e l’arpa che controlla le stagioni (rappresenta il fuoco). In seguito Morrigan lo partorisce a Yule, cioè in dicembre. Anche i miti celtici sono strani quanto quelli greci, Morrigan facendo entrare il Dagda dentro di lei, partorisce non un altro, il figlio, ma lo stesso sposo. Forse reminiscenza di ciò che credeva l’uomo preistorico. Cresce lo “sposo” a Imbolc , ovvero in febbraio. La Dea ora non è più madre, si trasforma in futura moglie del bambino che sta diventando adulto, il Dagda “rigenerato”, ciò accade a Beltane, nel mese di maggio, dove si uniscono di nuovo. A Beltane è il Dagda nuovo, il Re quercia, quello che ride, faccio presente che il Battista, festeggiato in giugno, è detto Giovanni che ride, mentre l’Evangelista, festeggiato in dicembre, è Giovanni che piange. Perché ride il Re a Beltane? Perché il rito propiziatorio è risultato molto favorevole, la fertilità della Dea inizia ad influire su tutti gli aspetti della vita e i poteri della natura, i campi sono in fiore, il sole e la luce splendono, l’oscurità eclissata … ma vi pare poco? Poi arrivano le feste dedicate a Lugh dove il Dagda è al massimo dello splendore, il sole è all’apice della sua potenza e viene onorata anche la Dea (siamo alla fine di luglio sino a metà agosto). Il mietere il grano, vi è tutta la dolcezza del miele con il tagliare, col sacrificio che fra poco avverrà. Durante questa festa si onora l’unione della forza solare e di quella terrestre, entrambe sono alla pari. Successivamente il Dio inizia ad invecchiare. A Mabon, in settembre, il Dio si prepara a lasciare la Dea  per entrare nel Mondo dell’Altrove, regnerà come Signore delle Ombre,come Re agrifoglio, quello che piange. Prima di sacrificare la propria vita alla Madre Terra si unisce a lei nuovamente, a Samhain muore, impregnando il ventre della Dea della sua essenza per poi rinascere a Yule. Nel ciclo arturiano Morgana è una maga, la sacerdotessa di Avalon, l’isola delle mele. Il simbolismo della mela è direttamente relazionato alla Dea (pensate alla mela di Eva o alla mela che Paride offrì alle tre Dee). La mela, inoltre, forma una stella a cinque punte con i suoi semi quando viene tagliata trasversalmente. Morgana viene anche chiamata la Dama del Lago (ricorda il significato di Regina delle acque attribuito a Morrigan). Il rapporto che ha con Artù è totale, è sia sorella, che amante, che madre di suo figlio (il futuro assassino del padre). Artù nel mosaico di Otranto è raffigurato incoronato a cavallo di un cervo. Morgana si unisce ad Artù durante Shamain. Artù, coperto di pelli e corna, la rincorre nel bosco, la corsa è dura, i pretendenti sono tanti, gli avversari lo tallonano, ma Artù riesce a trovare per primo Morgana, insieme giaceranno in una grotta fra le foglie gialle, e con questa unione rimarranno per sempre legati. Nonostante che i ragazzi siano inizialmente spaventati nel riconoscersi al mattino come sorella e fratello. Divisi e lontani ma sempre avvinti. Cosa poi abbia sacrificato Artù, non si sa, ma il matrimonio fallito con Ginevra fa pensare.

immagine: Pieve del Tho Brisighella

articolo già pubblicato sul quotidiano “La voce di romagna” il giorno 14/12/2015

Una favola sul terrificante micione e su Maristella

Gatto_gigante_con_suora

Il gatto mammone è una creatura magica della tradizione popolare, sarebbe un enorme gatto dall’aspetto terrificante. Il suo nome deriva dall’incontro del termine gatto con quello di Mammona, parola attribuita  solitamente al demonio. Tale gatto, sarebbe  dedito a spaventare le mandrie al pascolo, tuttavia ha anche una funzione protettiva. La tenacia di Anselmo Calvetti nel raccogliere le fiabe della Romagna, ha dimostrato la presenza del gatto mammone anche nella nostra terra. “Un’orfana viveva con la matrigna e una sorellastra, le toccavano i lavori più faticosi. Mentre lavava i panni al fiume le sfuggì il sapone, per paura di essere punita si gettò nell’acqua per recuperarlo. Giunta in fondo al fiume incontrò una vecchia che la invitò ad entrare in un palazzo di cristallo. Qui trovò dei gattini che spazzavano i pavimenti la fanciulla prese la scopa e pulì lei. Poi incontrò altri gattini che aiutò a friggere il pesce, infine aiutò dei gattini a rifare il letto. A questo punto incontrò il gatto mammone che la ringraziò per l’aiuto dato ai gattini e le restituì il sapone smarrito. Il gatto disse alla fanciulla:‘Ritorna a casa senza fermarti né voltarti indietro, anche se sentirai il canto del gallo’. La ragazza obbedì. Tornata a casa la matrigna la colpì sulla fronte e all’improvviso vi apparve una stella. Inutili furono i tentativi di toglierla per darla alla figlia. La matrigna saputo ciò che era accaduto mandò la figlia al fiume. Gettato il sapone nel fiume e arrivata al palazzo del  gatto, la sorellastra malamente spinse da parte i gattini per salire più veloce dal gatto mammone il quale le diede il sapone e le disse di tornare a casa senza voltarsi indietro, anche se avesse sentito il canto del gallo. La sorellastra non seppe resistere e si voltò quando il gallo cantò. Avvertì un forte colpo sulla fronte, sulla quale spuntò una coda d’asino e niente valse a toglierla. La fama della fanciulla con una stella in fronte, chiamata perciò Maristella, giunse fino al principe che la chiese in moglie. La matrigna rinchiuse la fanciulla in cantina e portò al palazzo reale la propria figlia, coperta da un lungo velo. Ma il principe lo sollevò e scoperto l’inganno sposò Maristella”. (‘Maristella e il Gatto mammone’ nella versione riminese raccolta da Marina Zaoli traendola dalla narrazione della nonna materna Anna M. Sapignoli, nata a Rimini nel 1880)

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 07/12/2015

 

 

Gatto mammone è lui il veltro

dante_blake

“L’esoterismo di Dante” è un libro pubblicato nel 1925 da Renè Guenon, scrittore esoterista convertitosi all’ Islam, nel quale sostiene che Dante Alighieri sarebbe stato membro di un ordine segreto e che nella Divina Commedia ci sarebbero messaggi nascosti. Egli ritiene che le tre cantiche del Poema rappresenterebbero un percorso iniziatico: l’Inferno sarebbe il mondo profano, ovvero abitato da persone che non avrebbero ricevuto l’iniziazione; il Purgatorio si riferirebbe alle prove iniziatiche ed il Paradiso sarebbe la residenza degli “illuminati”. Gli illuminati sarebbero dei massoni, li identificherebbe dal numero tre ricorrente nella divina commedia, tre sono i principi massonici (libertà, uguaglianza e fratellanza), tre le virtù teologiche (fede, speranza e carità) e tre gli elementi alchemici (zolfo, mercurio e sale), necessari per creare la “grande opera”. Aldilà di ciò, Dante è indecifrabile e imperscrutabile anche agli studiosi, le sue invettive sfuggono come anguille dalle mani. “E più saranno ancora, infin che’l veltro/ verrà, che la farà morir con doglia./Questi non ciberà terra né peltro,/ ma sapïenza, amore e virtute,/ e sua nazion sarà tra feltro e feltro” (Inferno Canto I). Il significato letterale è più o meno questo:“La lupa si accoppia a numerosi animali (intesi come vizi), sempre di più finché il veltro arriverà, e la ucciderà con dolore. Egli non avrà bisogno né di terra né di denaro (peltro), ma di sapienza, amore e virtù, e la sua origine sarà umile (feltro inteso come panno di poco pregio, ma c’è anche chi vi ha letto un’indicazione geografica, tra Feltre e Montefeltro). Il veltro anticamente era ritenuto un cane da caccia, molto veloce, forse il levriero, nel mito partecipava alla Caccia Selvaggia, quest’ultima ha come antica origine, l’incarnazione dei ricordi di guerra, i miti agricoli, il culto degli antenati. Gli studiosi ritengono che Dante per questo Canto si sia servito del serventese romagnolo, tipo di componimento sorto intorno al XIII sec., che tratta di un incitamento da parte di un giullare ghibellino a Guido da Montefeltro. Vi sono diversi tipi di serventese, uno di questi è di un anonimo del Duecento, narra di un gatto mammone che si accompagna ai cavalieri di Artù, è anche il protagonista del Detto del Gatto Lupesco. “Come altri uomini vanno girando il mondo, chi per guadagnare e chi per rimetterci, così l’altro giorno io me n’andavo per una strada, immerso in lieti pensieri, e andavo pensando a un mio amore e camminando a capo chino. A questo punto uscii dalla strada e imboccai un sentiero e incontrai due cavalieri della corte di Artù, che mi dissero: ‘Tu chi sei?’ . E io, salutandoli, risposi: ‘Chi io sia è ben chiaro. Io sono un gatto lupesco, che a ciascuno tendo un’esca, (per vedere) chi non mi dice la verità. Perciò voglio sapere dove andate, e voglio sapere di dove siete e da dove venite’. E loro mi dissero:‘Ascoltate, e vi diremo ciò che volete, dove andiamo e da dove veniamo. Siamo cavalieri della Bretagna, e veniamo dal monte che si chiama Mongibello (l’Etna). Vi abbiamo a lungo dimorato per apprendere e per scoprire la verità sul nostro sire, re Artù, che abbiamo perduto e di cui non conosciamo la sorte. Ora torniamo alla nostra città, nel regno d’Inghilterra. Addio, signor gatto, a voi e ai vostri affari”. Il gatto lupesco è chiamato anche mammone e insieme a quello degli stivali hanno in comune la furbizia, la ferocia e premiano i buoni punendo i cattivi che siano loro il veltro di Dante? La tradizione del gatto mammone affonderebbe le radici nell’antico Egitto, in cui i gatti erano animali sacri e simboli di fertilità poi demonizzati nel Medioevo. Secondo altre interpretazioni, la parola “maimone” deriverebbe dall’arabo e avrebbe sia il significato di “benedetto, di buon auspicio” che quello “di mandrillo e di scimmia”. Il gatto mammone appare di frequente nelle fiabe e nella letteratura di tradizione italiana, pure nel Milione di Marco Polo. Nella letteratura tedesca, nel Faust di Goethe, vi è una gatta mammona che vive in mezzo ai filtri magici, viene incaricata da Mefistofele di preparare una pozione in grado di ridare la gioventù al protagonista.

immagine: William Blake raffigura il Purgatorio di Dante

 articolo già pubblicato sul quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno 07/12/2015