Verrucchio, scrigno del potere malatestiano

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Verrucchio è un paese di collina in provincia di Rimini, ai confini con San Marino, con tanto di Rocca e stradine ripide. Vanta la bandiera arancione del Touring Club Italiano, è quindi considerata una località eccellente. La Rocca Malatestiana o “Rocca del Sasso” è molto ben conservata, costruita intorno al XII sec.,   è stata poi ampliata con opere di fortificazione. La Rocca rimase sotto il dominio dei Malatesta per circa 300 anni e fu il baluardo del loro regno. La Rocca del Passarello con la porta costituisce il secondo nucleo fortificato di Verucchio. Può ben considerarsi la seconda rocca dei Malatesta, anche se nel 1600 vi è stato  costruito il Monastero delle Monache di Santa Chiara. Come ogni maniero che si rispetti anche qui c’è una leggenda che parla di un fantasma. A Verucchio, certe notti invernali buie e scure, si dice appaia un enorme carro fantasma colmo di ferri ed arnesi di tortura: è il biroccio dei Malatesta. Trainato da due buoi e condotto da Malatestino, dannato e cieco da un occhio, attraversa l’abitato rumoreggiando, poi precipita giù nella scarpata con un boato. Malatestino era fratello di  Gianciotto e Paolo Malatesta, (quelli del famoso dramma d’amore) Dante lo mette all’Inferno come responsabile dell’omicidio di Guido del Cassero e Angiolello da Carignano, uccisi brutalmente per annegamento in sacchi piombati. Nel 2000, andai a Bologna, al Museo Archeologico per la mostra “Principi Etruschi tra Mediterraneo ed Europa”, rimasi abbagliata dai reperti per la sepoltura di un principe di altissimo rango. La tomba era del VII sec. a.C.; il  ritrovamento di nocciole e vinaccioli dell’uva aveva permesso di stabilire che la sepoltura era avvenuta in autunno, guardai la provenienza, meravigliata vidi che giungevano da Verrucchio. Il Museo Civico Archeologico di Verrucchio fu inaugurato nel 1985. Conserva reperti unici per raffinatezza, provengono dalle necropoli del territorio e sono di epoca villanoviana/etrusca. Nelle sale allestite su tre piani sono visibili: le armi dei guerrieri, il vasellame rituale, i resti dei carri in legno, i favolosi gioielli in oro e in ambra, gli strumenti di filatura delle donne e, soprattutto i mobili in legno che arredavano le tombe “a camera” di tipo etrusco, come il celeberrimo trono intagliato dalla tomba “Lippi 89” e gli ampi lacerti di abiti in lana dei quali sono ancora visibili i colori.

immagine: Verrucchio

articolo già pubblicato sul  quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno07/09/2015

 

 

 

 

 

 

I tanti simboli dietro l’orso

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Nella simbologia celtica degli animali, assai simile a quella degli indiani d’America, l’orso è associato alla dea come portatore di abbondanza e fecondità. Nel mito greco Callisto amica di Diana, rimase incinta di Giove. Callisto non raccontò questa cosa a Diana che però la scopri ugualmente e dopo averlo scoperto punì Callisto tramutandola nella costellazione dell’Orsa. Le versioni sono molte ma il significato non cambia Callisto fu tramutata in orsa e messa in cielo. L’orso è anche simbolo della classe regale, del re eletto fra i membri della classe guerriera. Art significa “orso” e si fa derivare il nome di Artù (re per eccellenza, riconosciuto tale dal Cielo e dalla Terra grazie all’estrazione di Excalibur dalla roccia) da esso. Se nella tradizione celtica l’orso è simbolo della regalità, in quella mediterranea lo è il leone. Interessante è sapere che all’epoca della cultura di La Tène (circa V secolo a. C.) che prende il suo nome da un villaggio in Svizzera, le costellazioni dell’Orsa e del Leone “accompagnavano” il sole  nel suo viaggio attraverso il cielo il giorno di Lughnasadh, la “festa del re” del 1° agosto. L’orso è dunque l’emblema dei guerrieri, mentre il cinghiale lo è dei sacerdoti, dei druidi, sempre in ambito celtico. Nel famoso racconto mitologico gallese intitolato “Kulhwc e Olwen”, viene narrata la caccia al cinghiale bianco e ai suoi piccoli, da parte di re Artù, forse  esprime la lotta sostenuta dalla nobiltà dell’epoca contro il sacerdozio druidico. In un altro racconto sono i guerrieri celati sotto le sembianze di un cinghiale a devastare le terre del re. Probabilmente la lotta fra il potere del re e quello dei druidi fu assai cruenta e difficile. Per quanto riguarda le rappresentazioni dell’orsa   e della dea a lei associata, vi è una celebre statua rinvenuta nei pressi di Berna (il simbolo della città è appunto un orso, come lo è di Madrid, Biella, Berlino e altre). L’orso è quindi emblema guerriero ma anche legato alla donna e alla maternità, l’orso spaventa per i suoi unghioni e la sua forza, ma sovente regaliamo ai bimbi un orsetto di peluche . Per quanto riguarda la religione cristiana, pare che tutti i Santi che mostrano accanto a loro la figura di un orso abbiano subito una forte influenza celtica: San Colombano,  San Gallo, Sant’ Ursino, San Sergio, San Biagio e altri, senza dimenticare di parlare del famoso Sant’Orso valdostano, che è festeggiato con la millenaria fiera che si tiene il 30 e 31 gennaio. E poi c’è  Wojtek, orso e soldato del 2° Corpo d’Armata Polacco comandato dal generale Anders. Seguì i suoi compagni dall’Iran, attraverso l’Egitto fino ad arrivare in Italia, e dopo la battaglia di Monte Cassino partecipò alla liberazione di Bologna. Nonostante gli anni passati, la sua storia è ancora molto viva, e ultimamente gli alunni della scuola ZSTH di Zagan, in Polonia e quelli dell’ITCG “L. Paolini” di Imola hanno realizzato il fumetto: “La vera storia dell’orso- soldato del 2° Corpo d’Armata Polacco”, tradotto anche in inglese e francese.  Wojtek  nacque nel 1942  sulle montagne della provincia persiana. Tramite un ragazzo arrivò  ai soldati polacchi, di cui diventò la mascotte. Viveva nelle tende coi soldati, marciava e giocava con loro, forse la stessa cosa che si fa con un cane ben addestrato. Wojtek era un soldato regolare e riceveva una paga militare per il vitto. Il Generale Anders e i suoi soldati, all’inizio del 1944 sbarcarono sul suolo italiano, giungendo a Cassino. Wojtek, non aveva paura delle esplosioni  anzi portava le casse di munizioni dai camion alle batterie. I soldati polacchi , con la loro mascotte, entrarono in Imola il 14 aprile del 1945, travolgendo le resistenze tedesche, liberando Imola e proseguendo per Bologna. Imola ricorda questo evento con un monumento che riproduce l’orso  mentre sta salendo degli scalini di marmo bianco, toccando con una zampa il berretto militare polacco. Alla fine della guerra, l’orso finì in Scozia, dove fu riconosciuto come residente onorario di Edimburgo e fu trasferito nello zoo. Non si abituò mai alla vita in cattività, divenne molto triste. La notizia della sua morte fu riportata da tutti i media britannici.

immagine: Artio la dea orso

articolo già pubblicato sul  quotidiano “La Voce di Romagna” il giorno07/09/2015